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I sogni diurni di Roberto Kusterle

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di Federica Polidoro
Gorizia, classe 1948. L’artista Kusterle, come un moderno Esopo, racconta il mondo con il suo obbiettivo immaginifico assemblando scenari fiabeschi e situazioni surreali. Principale fonte d’ispirazione la natura, i suoi affascinanti segreti e le sue ipnotiche suggestioni. Abbiamo intervistato l’artista, ospite supercelebrato delle ultime edizioni del The Road to Contemporary Art (l’ultima conclusa da poco al Macro Testaccio di Roma). Ecco di cosa ci ha parlato.
F.P. I tuoi scatti sono una vera e propria messa in scena. Come se fossero singoli fotogrammi estratti da un film. Ha mai pensato di girarne uno? 
R.K. L’impegno per la preparazione è già molto complesso e articolato per uno scatto. Ho sperimentato il video, ma ho capito che sarebbe una mole di lavoro ingestibile per me da solo. I miei scatti si percepiscono come il frammento di un racconto, è vero. L’immagine rappresenta l’evoluzione di un pensiero che coinvolge materiali e persone: tutto il supporto necessario per realizzarla. Servono mezzi tecnici ed economici. Non ho mai pensato a fare un film prima. Ora non me la sentirei.

F.P. Quali sono i particolari biografici che hanno contribuito al tuo immaginario? 
R.K. E’ una domanda a cui non so rispondere. Faccio quello che sento di dover fare. In Riti del corpo per non avere immagini isolate su sfondo neutro, elemento importante nella pulizia formale della serie precedente, mi sono spostato in un paesaggio. E ho diversamente integrato gli elementi già usati in studio. In Ana Cronos ho ripreso e sviluppato elementi di lavori già compiuti. Le farfalle, i pesci, il fuoco, l’acqua… 

F.P. Cosa rappresentano i pesci in relazione alla tua opera?
R.K. Il singolo elemento non ha un significato statico, si adatta al contesto. Dipende da quello che ho a disposizione. Il mare è vicino. In Mutabiles nimphae ho ricostruito abiti dell’ottocento logori. Ho sostituito ai monili che si ritrovano nei ritratti d’epoca (e che determinavano la classe sociale di appartenenza) elementi naturali marini altrettanto luminosi. Non attribuisco un significato codificato all’uso di un dettaglio. Nella serie Riti del corpo non c’è nessuno che guarda in camera. L’unico occhio che può guardare verso l’obbiettivo è quello animale: pesci e farfalle. Poi ho cercato in natura occhi o elementi che li suggeriscono. L’innesto della soggettiva animale era anche ciò che mi permetteva di dare espressione alla figura. Nel caso del pesce abbiamo l’affinità atavica che ci lega al mondo acquatico.

F.P. In Mutabiles nimphae è esplicita la dimensione della favola (v. Il bambino e il suo bosco 2, 3 e 4). Perché è così ricorrente nella tua opera?
R.K. Quello che mi interessava in quegli scatti era capire come un bambino vede il bosco nel suo immaginario. Così ho costruito un occhio e l’ho inserito su un albero. E’ un’interpretazione un po’ giocosa e fiabesca con un bimbo che fa leggere all’albero, alberi piccoli e grandi e poi lo controlla con la lente. Attinge direttamente dalla favola. Mi piace unire la forza, la delicatezza, il disgusto, il piacere. Riuscire a mescolare sensazioni differenti. Non parto da un’idea prestabilita. Mi viene istintivo associarne di diverse.

F.P. Ma nella foto in questione tu sei il regista o il bambino?
R.K. (Kusterle pensa e poi ride un po’, n.d.r.) Sono il regista. Vorrei essere il bambino che guarda l’occhio. Con l’età si perde un po’ di quell’irrazionalità che attribuisce poteri magici alla proteiformità di una nuvola. Il potere dell’immaginazione. Il bosco è un luogo affascinante dove si possono percepire dei rumori e dei suoni. Così ho pensato di costruire un grande orecchio e un grande occhio. Poi c’è il piccolo Leonardo da Vinci che fa i suoi schizzi. E Lezioni di volo dove un umano insegna a volare agli uccelli. Paradosso assoluto.

F.P. Il lavoro sugli archetipi. Che relazione hanno con il titolo delle tue opere?
R.K. Il titolo lo metto in una fase successiva alla realizzazione dell’opera, in genere. Non in quello sugli effetti floreali e le bacche. Ho cominciato 15 anni fa con la pittura. Essendo autodidatta in entrambe le discipline. Ho poi preferito la fotografia. I primi lavori erano lumache sul corpo. Naturalmente in quegli anni facevo cose che la gente non voleva neanche vedere. Ma era qualcosa che sentivo, che mi apparteneva e che apparteneva ad un mondo ormai scomparso. Perché un rapporto così stretto col mondo naturale, come quando ero ragazzino, non esiste più. Con quelle immagini volevo rappresentare un certo tipo di intimità con gli animali. Il lavoro in questione si è poi evoluto nei collari di bacche. Mutazione silente richiama la pittura cinquecentesca. Due donne si sono rasate per poter fare le applicazioni. Il mio interesse si orienta sia verso il mondo animale che vegetale. E poi penso alle somiglianze: il sistema linfatico delle piante e quello venoso umano hanno molte analogie. 

F.P. Lo specchio del corpo è una serie un po’ diversa perché da più importanza alla dimensione plastico-scultorea…
R.K. Quella l’ho realizzata nell’ambito di una manifestazione il cui tema era Nudo Cosmo. C’è un giovane corpo invecchiato con pieghe e rughe. Alcune parti si corrugano e altre mantengono la loro bellezza. Altrove mancano teste. Un bacino è in realtà una schiena. Una figura è in realtà due corpi. Mi sono preoccupato di trovare soluzioni ambigue.

F.P. Il suo rapporto con il tempo.
R.K. Per me è difficile parlare del tempo. Faccio degli schizzi, osservo il territorio e le luci. Cerco di lavorare nel labile arco del crepuscolo, in cui le ombre tendono a dissolversi. Il tempo è una dimensione necessaria per sedimentare, per provare, per stabilire i contatti giusti con quello che si vuole fare. Da una parte c’è l’intuizione e dopo ci vuole l’intervallo per la maturazione del pensiero. E poi c’è il momento della realizzazione. Ora sono fermo da un paio di mesi e attendo. Entrare in un nuovo tema prende un certo periodo, perchè ci sono tante possibilità di sviluppare un’idea e allora bisogna essere molto accorti. Direi che le intuizioni dell’attimo sono qualcosa di molto diverso rispetto al concepimento finale. E questo per il tempo che intercorre tra le due fasi.

F.P. Si ispira a qualcuno o solo alla natura e al flusso di pensieri personali?
R.K. La natura è il primo grande stimolo ma qualsiasi piccola osservazione è una fonte. Io non sono tanto diverso da quello che rappresento. Le mie foto sono fatte di materia che mi appartiene. Vivo in un luogo che mi offre un certo tipo di paesaggio. Probabilmente se vivessi in città farei cose metropolitane. Il territorio mi permette di fermarmi a riflettere con modalità diverse e ritmi più lenti rispetto a quelli della città. Mutazione silente è durata due anni. Il secondo ho scoperto cose che il primo non avevo neanche lontanamente immaginato. Non sarei in grado di lavorare in città. 

F.P. La mutazione per te equivale all’evoluzione o per te è il luogo dell’ambiguità?
R.K. Potrebbe essere entrambe le cose. Se ti riferisci al titolo Mutazione silente è stato attribuito dalla critica sotto la mia approvazione. In quel caso il corpo diventa muta, non metà uomo, metà vegetale, piuttosto una struttura decorativa esterna al corpo fatta di elementi naturali come copricapi, colletti e spine. Questo lavoro era molto elaborato: gli orecchini sono fatti con semi di papavero oppure con animaletti. Adesso sto preparando un lavoro con gli insetti. Immagino le reazioni di disgusto che susciterà. La gente ha un problema culturale. La farfalla è bella e il verme fa schifo. Lo scarafaggio è bruttissimo e la coccinella è carina. Vorrei mettere belle farfalle su vecchie decrepite e insetti schifosi su delle bellissime donne giovani. Poi mi piacerebbe concentrarmi sui tessuti. Sono spunti da sviluppare. Fin’ora ho lavorato principalmente in analogico. Anche in Ana Cronos. Magari implementerò l’uso del digitale.

F.P. Come hai deciso che sei un artista?
R.K. Non posso dire se sono un artista. Ho fatto il ferroviere. Per me quello era un lavoro. L’arte è una passione che ho sempre avuto. Prima colla pittura e poi con la fotografia. Continuo a fare le cose che mi piacciono. Poi se gli altri mi definiscono un artista, bene. Non ho né i modi, né l’atteggiamento, né la mente di un artista. Mi ricordo però a cosa ho rinunciato quando ho cominciato, le difficoltà anche di trovare galleristi. Con il corpo allora si aveva un rapporto diverso e le immagini di quel periodo oggi trovano un altro consenso.

F.P. La tua mamma ti raccontava storie quando eri piccolo?
R.K. No, e poi non sogno neanche. Non mi ricordo dei sogni che ho di notte. Sogno di giorno, ad occhi aperti. E immagino mondi possibili. Fantastico. Raccolgo informazioni visive e… insomma ognuno ha i suoi metodi per creare… ( l’artista si astrae, n.d.r.)

Il sito dell’artista è www.robertokusterle.it
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