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Standard & Poor’s: fino a quando abuserai della nostra pazienza?

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di Aroldo Barbieri
Fino a quando abuserai della nostra pazienza? La famosa frase di Cicerone a Catilina potrebbe e dovrebbe essere usata per le agenzie di rating americane, fra le quali Standard & Poor’s, che ha declassato l’affidabilità di quasi tutti i debiti pubblici dell’area Euro. Si tratta, come ognuno sa, di agenzie private ben legate alle grandi banche di affari americane e ai fondi di investimento, irresponsabili, che niente dissero ai tempi in cui cresceva la bolla della speculazione, prima di borsa, poi immobiliare, che ha portato allo sboom del 2008, come è logico per chi vive in strutturale conflitto di interessi. La tecnica è collaudata: prima si avverte e con ciò parte la prima bastonata, poi a distanza di qualche mese parte la seconda. Del downgrading di quasi tutti i Paesi dell’area Euro, Francia in testa, offende proprio il momento scelto, quando cioè le borse europee stavano riprendendo fiato insieme alla moneta unica, e soprattutto all’indomani dell’impegno della Germania ad accettare un fondo salva stati più importante. La prima conseguenza sarà proprio quella di rendere più caro il finanziamento del fondo in questione. Un onere in più per l’Europa e un affare in più per la speculazione internazionale, che continuerà a banchettare sulle difficoltà dell’Europa nel suo complesso e dei Paesi europei meno virtuosi. La conferma della tripla A per la Germania (gli altri stati: Olanda, Lussemburgo, Finlandia pesano poco) allarga lo spread fra il primo della classe (che fruisce di condizioni di credito migliori di quanto meriterebbe) e gli altri, rendendo più difficile la vita di quasi tutta l’Europa.
Quelle agenzie di rating che chiusero gli occhi davanti all’ingigantirsi dei debiti privati e pubblici degli USA e dell’ Inghilterra (anch’oggi ben poco virtuose) ora sono intransigenti nei riguardi dei debiti pubblici di molti stati europei, cercando di costringere la BCE a divenire quel che la Germania non accetterà mai: una banca centrale che, come la FED, stampi moneta a gogo.  
Che fare? Poiché al momento non è possibile sostituire il dollaro (ma l’Euro gli ha messo un certo spavento), che senza la potenza militare e coloniale USA e soprattutto senza l’influenza sui mercati della finanza americana, di cui le suddette agenzie sono espressione (ne sa qualcosa lo stesso Obama, impegnato a riportare il lavoro in terra americana, che deve cercare di non urtare troppo il grande capitale speculativo, che oggi patologicamente vale otto volte le attività reali) avrebbe peso ben minore, due sono i passi da fare: creare agenzie di rating sovraordinate e non legate ad interessi privati che possano intaccare il monopolio americano e soprattutto introdurre quella tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin tax) chiesta da Sarkozy (oggi duramente bacchettato) e che, se applicata da tutti, toglierebbe molte armi alla speculazione, oltre ad introdurre un principio di equità: non si capisce perché se si acquista una casa si debbano pagare delle imposte, mentre nulla o quasi è dovuto da chi gioca in borsa. Ma proprio USA e Gran Bretagna, i primi responsabili della crisi culminata nello sboom del 2008 dicono di no.
Certamente perciò in fase di avvio si tratterebbe più di un’affermazione di principio che altro, ma il fatto che l’Inghilterra si opponga per salvaguardare Londra come prima piazza finanziaria europea dovrebbe spingere al farlo. Oggi viviamo in un assurdo: Londra è infatti la piazza finanziaria europea per eccellenza, ma l’Inghilterra non solo non fa parte dell’Euro, ma non intende farne parte. Fa parte dell’Europa a 27, ma più con l’atteggiamento di chi partecipa per controllare e fruire di doppi vantaggi (ha la tripla A con un debito che complessivamente è maggiore di quello dell’Italia, oggi a BBB+) che per un comune destino, che non potrebbe essere diverso da quello di dare vita ad una realtà che complessivamente possa bilanciare le aree giganti del mondo: Asia sudorientale, Nordamerica, Sudamerica, Oceania. Altrettanto può dirsi della Svezia e della Danimarca, che strumentalmente prendiamo a modello per alcuni aspetti del welfare, difficilmente applicabili da noi. Diversamente saremo sempre sotto ricatto e magari di qui a pochi mesi, se e quando l’Europa rialzasse la testa, a partire con il downgrading sarà Fich, la terza delle agenzie di rating americane, che colpiscono nella stessa direzione, ma in tempi diversi.
Dobbiamo deciderci: o consideriamo l’Euro non la moneta dell’Europa, ma una delle tante insieme alla sterlina e allora sarebbe meglio privilegiare il mercato unico, rinunciando all’integrazione vera e propria, oppure dobbiamo accelerare e costringere chi sta con i piedi su due staffe. Le situazioni ambigue alla lunga sono mortali, mentre le crisi alle volte tornano utili. Basta saperne cogliere il messaggio e scegliere di conseguenza. Diversamente se ne hanno solo i danni.
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