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Obama mette sotto accusa l’Europa

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di Aroldo Barbieri 
Un’Europa troppo lenta nel salvataggio della Grecia e dell’Euro. Il presidente USA, spalleggiato dalla Cina, ha detto a chiare note che le esitazioni dell’Europa nel mettere a punto un chiaro piano di salvataggio della Grecia e nell’ istituzione del “Fondo salva stati” mette a repentaglio la stabilità dell’Euro e di tutta la finanza mondiale, con il corollario dell’apprezzamento del dollaro e della moneta cinese. E’ difficile dargli torto. Con la Germania in testa, seguita da Slovacchia, Finlandia, Olanda, Austria, la vicenda Grecia sta assumendo aspetti tragicomici: se l’Europa non può o non vuole avviare a soluzione definitiva la crisi di un Paese che rappresenta solo il 3% del PIL continentale, come sarà in grado di gestirsi per altre e più impegnative prove? Ora, sia chiaro: i greci hanno barato sui conti per entrare nell’Euro e peggio hanno fatto dopo dandosi alla bella vita alle spalle della moneta unica,  non sono stati i soli, magari i più audaci, ma aver loro imposto dure ricette senza “salvarli” li ha messi in una scomodissima posizione: forte riduzione del PIL (-7%), senza venire a capo della situazione. Ragionando in termini puramente economici la Grecia è fallita, pensandola in termini religiosi, magari protestanti (vedi la freddezza tedesca alla visita del tedesco papa di Roma) i Greci pagano i loro errori e soprattutto la loro levantina furbizia. Il quesito è però più grosso: l’Europa deve sopravvivere oppure può cadere o, ancora, dobbiamo accettare un’Europa a più velocità con Germania, Francia, Olanda, Finlandia, Austria in testa e la sponda sud ed est in retroguardia? E come gestirla? 
Intanto gli inglesi si fregano le mani: la loro sterlina è “ueber alle” e possono dire : vedete, ve l’avevamo detto, una moneta non può reggere senza una politica fiscale comune. Noi –lo ha sostenuto il rettore di Oxford, Chris Patten, ex presidente del partito conservatore- non abbiamo spinto perché l’Europa adottasse una politica comune, in quanto comporta una cessione di sovranità e, di conseguenza, non siamo entrati nella moneta unica. Impossibile dargli torto. Il problema è un altro: come non si può pensare ad una moneta unica con tante politiche fiscali diverse, altrettanto non si può pensare ad un Europa vera con le più velocità: al direttorio franco-tedesco, che sin qui nella crisi greca ha dato cattiva prova di sé, si sostituirebbe un’Europa a cerchi concentrici ruotanti intorno alla Germania e quindi ostaggio della politica tedesca, ma senza una vera garanzia di solidità. Anzi: la conseguenza sarebbe quella di sacrificare alla Germania gran parte della sovranità anche economica e patrimoniale degli altri Paesi, senza contropartita vera. Se siamo arrivati dove siamo è sicuramente conseguenza della scarsa serietà di certi Paesi portati a  vivere al di sopra della proprie possibilità, Italia compresa, ma anche e forse più dell’aver accettato che il modello tedesco: bassa inflazione, rivalutazione della moneta, bilancio in pareggio, fosse imposto all’Europa anche nei Paesi in cui non c’è questa cultura e, soprattutto, ci sono esigenze diverse. Anche il mito del pareggio di bilancio è per l’appunto un “mito”. Molto meglio sarebbe stato un pari, detratti gli investimenti strategici in determinati settori strategici concordati: diversamente la vecchia Europa nel tempo diventerà ancora più vecchia.
 
Il problema è politico

Chris Patten ha suggerito poi di dare più potere ai popoli attraverso un rafforzamento del Parlamento europeo, limitando con ciò quello dei Governi. Può meravigliare che lo dica un conservatore inglese, ma tantè, gli inglesi sono ancora teste politiche. Non altrettanto può dirsi del duo Merkel-Sarkozy. Quando Kohl, al tempo della riunificazione della Germania, equiparò il marco dell’est a quello dell’ovest (cambio 1 a 1) diede vita ad un assurdo economico ma fece una gran mossa politica, che gli ha dato ragione e notorietà. Se l’attuale cancelliere tedesco avesse affrontato con lo stesso piglio la crisi greca, non solo la Grecia non sarebbe stata castigata come nei fatti, la Merkel non avrebbe patito tante sconfitte elettorali (magari solo la prima dopo l’atto di coraggio), l’Euro non avrebbe subito i contraccolpi di tanta indecisione e con l’Euro anche la gran parte dei Paesi europei e in particolare l’Italia, in testa a tutti nel debito accumulato, ma anche il Paese europeo che ha fatto di più per sanare il deficit e che dal prossimo anno vanterà un avanzo primario al netto degli intessi sul debito. A meno che, ma non vogliamo pensarlo, la Grecia sia solo il laboratorio per sperimentare i “fallimenti pilotati” degli Stati, vero prodromo all’Europa a più velocità, con la conseguenza per i soccombenti di: svendita all’estero dei gioielli di famiglia, privatizzazioni all’interno a favore dei “soliti noti”, schiacciamento in basso in via definitiva di alcuni Paesi a vantaggio di altri. 
La ricetta dovrebbe essere completamente diversa: stabilire chi vuole davvero un Europa più coesa, accettando di mettere in comune le politiche di entrate, di uscite, delle infrastrutture, della comune civiltà (vedi il clamoroso lavarsi la mani davanti al problema immigrazione), anche a costo di escludere chi non se la sente di andare avanti lungo la strada che porta alla cessione di sovranità nazionale. Avremmo un Europa più piccola, ma l’allargamento è stato troppo precipitoso, come conseguenza della caduta del muro, di cui si è avvantaggiata  principalmente la  Germania. Che senso ha una Svezia con un piede dentro e uno fuori? Se messa  davanti ad una decisione netta, Stoccolma sceglierebbe probabilmente di essere europea a pieno titolo, Londra sicuramente no. Una perdita? Certamente, però si farebbe chiarezza.  La politica comune dovrebbe essere meno su misura per Berlino, a meno che tutti i popoli dell’Europa cambino razza, religione, economia, cultura. 
E’ utopia? Forse sì il pensare che la Germania rinunci in parte alla sua natura di primo della classe, per farsi guida di un’Europa meno tedesca ma più omogenea. Diversamente o saremo tutti colonizzati dai Paesi forti o l’Euro cadrà e con esso l’Europa, ma esiste una terza opzione, quella più probabile rebus sic stantibus: l’Europa sarà sempre più il vaso di coccio tra America e Asia.
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