di Maria Grazia De Angelis (Presidente Associazione Italiana di Studio del Lavoro per lo Sviluppo Organizzativo, dirigente esperto di organizzazione)
Ci siamo mossi attraverso l’Era dell’informazione e l’Era della conoscenza ora viviamo nell’Era delle Idee. La creatività e l’innovazione sono entrambi detonatori fondamentali per la crescita di lungo periodo. Se si osserva infatti lo sviluppo economico e la creazione di ricchezza da parte di imprese di successo si può constatare come proprio queste due componenti si sono sempre rivelate necessarie e anzi indispensabili.
I risultati dell’ultima ricerca “The Global Innovation Index 2011” che stila ogni anno la graduatoria sulla competitività a livello di innovazione tecnologica dei paesi di tutto il pianeta, fornisce un significativo quadro sullo stato di salute del “sistema Europa” in materia di innovazione, evidenziandone, per ciascun Paese, i punti di forza e di criticità. La ricerca riguarda 125 Paesi, che rappresentano il 93,2% della popolazione mondiale e circa il 98% del Pil globale, e misura l’innovazione diffusa su ampia scala nei diversi mercati, consentendo di analizzare i vari Stati europei nel contesto internazionale per quanto riguarda fattori come politiche delle Istituzioni, educazione, ricerca e sviluppo, ICT, Energia, Credito, creatività, output scientifici, etc..
“The Global Innovation Index 2011” colloca ai primi due posti sia in Europa che nel mondo la Svizzera e la Svezia, seguiti al terzo e quarto posto nel mondo da Singapore e Hong Kong ed in Europa da Finlandia e Danimarca. L’Italia la troviamo al 35° posto nel mondo e al 22° posto in Europa ed è preceduta in Europa da Paesi come Portogallo (21°), Spagna (20°) Slovenia (19°).
Se innovazione e creatività rappresentano le leve per supportare lo sviluppo economico e sociale, la sfida è attualmente quella di generare nuovi modi di comprendere la realtà e tramutarli in previsioni e conseguenti azioni. Ma le previsioni vengono direttamente da una cultura della creatività in cui le persone siano ispirate a tentare cose che non hanno mai tentato prima e a guardare le cose come non sono mai state guardate. In altre parole a “pensare in modo differente” e a “relazionarsi in modo differente” Anche l’innovazione è la chiave fondamentale per lo sviluppo e la competitività in quanto driver di produttività e di miglioramento della qualità del servizio in tutti i settori industriali.
La sfida è intensa, per via della velocità del cambiamento tecnologico, per la forte necessità di fare efficienza operativa ed economica e per la necessità di continuare a rendere innovativi prodotti e servizi così da competere con successo sui mercati.
In un tale contesto ai manager per poter gestire i nuovi e più complessi modelli gestionali e operativi sono richieste doti come: innovazione, creatività, marketing emozionale, management strategico, pensiero laterale, etica e alle Istituzioni di rendere più “facile” la vita alle imprese, garantendo stabilità, procedure snelle, certezza del diritto, efficacia delle riforme educative, incoraggiamento di partnerships, incentivi per investimenti in Ricerca e Sviluppo. In sintesi per essere creativi e innovativi è fondamentale anche il supporto delle Istituzioni
L’orizzonte culturale con cui devono confrontarsi dirigenti di azienda e imprenditori negli ultimi venti anni è infatti mutato in maniera vertiginosa e ai manager diventa difficile cogliere le opportunità e prevenire le minacce se lo Stato assorbe quotidianamente energie ed entusiasmo con ritardi e pastoie burocratiche.
E’ vero che l’innovazione e la creatività non possono essere previste e controllate: sono entrambe incontrollabili e imprevedibili. Possono invece essere gestite. E’ possibile creare un ambiente di lavoro che incoraggi l’innovazione e la creatività a tutti i livelli, favorendo il fluire libero delle idee, premiando chi sa rischiare in maniera intelligente e tollerando un certo grado di fallimenti.
Sotto la spinta del mercato globale il business è diventato più complesso e competitivo e quindi più difficile da gestire. Devono pertanto essere adottati nuovi standard di efficienza e qualità e modalità inedite di progettazione, di cooperazione produttiva, di relazione con il mercato e maggiormente diffuse le informazioni, le conoscenze e le competenze.
Clayton Christensen, docente alla Harvard Business School e autore del libro “Il dilemma dell’innovazione” sostiene “Le grandi aziende non cadono in una notte,. I mercati non cambiano radicalmente in un istante . Ma troppo spesso sembra che così accada (…..), mancando i dati per portare a termine con anticipo sufficiente l’analisi di quel che sta accadendo. Occorrono modelli teorici ben strutturati per dominare il cambiamento e capire quale siano le variabili in gioco. L’innovazione e la creatività oggi hanno un ruolo centrale in questi processi, vista la loro capacità di sovvertire le regole del gioco, far cambiare i dogmi condivisi dagli attori dei settori coinvolti, trasformare tutto trovando sconfitti e nuovi vincitori sul campo”
Se si vuole costruire la società del futuro è pertanto necessario che tutti gli Stati Europei si impegnino per attuare quanto si legge nel Libro Bianco della Commissione europea sull’Educazione e Formazione, artt. 126 e 127 del trattato di Maastricht “La società del futuro sarà una società cognitiva ed i paesi europei devono proporre ai loro cittadini di costruirla aumentando il sapere, preparando gli adattamenti necessari, sviluppando il senso di appartenenza, combattendo le esclusioni”.
Per riprendere quanto affermato dalla Commissione Europea le imprese potranno trovare vantaggio da una politica sociale finalizzata a combattere le esclusioni e ad aumentare i saperi.
E stato più volte constatato che trattando tutti i dipendenti con rispetto e spingendoli verso una forma di responsabilità individuale nei confronti della conoscenza, tendono ad emergere soluzioni creative con una regolarità davvero imprevedibile.
Un altro aspetto da non sottovalutare è la tecnologia che dovrebbe essere sempre più alla portata di tutti anche per l’importante impatto sulle strutture organizzative, sui processi, sul modo di lavorare e di governare le imprese. Ma spesso si hanno percezioni errate e non si fanno abbastanza investimenti per sviluppare i saperi.
Il primo “Rapporto su innovazione e tecnologie digitali in Italia”, realizzato dall'Ufficio studi del ministero per l’Innovazione, rappresenta una conferma di quanto emerge dall’analisi “The Global Innovation Index 2011”: l'Italia è un paese di analfabeti informatici, esporta meno di altri partner europei perché i suoi prodotti non sono tecnologicamente competitivi, non spende abbastanza per adeguarsi ai parametri informatici dei Paesi più avanzati. Basti considerare che i due terzi della popolazione soffre di "analfabetismo informatico".
Stando al rapporto, l'Italia, tra il 1992 e il 2001, si è piazzata nelle ultime posizioni sia per la spesa informatica (2,02% rispetto al Pil) che per quella in telecomunicazioni (2,24% rispetto al Pil). In totale, la spesa è stata del 4,26% sul Pil, una quota che colloca l'Italia al terzultimo posto, davanti solo a Spagna e Grecia.
Una situazione che non giova non solo in termini di innovazione generale, ma anche e soprattutto di produttività del lavoro. Basti pensare che in Italia tra il 1992 e il 2001 la produttività del lavoro è cresciuta dell'1,67% per addetto e del 2,28% su base oraria. Numeri che ancora una volta ci collocano agli ultimi posti in Europa, dove la media è del 2,10% per addetto e del 3,59% su base oraria.
L'alfabetizzazione informatica è un tema strategico nella cosiddetta società della conoscenza, poiché permette di comprendere e analizzare meglio i messaggi e i contenuti mediatici; contribuisce a salvaguardare il pluralismo e l'indipendenza dei mezzi di comunicazione, consente di esprimere opinioni diverse in rappresentanza di vari gruppi sociali e favorisce lo sviluppo dei valori di tolleranza e di dialogo.
Secondo una ricerca della società Nielsen presentata nel settembre 2009, solo il 55% degli italiani usa internet. Risulterebbe che solo il 34% lo usa in maniera attiva e consapevole, mentre gli altri si limitano a effettuare ricerche acritiche, passive. I cosiddetti "nativi digitali" ne costituirebbero, secondo la ricerca, la maggioranza.
Anche il rapporto Istat del 2009 evidenzia che la situazione in Italia non è delle migliori. Oltre un milione e settecentomila giovani tra i 15 e i 29 anni non hanno mai utilizzato il personal computer negli ultimi dodici mesi.
Ma innovazione e creatività, non importa la dimensione dell’azienda, vanno a braccetto, non solo con la tecnologia informatica, ma con un altro attributo che è quello delle partnership e delle alleanze. Cioè, la capacità di sapersi legare in una rete di relazioni e di rapporti che consentano di rendere differenti i propri prodotti. In sintesi, anche le aziende che credono nell’innovazione e spendono in innovazione devono monitorare la capacità degli altri di fare innovazione. E la strategia dell’innovazione può essere anche quella che fa concentrare gli sforzi in quei settori in cui si può dare un contributo unico, cercando poi dei partner altrettanto forti e innovativi negli altri settori.
Si può pertanto affermare che nell’epoca degli operatori della conoscenza, i cosiddetti knowledge workers, non sarà più possibile creare ricchezza aumentando solo la produttività del lavoro manuale: Il valore e la ricchezza dovranno essere creati da qualcosa che risiede nella mente umana: la conoscenza e la rete delle conoscenze.
I processi di innovazione possono essere dolorosi sul piano umano e sociale: per ogni cosa nuova che viene ce n’è spesso una vecchia che se ne va e con essa ci sono le persone che a questa hanno dedicato lavoro e risorse. Ai fatti tecnici si accompagnano fatti umani dei quali occorre tenere conto perché la riuscita di una innovazione dipende anche e soprattutto dalle persone che dovranno essere coinvolte nel cambiamento.
In termini di risorse umane e forza lavoro il gioco non è a somma zero; i processi innovativi nel lungo termine creano sviluppo ed espansione economica, ma nel breve termine e in aree circoscritte gli effetti dell’innovazione possono produrre risultati negativi. Nel momento in cui si produce un’innovazione si esce dalla “confort zone”, la zona delle cose conosciute, si abbandona il campo con cui si ha confidenza e ci si avventura, sia metaforicamente che letteralmente, in campi nuovi.
In un tale contesto le imprese possono creare coinvolgimento e conoscenza, avvalendosi anche di progetti di comunicazione web 2.0, finalizzati a favorire lo sviluppo dei saperi: diffondere la conoscenza di un prodotto/servizio, anticipare mutamenti di mercato, monitorare la reputazione e l’andamento di prodotti e brand, trovare utenti per nuovi prodotti e servizi, diffondere la reportistica dell’attività svolta; conoscere lo sviluppo di social network sia interni che esterni all’azienda
Il concetto di knowledge worker va proprio in questa direzione. Lavoratori sempre più istruiti, veri e propri operatori della conoscenza che manifestano esigenze diverse da quelle del passato e che richiedono, non solo tecnologia, ma anche nuovi modelli gestionali.
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