Europa - News and Society

European News Portal

  • Full Screen
  • Wide Screen
  • Narrow Screen
  • incrementa grandezza carattere
  • Default font size
  • Riduci grandezza carattere

Syria on the edge - Pagina 2

E-mail Stampa PDF
Indice
Syria on the edge
Versione italiana
Tutte le pagine

Le proteste popolari che hanno caratterizzato la regione del Medio e Vicino Oriente sin dal marzo 2011 non sembrano aver comportato per la Siria gli stessi radicali cambiamenti che si sono verificati altrove. Così, mentre in Tunisia, in Libia, in Yemen, e per certi versi in Egitto, si è assistito ad un cambio di regime, dopo quasi un anno Bashar al-Assad continua ad inviare le proprie truppe per abbattere l’opposizione mettendo a ferro e fuoco varie città, tra cui Homs, Hama, Idlib e Zabadani.
E mentre la repressione militare contro la popolazione fa aumentare quotidianamente il numero delle vittime, una soluzione negoziata è ancora lontana. Tutti i tentativi della Lega Araba di costringere Assad a dimettersi ed a porre fine al massacro dei civili sono falliti, inizialmente in ottobre, quando una Risoluzione ONU di condanna alla violenza in Siria si è scontrata con i veti di Russia e Cina; e successivamente in gennaio, con l’inutile invio di osservatori che sono caduti ostaggio di una struttura militare impegnata ad impedire loro ogni libertà di movimento.
La più recente proposta per la creazione di una forza di interposizione è ancora al vaglio delle Nazioni Unite e degli ambienti diplomatici. Ma il Ministero degli Esteri siriano ha immediatamente chiarito che il proprio Governo si opporrà a qualunque intervento straniero nelle questioni interne del Paese. E il regime può contare sull’appoggio fermo della Russia, che, dopo il precedente della Libia, vede questa possibilità come un nuovo e pericoloso attacco al principio della sovranità nazionale. In realtà, l’atteggiamento della Russia non deve stupire, in considerazione del vuoto democratico che lo stesso Cremlino sta sperimentando.  Colpita da accuse di brogli elettorali e intimidazioni politiche durante le ultime elezioni, ossessionata dal retaggio storico di superpotenza durante la Guerra Fredda, e mossa da interessi economici nella regione, l’attuale amministrazione russa non rinuncia a mantenere la sua influenza in Siria. Contratti per la difesa del valore di 4 miliardi di dollari, insieme alla decisione di tenere in piedi il delicato equilibrio in una delle aree geopolitiche più critiche e alla volontà di evitare un possibile coinvolgimento delle potenze occidentali con il pretesto dell’intervento umanitario, sono garanzia sufficiente per un fermo sostegno ad Assad. Inoltre, la pratica messa in atto dagli Stati Uniti e dai suoi alleati di ricorrere all’intervento umanitario a giustificazione di operazioni militari in territori stranieri ha certamente destato molte preoccupazioni nei russi e nei cinesi, poiché sia Mosca che Pechino non hanno un record positivo per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e quindi non amano la prospettiva di tale ipotetica giustificazione futura per una intrusione inappropriata da parte della comunità internazionale in ciò che viene categoricamente considerata una questione interna.
Sul piano internazionale Damasco beneficia anche dell’appoggio di Teheran e degli Hezbollah libanesi, entrambi canali di rifornimento di armi, e delle divisioni interne alla Lega Araba. Fino ad ora, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono limitati a imporre sanzioni economiche e a qualche dichiarazione pubblica di condanna per le brutali repressioni, chiedendo al Presidente siriano di dimettersi. Difficoltà economiche interne e costosi conflitti decennali in Iraq e in Afghanistan che hanno comportato perdite significative in termini di vite umane sono tra i motivi principali dell’atteggiamento prudente dell’amministrazione Obama, la quale dovrebbe giustificare altre spese in caso di un nuovo intervento militare con una campagna elettorale già in corso. Anche la politica dell’UE è inesistente: colpita da problemi economici al suo interno, gli Stati membri sono alquanto riluttanti ad impegnarsi in un’azione diretta senza la leadership americana e in presenza dell’opposizione di Cina e Russia.
Sul piano interno, il regime è ben lontano dall’essere sull’orlo del collasso. I gruppi di opposizione non riescono a parlare con una sola voce e le defezioni interne all’esercito non vanno necessariamente ad ingrossare le fila dell’Esercito Libero Siriano, che sono dotate di sole armi leggere e che devono fare i conti con le cellule di al-Qaida che, secondo l’intelligence americana, cercano di influenzare l’opposizione con attacchi terroristici contro l’esercito di Assad e di facilitare l’ingresso dall’Iraq di coloro che vogliono entrare in Siria per combattere il regime, raccogliendo in tal modo consensi a favore della causa della jihad. I jihadisti sono anche particolarmente ansiosi di aiutare l’opposizione a sbarazzarsi dell’odiato regime degli Alawiti, un gruppo minoritario sciita colpevole di aver governato il Paese secolarizzandolo, a discapito della Shari’a.
Sebbene in Siria gli Alawiti, a cui appartiene la famiglia Assad, rappresentino una minoranza, sono tuttavia riusciti nel tentativo di raccogliere appoggi tra l’élite sunnita, tre i membri influenti della comunità religiosa, tra le altre minoranze e tra i gruppi economici, che sotto il governo alawita hanno visto i propri interessi protetti e che adesso temono di venire emarginati e di subire rappresaglie in un eventuale dopo-Assad. Come giustamente hanno sottolineato alcuni analisti, vi è differenza tra le proteste siriane e quelle dei movimenti della primavera araba, in quanto le prime non nascono nelle aree agiate urbane, ma nella povera periferia rurale, dove il malgoverno e la corruzione hanno avuto una maggiore incidenza.
Quindi ragioni sia interne che internazionali spiegano perché Assad è ancora al potere e anche perché lo manterrà nel breve e medio periodo. Un intervento esterno, in caso si arrivi a questo, dovrà essere attentamente ponderato, considerando le possibili conseguenze disastrose nell’area mediorientale. Al momento, le esortazioni di alcuni analisti che spingono affinché il Presidente americano intervenga per aiutare l’opposizione a rovesciare Assad, o con un’azione diretta sul terreno o tramite l’imposizione di una no-fly zone come nel caso libico, sembrano pericolose se non addirittura sconsiderate. Mosca è determinata a proteggere i propri interessi nella regione e a mantenere Assad al potere. E anche se un rovesciamento del regime è senz’altro possibile, qualunque decisione della comunità internazionale dovrebbe tenere conto del fatto che i gruppi di opposizione che combatto il regime sono divisi e non hanno un programma socio-economico da presentare per ottenere un consenso generale. Inoltre il ricorso alla violenza da entrambe le parti sta spaventando l’ala pacifista del movimento, che potrebbe decidere di abbandonare la mobilitazione per paura di un crollo dell’intera struttura statale, come è successo in Libia. Può sembrare poco democratico, ma per molti un cattivo governo è meglio della mancanza di un governo ossia, come lo definisce la scienza politica, è meglio di un “failed State”, uno Stato collassato.
In questo momento, l’unica soluzione possibile sembra essere un accordo negoziato sull’invio dei Caschi Blu come forza di interposizione che non punti ad un cambio di regime. Se le diplomazie occidentali accetteranno questa condizione, forse riusciranno a convincere Cina e Russia a giungere ad un accordo ed accettare l’intervento delle Nazioni Unite. E mentre le capacità decisionali della comunità internazionale sembrano in fase di stallo, in Siria la violenza continua a mietere vittime.



You are here