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La crisi degli stati nell’Europa in crisi

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di Giuseppe Blasi 
La presente e persistente crisi economica ha messo  ancor più a nudo ciò che era già da tempo palese, e cioè che l’Europa, in quanto superstato, semplicemente non esiste. Se la famiglia si regge su l’unità dei coniugi e il reciproco affetto con i figli, in una parola con la “solidarietà”, gli stati d’Europa sono di fatto separati in casa.
La grande politica è mancata. Il sogno unitario è momentaneamente accantonato per questioni di soldi. Gli stati “virtuosi” fustigano con la dura verga in mano del più forte quelli che non si sono saputi adeguare alle leggi della finanza imposta, e che, questi sono i tempi, hanno fatto politica consentendo  all’economia, che è solo una parte del tutto, di prevalere sull’uomo organico, complesso quanto complesse sono, le moderne società appartenenti al mondo globalizzato. Non leggi in comune, non un’unica lingua, non intenti conclamati e condivisi, non sistemi educativi per i giovani che abbiano gradi di uniformità. Senza queste basi, e non solo queste, il superstato non è possibile. 
Nel vuoto costruttivo dell’Europa è la Germania a riempire gli spazi del comando facendo leva sulla sua forza economica; sarà ora la Francia a tentare di contenere tale supremazia non per favorire l’unità, ma unicamente perché i francesi ricordano la “grandeur” e mal sopportano una condizione subalterna. Il nuovo presidente Hollande proverà a mostrare i muscoli solo e unicamente per trarre vantaggi per il proprio paese, non certo le sue azioni saranno in favore della comunità degli stati che, sulla carta, si ritengono “comunità europea”.
 Ancor più i popoli. Questi hanno compreso che non solo l’Europa non esiste, ma che forze enormi e sconosciute manovrano i circuiti della finanza per arricchire se stesse affamandoli. I cittadini di Grecia e Portogallo prima, di Spagna e Italia poi, sebbene con le dovute differenze, stanno malauguratamente rivedendo i loro atteggiamenti nei confronti di un’entità che, invece di difendere il livello raggiunto delle loro esistenze, li richiama ai sacrifici in nome del nulla. Perché un dato è certo: con eccezione di una legislazione di piccolo cabotaggio e a volte incomprensibile nelle finalità e nei vantaggi comuni, l’Europa, per la sua parte più responsabile, e cioè la sua dirigenza politica, non ha mai dato dimostrazione né di coesione, né di capacità costruttiva di un superstato in grado di fronteggiare come unico corpo politico, economico e più in generale civile, i problemi posti dalla globalizzazione e dai nuovi assetti strategici che si vanno configurando. Altri sono coloro che decidono le sorti del mondo. Bene che vada, gli stati europei, si comportano come nobili decaduti di fronte ai giovani leoni dell’ex mondo in via di sviluppo, al quale offrono un’amicizia che sa di penosa richiesta di collaborazione subordinata.
Se non così fosse, se l’Europa esistesse davvero ad esempio, i marò italiani probabilmente sarebbero già nelle loro caserme o nelle loro case e i cittadini greci non sarebbero stati costretti a ritirare i loro piccoli risparmi dalle banche per timore di possibili carenze di liquidità.
Se l’Europa esistesse davvero, essa disporrebbe anche di una propria politica energetica; cosa che non è, dal momento che ciascun paese governa questo settore secondo i propri intendimenti e presumibilmente senza neanche una parvenza di consultazioni in proposito. A fare cartello sono semmai le compagnie petrolifere, non certo i paesi europei consumatori.
Per dirla con il latino dei moderni, l’inglese cioè, a questa politica manca una “vision” e una “mission” che invece i padri fondatori d’Europa avevano ben chiara.
Non è gradevole da parte di un italiano fare queste amare constatazioni proprio nel momento in cui deve muovere le medesime critiche alla politica nazionale, priva questa di progetti come dei fondamentali etici che tengono uniti i popoli. Ma se questo è il convincimento, non difetta tuttavia né la speranza né la fiducia che in futuro non si potrà altro che migliorare purché venga smentita la massima del Gattopardo che voleva tutto si cambiasse perché tutto restasse come prima. E’ invece necessario che tutto cambi, in primo luogo con l’abbattimento della supremazia della finanza sull’essere umano, perché questo possa riacquistare fiducia in un percorso ancora appena tracciato che, sebbene estremamente arduo e in salita, non è impossibile da percorrere.
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