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Crescita e quadratura dei conti: perché ora è cosi difficile

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di Aroldo Barbieri
E’ più facile far quadrare i conti, della famiglia così come dello Stato, quando il reddito cresce. Elementare, si dirà, ma sembra ci sia dimenticati di questa ovvietà. Senza crescita, far quadrare i conti equivale ad accettare un ridimensionamento del livello di vita, se basta. Nei casi più gravi si corre il pericolo di un avvitamento verso lo sboom. Questo accade a tutto l’Occidente, in misura maggiore o minore, con una sola signficativa eccezione, tra i Paesi che contano, la Germania, un Paese che per di più si trova all’interno della parte dell’Occidente più provata dalla globalizzazione: L’Europa. Rientrare dei debiti cumulati nel tempo è oggi più difficile che in passato perché la globalizzazione ha messo a confronto le grandi aree del mondo, di cui la più dinamica è senza dubbia quella asiatica, ma un significativo dinamismo mostrano anche quella oceanica e sudamericana. Un discorso a sé va fatto sia per gli Usa che l’Europa.
I primi sono avvantaggiati non solo dall’essere ancora la prima potenza mondiale, dall’avere attraverso le grandi banche e Wall Street il primo posto nella finanza, dal poter vantare la ricerca scientifica di migliore livello, ma anche dall’essere confinanti con due Paesi assai vivaci: Il Canada e il Messico. E’ noto che gli Stati Uniti, prima causa della crisi del 2008-9 da eccesso di finanza, di cui l’attuale dell’economia reale è in gran parte la conseguenza, hanno in mano un altro importantissimo atout: il dollaro, la moneta base della transazioni internazionali, che gli USA manovrano per ridurre l’impatto delle crisi e farne carico ai concorrenti. In un simile contesto, l’Europa è al momento il classico vaso di coccio: ha una popolazione vecchia, un welfare da ripensare, un livello di ricerca mediamente non esaltante, una moneta unica adottata non da tutti gli Stati e per di più senza una politica economica comune.  E’ facile dire Europa, ma cos’hanno in comune la Germania e il Portogallo? Ben poco. La Grecia e l’Inghilterra? Poco di più. Insomma l’Europa è al momento ancora più un’espressione geografica che una realtà. Per di più la nazione oggi leader, la Germania, è portatrice di una visione socioeconomica se non unica, decisamente minoritaria, che però impone agli altri partner, data la sua condizione di forte vantaggio. E’ la  dottrina del raggiungimento dello sviluppo partendo dal risanamento dei conti. E’ giusto? Per quel che si è detto all’inizio è la strada più difficile, ma che la Germania ha già percorso dai tempi della riunificazione, fondata sulla costruzione delle infrastrutture necessarie a dar vita ad un unico Stato, sulla moderazione salariale, sulla solidarietà sociale (che ha portato al minimo numero di disoccupati e alla minore diseguaglianza ), sulla rivalutazione della moneta come conseguenza della capacità esportativa. Oggi gliene ne arrivano i frutti, oggi che gli altri Stati sono quasi tutti in difficoltà, anche perché debbono tagliare o comunque moderare la spesa pubblica. E’ facile perciò per i tedeschi consideare gli altri alla stregua di cicale e proporre la propria ricetta come l’unica giusta. La vicenda greca sta però a dimostare che le cose non stanno così e se al convalescente si impone una cura troppo drastica c’è la quasi certezza che lo si uccida. Il Pil della Grecia nell’ultimo trimestre del 2011 è sceso del 7%. Ovvero gli introiti di casa Grecia sono calati del 7%. Comè pensabile che possa ripagare debiti, che si aggirano intorno al 160% del PIL? Sarebbe più leale passare ad un default pilotato. Ma a questo si oppongono due cose: in primis il pericolo che si inneschi una crisi incontrollata dell’Euro, che passerebbe poi al Portogallo, e forse a Spagna e Italia. Sarebbe la fine della moneta unica, che tanti vantaggi dà alla Germania., favorendo il suo export. C’è poi il problema dell’esposizione delle banche tedesche nel debito greco. Insomma per Berlino è meglio che si prosegua lungo la strada intrapresa: quella di una moneta unica che per i tedeschi è sottovalutata, per molti altri, italiani compresi, sopravvalutata.
Alla logica tedesca si oppone quella degli USA. In particolare il presidente Obama, impegnato nella rielezione, è favorevole a ridurre la disoccupazione, riportare la produzione negli Stati Uniti, ridurre le diseguaglianze sociali, tassando di più i ricchi, incentivare l’economia verde. Il tutto senza dispiacere troppo a Wall Street e alle grandi compagnie petrolifere.  Può farlo perché la FED (e da ultimo anche la Banca del Giappone oltre che quella di Inghilterra) può stampare dollari quasi senza limite. E’ chiaro come le due logiche siano contrastanti.
E l’Italia? Il presidente del Consiglio si barcamena: esalta i tedeschi, portatori del pareggio di bilancio (che applicato così drasticamente riduce tra l’altro gli investimenti di cui abbiamo un disperato bisogno), ma accetta le lodi degli americani, interessati a creare in Europa un cuneo nella rigida osservanza dei voleri di Berlino.  Se potesse scegliere probabilmente sarebbe più vicino alla ricetta Usa che a quella tedesca. Ma non può scegliere: facciamo parte dell’Euro e senza la compiacente sorveglianza tedesca (che da luglio 2011 si è fatta decisa) saremmo già andati a fondo. Siamo un Paese a sovranità limitata. Oggi più che mai in passato, quando i governanti DC andavano a chiedere aiuto all’America.  Ma bisogna far buon viso a cattivo gioco. Dobbiamo tagliare la spesa con cautela, per non deprimere troppo la domanda interna, puntare sull’export (ma se tutti esportano di più chi compra, ora che anche i BRIC crescono più lentamente?), ridurre il debito con una manovra straordinaria, tipo oro alla patria. Come ? privatizzando quel che si può privatizzare senza deprimere gli asset, ma anche tassando in via straordinaria i più abbienti, anche in considerazione che molta ricchezza è stata messa insieme con l’evasione fiscale. Se potessimo ridurlo in poco tempo al di sotto del 100% del PIL, potremmo tornare ad investire, tornando così a crescere. Sarebbe la svolta, sempre che sia stato messo davvero un punto definitivo alla cattiva politica, quella che ha fatto dire a Monti che nei passati decenni i governi italiani hanno avuto più cuore che testa. Un modo elegante per dire che hanno guardato più agli interessi di bottega che a quelli generali, lasciando correre l’evasione fiscale.

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