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Euro: è ancora la moneta unica. Manca la crescita

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di Gino Falleri
Euro si, euro no. E’ stato il dilemma che ha tenuto in apprensione l’Unione europea, e in particolare i paesi maggiormente indebitati, l’obiettivo primario della speculazione finanziaria, fino alla conclusione del Consiglio di Europa, che si è tenuto a Bruxelles il 28 e 29 giugno nel palazzo Justus Lipsius. La grande paura che l’eurozona andasse a farsi benedire c’era ed era palpabile per le posizioni contrapposte, come peraltro lo spettro di una ulteriore crisi che si aggiungesse a quella già esistente. Ha prevalso l’interesse generale.
Le misure adottate nella capitale belga hanno trovato per ora una risposta positiva. La borsa di Milano venerdì, giorno dei SS. Pietro e Paolo, ha chiuso con un più 6,6 per cento. Un record, che dovrà avere delle conferme. Per alcuni i segni più, registrati dalle borse, sarebbero dovuti solo a fattori tecnici. Comunque sia, le conclusioni del Consiglio d’Europa hanno fatto scrivere a Romano Prodi sulle colonne de Il Messaggero - è stato il capo della commissione e conosce bene le segrete pieghe delle istituzioni comunitarie - “che sono state allentate molte rigidità e si è finalmente accettato il principio di una ricapitalizzazione diretta delle banche e di un meccanismo per diminuire la pressione della speculazione sul debito italiano e spagnolo. E’ stata data una prima risposta concreta all’emergenza”.
Le decisioni di Bruxelles, sia pure parziali e ritenute da alcuni economisti un analgesico poiché al momento non forniscono certezza sulla crescita ed incidono minimamente sull’esposizione debitoria dell’Italia, Spagna, Grecia ed ora anche di Cipro - senza contare Irlanda e Portogallo - hanno consentito ai soliti politici, quelli che ritengono di poter salire ancora più in alto, ed alla quasi totalità della stampa di tessere elogi e giudizi che non corrispondono molto alla realtà. La strada è ancora in salita e le previsioni sulla nostra crescita non incoraggianti per una pluralità di motivi, che sono sotto gli occhi di tutti.
Hanno suonato persino una specie di marcia trionfale nei confronti del nostro presidente del consiglio dei Ministri, che senza dubbio con la sua sobrietà e prestigio cattedratico sta facendo risalire le quotazioni dell’Italia in seno alla comunità internazionale. Tuttavia fino ad ora non ha ancora dimostrato, anche per le difficoltà che incontra, di essere quel demiurgo che l’opinione pubblica riteneva potesse essere  all’atto del suo insediamento a Palazzo Chigi.
Comunque i giudizi che contano li esprimono le urne e a fine marzo prossimo le sorprese non mancheranno. Quale credito può avere chi direttamente od indirettamente per anni è stato in parlamento e poco e niente ha fatto per evitare l’attuale situazione? E quale chi, pur avendo le giuste maggioranze, non ha dato vita a quelle riforme che un paese moderno chiede? 

Nelle settimane antecedenti la riunione dei 27, pure subito dopo il quadrangolare di Roma, l’apprensione c’era. Era palpabile e non erano mancate le previsioni su quanto poteva accadere. I media non si sono sottratti in analisi ed anticipazioni. “Salvate il soldato Euro” è stato il titolo carico di effetto apparso sulla copertina di un settimanale di grande diffusione  e con un chiaro riferimento al film a suo tempo diretto da Steven Spielberg. Ha suscitato nel cittadino comune interrogativi e riflessioni. Tanto che si è chiesto, non senza preoccupazione, se eravamo arrivati per davvero alle ultime battute dell’euro, la moneta unica che ci sta accompagnando dall’inizio del Terzo Millennio.
E’ andato oltre chiedendosi quali scenari potevano schiudersi, nell’ipotesi di un suo crollo, e in quale misura sarebbero stati preoccupanti per i soliti noti. Per i cittadini a reddito fisso, coloro che corrispondono tasse ed imposte fino all’ultimo centesimo. Se non lo fanno interviene Equitalia, che agisce in base alle regole che gli hanno fissato i personaggi che abbiamo inviato a rappresentarci nelle istituzioni elettive.
Sono sempre loro a sopportare i sacrifici, che si “impongono” ogni qualvolta è necessario stringere la cinghia. Chi invece fa parte di particolari categorie, diciamo forti, gode di protezione e di non pochi vantaggi. Trova collocazioni prima degli altri, non ha tetto per pensioni e retribuzioni ed inoltre può anche percepire doppi emolumenti. Significativi sull’argomento sono i libri di Mario Giordano dal titolo “Sanguisughe” e “Spudorati”. Una mancanza di equità che spinge alla disaffezione nei confronti della politica  e dell’attuale intera classe dirigente.
La crisi non è passata ed il pareggio di bilancio costituisce l’obiettivo primario per poi pensare a come ridurre il gigantesco debito che abbiamo accumulato: il rapporto con il Pil è del 123,5 per cento. Il governo sta ipotizzando, per ridurre la spesa corrente e non essere costretto ad aumentare a settembre di un punto l’iva, di abbassare l’importo dei  buoni pasto degli statali. Non più 7 euro, ma 5,29, mentre resterebbero inalterati quelli dei dipendenti delle tre maggiori istituzioni.  Pensa pure di collocare a riposo qualcosa come 10 mila statali. Sindacati permettendo, s’intende. Se si deve ridurre la spesa si potrebbe cominciare dai consulenti ed abolendo strutture e microcosmi pubblici la cui utilità è tutta da dimostrare.
L’equità vorrebbe, se la misura si rendesse indispensabile, di ridurre l’importo dei buoni pasti a tutti i pubblici dipendenti. Nessuno escluso. Più devastante, come l’esplosione di una bomba atomica, è un’altra idea che frulla sulla testa dei tecnici che si interessano di spending review: bloccare la 13° mensilità degli impiegati statali. Una iniziativa dagli effetti imponderabili e si auspica che sia solo una battuta, come quella della professoressa Fornero sul lavoro. Ha affermato che il lavoro non è un diritto, nonostante la nostra costituzione affermi solennemente che la repubblica è fondata sul lavoro.
E’ stato accennato all’informazione per le sue analisi ed approfondimenti sull’euro e al suo ruolo nella società multietnica aggiungiamo. Con quella serie di leggi e leggine approvate lo scorso anno per mettere a pareggio i conti pubblici, il legislatore ha detto qualcosa sulle professioni, che finora, nonostante gl’impegni assunti, non sono mai state riformate secondo le esigenze della società contemporanea. Ebbene, qualche novità c’è. Una riguarda proprio i giornalisti. Hanno l’obbligo di sottoporsi alla formazione permanente, sebbene il legislatore non abbia voluto statuire che chi aspira a diventare giornalista professionista deve possedere almeno la laurea breve. Quella triennale.
E’ una dimenticanza o dietro c’è qualcos’altro? Infine i pubblicisti. Nonostante siano una parte dell’albo, e contribuiscano non poco al pluralismo, non sono considerati ed apprezzati dagli iscritti all’altro elenco, quello dei professionisti. Chiedono, tra l’altro, la loro drastica riduzione negli organismi rappresentativi. L’emarginazione. Ma un simile atteggiamento non potrebbe costituire una spinta per andare a cercare rifugio presso altri organismi di tutela più propensi all’eguaglianza? Sono domande. Si aspettano le risposte.

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