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Liberalizzazioni: per Monti il difficile viene ora

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di Aroldo Barbieri
L’Italia, si sa, è il Paese delle corporazioni (aspetto meno negativo), della mafia (aspetto negativo-delinquenziale), delle categorie, delle cordate, della cristallizzazione della società in modo che il più possibile sia regolato dal criterio del potersi fare gli affari propri senza intromissioni concorrenziali da parte degli altri. Tutto ciò si riassume in un forte handicap per una società che, come l’attuale, quella della globalizzazione, tollera poco le nicchie, la mancanza di concorrenza, le combines. Al contrario, il riconoscimento del merito altrui, dell’opportunità di mettersi in gioco, di rinnovarsi (gli antichi calcolavano le generazioni in venti anni, ma oggi quattro lustri sono un’eternità nel mondo di internet) è non solo equo, ma socialmente ed economicamente pagante. Psicologicamente tale atteggiamento minimale affonda le radici in una visione difensivistica della vita, piccina, meschina. Il fatto poi che da sempre questo sia una delle caratteristiche degli italiani (basti pensare alla clientela del mondo romano e al nepotismo dei papi) non ci consola, ma anzi fa dire con ragionevole margine di certezza che proprio ora arriva il difficile per Mario Monti.
Il nostro presidente del Consiglio ha ottenuto sin qui vittorie non diciamo facili, ma neppure tanto difficili. Come venti anni fa Amato, Monti ha fatto passare una “purga” non di poco conto per “salvare” l’Italia assediata dalle speculazione internazionale e dall’incomprensione dei tedeschi, primi della classe e non troppo inclini a spendersi per gli altri, troppo spesso dimentichi (al contrario degli americani) del costo che comporta l’essere Paese guida. Nell’incontro con la frau Merkel, il Presidente del Consiglio ha messo in risalto quanto fatto dall’Italia in termini di sacrifici, in realtà soprattutto in due campi: pensioni e casa. Due grandi settori da sempre indicati dagli imprenditori (i veri sacerdoti dell’età contemporanea) come  serbatoi da cui attingere, anche perché non in linea con l’Europa. Il sistema pensionistico era già in equilibrio, ma non c’è dubbio che l’aver allungato la durata di presenza al lavoro e l’aver introdotto da subito il metodo contributivo per tutti rappresenta una “riforma” che dà forza ai conti pubblici italiani nel lungo periodo. Quanto alla casa, la proprietà della casa di abitazione costituisce un handicap per il “mercato” del lavoro, elemento sì di stabilità, ma anche “lacciolo” alla mobilità sul territorio.
Le risorse così ottenute sono andate tutte a beneficio degli “imprenditori”, soprattutto in termini di alleggerimento dell’IRAP, una tassa peraltro davvero nociva soprattutto nella parte che prende in considerazione il numero di dipendenti come indice reddituale dell’impresa e, come è facile intuire, uno dei tanti ostacoli alla crescita della forza lavoro.
Il popolo italiano, poveri e quasi poveri, ha accettato la sonora e non equa bastonata per timore che il risparmio perdesse di valore, che fallissero le banche, che l’Euro si dissolvesse. Insomma per timore del peggio, essendo peraltro coscienti del fatto che tutti o quasi hanno qualcosa da rimproverarsi per un passato vissuto al di sopra del merito. I meno poveri hanno riportato i risparmi in Svizzera; i veri ricchi, che da noi hanno sempre pagato ben poco, si sono organizzati acquistando immobili all’estero, costituendo società di comodo etc. etc.
Ma ora viene per il pur apprezzabilissimo Mario Monti (e non solo per la signorilità, ma anche per aver detto alla Merkel alcune cose del tutto corrette) il vero tentativo di riforma, quello che non ci dovrebbe far trovare, di qui a qualche anno, a doverci rivolgere ad un altro Governo di galantuomini (le eccezioni confermano la regola), in sospensione temporanea di una “politica” faziosa e diseducativa.
La riforma che le persone per bene si attendono è una rimoralizzazione della nostra società, cosa non facile e che comunque non può fare la politica finché resta faziosa e demagogica. Cosa servirebbe? In primis una seria e costante lotta all’evasione fiscale, tanto più dura quanto più coinvolge gli abbienti che potrebbero agevolmente pagare, ma che accampano le più diverse scuse per giustificare il loro scorretto comportamento; una revisione della disciplina delle società (troppe cambiano nome, amministratore etc. solo per depistare i controlli), e poi le liberalizzazioni, intese nel senso più generale di lotta a tutte le posizioni di privilegio e di non accettazione delle concorrenza. Sicuramente tassisti, farmacisti, edicolanti, professionisti in genere, possono dare un contributo, ma più in termini di nuova occupazione minuta che di forte incidenza sui prezzi dei servizi.
Ma “Caro Presidente” non prendiamoci in giro, sono ben altri i capitoli dei grossi cartelli: assicurazioni, energia, catene della grande distribuzione, trasporti, comunicazioni, servizi locali in mano al pubblico, punto di forza del clientelismo. Un esempio: in un paese del viterbese le compagnie petrolifere hanno soffocato i distributori “bianchi” e oggi tutti i (troppi) distributori praticano lo stesso prezzo, dividendosi una torta che si rimpiccolisce. Ma dalle cose piccole spesso si vedono le grandi: a quando una borsa del gas e dei prodotti petroliferi come quella dell’elettricità? Per non parlare degli sprechi che ancora tormentano la sanità pubblica.
E poi c’è un problema ancor più grande che la vicenda Malinconico ha messo in evidenza: ma davvero serve un codice etico per chi ricopre cariche pubbliche, normalmente ben retribuite? Davvero serve una legge anticorruzione? Probabilmente sì, ma certo a quasi tutti gli italiani nessuno si sognerebbe di offrire soggiorni gratuiti in località prestigiose. Ai tempi di mio padre certi regali non venivano accettati, anche se non comportavano contropartita. C’era il pudore anche solo di sembrare disonesti. Allora l’Italia cresceva e da un povero e arretrato Paese agricolo si trasformava in una ricca società industrializzata.
Se verrà mancata ancora una volta questa vera, grande, riforma di affermazione del merito, al di là delle combines e delle cordate, perché meravigliarsi che i giovani studino poco e male, che i lavoratori non curino la produttività, che i sindacati difendano l’articolo 18, che i mitici “imprenditori” (che, guarda caso, hanno monopolizzato tutta la stampa) pretendano per sé tutto il grasso rimasto. Non vorremmo che tramontata l’epoca della “classe operaia va in Paradiso”, si proletarizzasse anche la classe media e restino oltre la linea di galleggiamento solo i ricchi.
Monti faccia proprio il detto “a ciascuno il suo”, senza guardare in faccia a nessuno. Solo così la sua opera, nata per una contingenza, non sarà legata alla pura contingenza.
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