del Cons. Paolo Luigi Rebecchi
Nel numero di febbraio si è segnalata la relazione tenuta dal presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012, il giorno 16 febbraio 2012. La relazione contiene, tra l’altro, una descrizione dei vari pareri emessi dalla Corte nel corso della audizioni al Parlamento e riguardanti le varie misure anticrisi succedutesi nel corso del 2011.
La lettura degli interventi offre un panorama dello svolgersi della situazione di difficoltà economica e finanziaria del nostro Paese che è stato contrassegnato, nel corso del 2011, dalla adozione di diversi provvedimenti diretti al contenimento della spesa ed alla razionalizzazione dei conti pubblici i cui effetti si rivelavano via via insufficienti al contrasto della crisi di sistema fino alle ultime misure adottate dal nuovo Governo. L’attività della Corte in questo settore, definita “ausiliaria” del Parlamento, si è articolata in quattordici audizioni presso le commissioni bilancio, finanze e tesoro e affari costituzionali e presso la commissione bicamerale per il federalismo che si sono occupate , tra l’altro del noto disegno di legge in materia di prevenzione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione (d.d.l. AC 4434 - 14 settembre 2011).
Nello specifico la Corte è stata sentita in particolare sulle tre manovre di finanza pubblica del 12 luglio, del 30 agosto e del 9 dicembre 2011. La prima manovra di riequilibro finanziario è stata affrontata dal precedente Governo con il d.l. n. 98/2011 convertito nella legge 111 del 15 luglio 2011. Con tale decreto era stata definita una correzione dei conti pubblici di circa 25 miliardi nel 2014, per giungere a tale data al pareggio del bilancio. La restante parte della correzione programmata (15 miliardi) era legata all’attuazione del progetto di legge delega sulla riforma fiscale e assistenziale, al quale erano riferiti i risparmi di spesa per la riduzione di agevolazioni assistenziali e aumenti di entrate connessi al ridimensionamento di agevolazioni di natura fiscale, all’armonizzazione della tassazione delle rendite finanziarie, all’eventuale aumento delle aliquote iva ed ai recuperi di gettito dalla lotta all’evasione fiscale. Era inoltre prevista una clausola di salvaguardia destinata a garantire i risparmi attesi, anche in assenza di approvazione della delega. Si sarebbero infatti attivati automaticamente tagli orizzontali tra il 10 ed il 15 per cento delle agevolazioni fiscali, che secondo valutazioni del ministero dell’economia potevano riguardare una base di circa 160 miliardi. La Corte, nell’audizione parlamentare del 13 luglio , aveva rilevato in sostanza, una modifica degli indirizzi programmatici a suo tempo definiti nel Documento di economia e finanza, con il maggior rilievo assegnato nella manovra a maggiori entrate. La Corte aveva espresso un parere di larga condivisione, in particolare con riferimento alla scelta di abbandonare i tagli lineari in materia di spesa e di disporre un programma di “spending review”. La manovra era dalla Corte considerata impegnativa per gli enti territoriali chiamati a rispettare più severi limiti di bilancio. Sotto altro profilo veniva peraltro evidenziato il rischio di un abbattimento della spesa destinata agli investimenti e il pericolo per l’economia del crescente ricorso alla leva fiscale e tariffaria.
L’andamento della crisi portava all’adozione di un nuovo provvedimento , il d.l. 138/2011 convertito nella legge 148 del 14 settembre 2011, sul quale la Corte veniva sentita il 30 agosto 2011. La manovra aveva tra l’altro lo scopo di anticipare al 2013 il pareggio del bilancio, obiettivo concordato a livello europeo come condizione per il sostegno dei titoli italiani da parte della BCE. Veniva tra l’altro rilevato che il ricorso prevalente alla leva fiscale (quasi tre quarti della manovra sommando interventi diretti ed indotti) ed in particolare le modalità di intervento prescelte, determinando una compressione del reddito disponibile , accentuava i rischi di effetti depressivi. Ancora veniva sottolineato che la delega fiscale, da strumento di redistribuzione del carico fiscale, diveniva mezzo per il reperimento di ingenti risorse aggiuntive (fino a circa 20 miliardi) per la correzione dei conti pubblici. Lo stesso documento governativo conteneva proiezioni per le quali, sommando gli interventi già contenuti nel d.l. 98/2011 si realizzava un aumento della pressione fiscale di circa 2 punti ( dal 42,6 per cento al 44,5 per cento), cui si sarebbero aggiunti, a partire dal 2012 gli incrementi derivanti dalla fiscalità regionale e locale connessi all’inasprimento dei limiti finanziari previsti a carico di tali enti. Le due manovre correttive dell’estate 2011 avevano portato a “tagli” di circa 60 miliardi. Alla legge di stabilità 2012 era assegnata la funzione di ripartirli all’interno delle amministrazioni centrali e di attivare l’utilizzazione delle risorse accantonate, prevalentemente nel Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (circa 5 miliardi). Nel frattempo le previsioni sulla situazione economica erano decisamente peggiorate rispetto a quanto ipotizzato nel DEF, con una perdita di PIL di circa due punti nel periodo 2011-2014. I documenti governativi non consideravano adeguatamente, a giudizio della Corte anche gli effetti depressivi associati alla manovra di finanza pubblica. Sarebbe stata pertanto opportuna una manovra correttiva meno sbilanciata sul fronte delle entrate (audizione del 3 novembre 2011).
La terza manovra correttiva, definita dal nuovo Governo, è stata attuata con il d.l. 201/2011, convertito nella legge 214 del 22 dicembre 2011, con l’esigenza di correggere lo scostamento rispetto al programmato pareggio connesso alle previsioni di flessione del PIL nel 2012 e di sostanziale stagnazione nel 2013 . Per il 2013 la manovra prevista è di circa 30 miliardi, per poco meno del 70 per cento riferibile a maggiori entrate. Oltre la metà della manovra è da attribuire alla introduzione dell’IMU, alla rivalutazione delle rendite catastali e all’aumento delle accise mentre un altro 20 per cento dovrà derivare da interventi in materia previdenziale, di cui l’80 per cento connesso alla deindicizzazione dei trattamenti pensionistici.
La Corte ha reso le proprie osservazioni nell’audizione del 9 dicembre 2011. Secondo la Corte era da condividere la decisione di eliminare ogni incertezza intorno al completamento della manovra estiva, in precedenza affidato alla c.d clausola di salvaguardia, ora sostituita da un’entrata certa assicurata principalmente dall’aumento delle aliquote IVA, e , per una quota minore da interventi sulle entrate. E’ stato anche però osservato che l’urgenza di intervenire ha, ancora una volta, prodotto un insufficiente ricorso a tagli strutturali di spesa (se si escludono quelli di grande rilievo, connessi al sistema pensionistico) e la conseguente difficoltà di realizzare compiutamente il sistema di “spending review”. Quanto alla composizione della manovra, pur considerando che la stessa risulta ancora sbilanciata sul lato dell’entrata, la Corte ha evidenziato che le maggiori entrate derivano, positivamente, da entrate “strutturali” (circa il 93% nel triennio) con l’eccezione del bollo sulle “attività scudate” e dalla proroga dell’imposta sostitutiva per il riallineamento delle partecipazioni. Le minori spese sono in maggior parte (ed anche qui una valutazione positiva) “correnti”, mentre con riferimento alle maggiori spese, si tratta in gran parte di spese in conto capitale. Positivo anche il fatto che alle maggiori entrate previste da nuove misure di contrasto all’evasione fiscale “non sono associate previsioni di maggior gettito contabilizzate ai fini della manovra. Si tratta di un approccio che la Corte “non può non registrare positivamente, posto che in passato ha avuto più volte modo di esprimere perplessità e riserve proprio sulla contabilizzazione ex ante di consistenti maggiori entrate legate alla lotta all’evasione di cui però era molto difficile , se non impossibile, verificare l’effettiva realizzazione a consuntivo”.
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