Pier Giorgio Monti (Direttore del Museo Archeologico di Fregellae - Ceprano)
Fu con Ulpio Traiano, spagnolo di nascita, imperatore romano dal 98 al 117 d.C., dopo le sue campagne militari in Dacia e in Oriente che l’impero romano raggiunse la sua massima espansione territoriale. Dalla Scozia al deserto del Sahara, dal Portogallo al Kuwait, una enorme estensione di terre, mari, culture e popoli diversi era direttamente o indirettamente amministrata da Roma. Non è questa la sede per individuare le ragioni di tanto “successo”: troppo lungo fu infatti il processo di espansione territoriale e troppo numerosi i motivi di questo continuo slancio di conquista. Vorrei solo sottolineare che, per arrivare a dominare tutto il mondo occidentale e parte di quello orientale allora conosciuto, i Romani fecero meglio ciò che in tutti i tempi e in ogni dove altre popolazioni facevano. Infatti, la conquista territoriale era parte della cultura di ogni popolo antico, era da sempre il metodo più utilizzato per assicurarsi la sopravvivenza, il controllo di vitali vie di comunicazione, la sicurezza dei mercati.
Ma la millenaria presenza di Roma su una superficie così vasta significò, e ancora significa, qualcosa di più di un banale, seppur fondamentale, controllo del territorio. Lo storico greco Polibio aveva ben individuate le ragioni del successo romano nel dominio del mondo: l’organizzazione sociale, militare e costituzionale dei discendenti di Romolo era quanto di più perfetto si potesse immaginare per quei tempi. Elementi di monarchia, aristocrazia e democrazia convivevano nella gestione della cosa pubblica, garantendo a tutte le parti sociali una pressoché equa gestione dell’amministrazione imperiale. Naturalmente, come oggi, non tutto filava liscio. Episodi di malversazione, corruzione e cattiva gestione erano all’ordine del giorno. Ma, come oggi, gli episodi negativi non mettevano in dubbio la validità dei principi di buon governo che erano stati conquistati dopo secoli di lotte e contrasti interni. Al contrario, un numero enorme di funzionari e diplomatici di elevato livello culturale (Seneca, Plinio il Giovane, Tacito, tanto per citarne alcuni a caso) garantiva una efficace azione amministrativa sia a Roma sia nelle più lontane province.
E’ su un confronto con la moderna unità europea che vorrei focalizzare l’attenzione con questo breve contributo. La prima unità europea, in senso politico, militare ed economico fu realizzata, appunto, da Roma. Unità che non significò solo occupazione militare, bensì anche e soprattutto la creazione di uno stato in senso moderno. All’interno dei confini, infatti, le popolazioni godevano della certezza del diritto e della pace sociale che permettevano così lo sviluppo del commercio e assicuravano lavoro a tutti. Le guerre avvenivano solo ai confini, che si allontanavano sempre più man mano che il territorio imperiale si allargava. La securitas garantiva una sostanziale stabilità nel potere d’acquisto della moneta. La moneta romana, sintesi della ricchezza e del potere, era utilizzata, o accettata, in tutto il vasto impero. Questo aspetto si accompagnava ad una situazione di cambio fisso e di un basso tasso d’interesse. In questo quadro così rassicurante, non furono pochi i tentativi di migliorare il tenore di vita delle popolazioni e l’efficacia del commercio internazionale. Per esempio, la realizzazione di una sorta di “mercato comune” fu tentata dall’imperatore Nerone il quale, a dispetto di una errata o quantomeno esagerata biografia che continua a perseguitarlo, nell’anno 58 propose l’abolizione dei dazi doganali! Questa riforma, che non fu accettata dal ceto senatorio, avrebbe favorito il libero scambio delle merci ed una sostanziale diminuzione dei portoria, i dazi doganali la cui proliferazione, dovuta all’attraversamento di molte province, faceva lievitare il prezzo anche delle merci più povere.
La lingua latina era, ed è stata per i secoli a venire, la sola lingua ufficiale, ancorché in ottima compagnia del greco, lingua della cultura e maggiormente utilizzata in Oriente. L’Europa “romana” era facilmente percorribile mediante una fitta trama di strade e chiunque si trovasse a viaggiare poteva contare su tutto ciò che necessitava per organizzare un lungo viaggio: strade, stazioni di posta a intervalli regolari, terme, edifici da spettacolo in ogni città, carte geografiche e itinerari che rendessero più agevole il riconoscimento dei luoghi e dei percorsi o, come le moderne guide, i Mirabilia, guide turistiche ante litteram che elencavano e descrivevano i monumenti più importanti da visitare.
I porti dell’impero erano letteralmente intasati dal traffico commerciale e dai passeggeri. Tutto ciò significava che il commercio verso Roma, ma anche verso altri luoghi europei, favoriva l’economia di tutti quei popoli che producevano le merci e consentiva lo sviluppo urbanistico e sociale di molte città europee. Conosciamo inoltre il nome di numerosi funzionari nativi dell’Europa che contribuirono all’amministrazione imperiale soggiornando per lavoro nelle località più distanti e disparate. Molti di loro trascorrevano anni in servizio militare o amministrativo lontano dai loro luoghi di origine. Ma non solo i funzionari o i commercianti viaggiavano. Anche i poeti, gli artisti, i filosofi e i medici si spostavano da un capo all’altro dell’Europa oppure confluivano a Roma. Alcuni di loro divennero famosi e importanti. Ne cito solo alcuni, non in ordine cronologico. Il poeta Marziale era nativo di Bilbilis, nella Spagna Tarraconese; Seneca, il precettore di Nerone, era anch’egli nativo della spagnola Cordova; Fedro, il prolifico autore delle Favole, era nativo della Macedonia; Ambrogio, il santo vescovo di Milano, nacque a Treviri, l’odierna Trier in Germania; Columella, noto autore del trattato sull’agricoltura era originario della Betica, la moderna Andalusia; Galeno, il celebre medico e filosofo greco, era nato a Pergamo.
In conclusione, l’eredità dell’età romana ha donato all’Europa odierna quell’unità fisica, economica e culturale che ha costituito la base sulla quale costruire la pacifica convivenza di popoli che già due millenni fa erano abituati a conoscersi e ad interagire in nome di un interesse comune. Questa antica esperienza costituisce oggi la nostra banca dati storica e culturale: un tesoro di civile convivenza e di ricchezza interiore.
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