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Il contenzioso comunitario dell’italia nel 2011

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Relazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti nel giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato

 

 

del Cons. Paolo Luigi Rebecchi
In occasione del giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato dell’esercizio finanziario 2011, tenutasi a Roma, nell’aula delle sezioni riunite della Corte dei conti il giorno 28 giugno 2012, il procuratore generale Salvatore Nottola, nell’intervenire nel giudizio in applicazione degli artt. 39, 40 e 41 del t.u. delle leggi sulla Corte dei conti (r.d. n. 1214 del 12 luglio 1934)  ha depositato anche una relazione scritta (reperibile integralmente su www.corteconti.it). nella quale sono stati trattati i temi ritenuti più rilevanti della gestione della pubblica amministrazione nel corso dello stesso anno. In particolare sono esaminati gli aspetti salienti delle nuove regole del bilancio dello Stato, della manovra del 2011, del debito pubblico, delle eccedenze di spesa, della sanità pubblica, dell’attività contrattuale della p.a., dell’incidenza della corruzione sul bilancio dello Stato, dei costi della politica, delle azioni collegate al bilancio comunitario, della gestione dei beni culturali. Inoltre è stato sviluppato il tema (relatore il  v.p.g.  Cinthia Pinotti) del contenzioso in sede comunitaria. E’ stato osservato che  il contenzioso dell'Italia con l'Unione europea può produrre rilevanti conseguenze sul piano finanziario. Infatti “…la violazione degli obblighi derivanti dai Trattati (sia sotto il profilo di generiche violazioni del diritto comunitario, sia per la mancata trasposizione delle direttive) espone in primis lo Stato alla procedura di infrazione che può essere attivata ad istanza della Commissione CE ai sensi degli artt. 226 e 228 CE ora artt. 258 e 260 TFUE. Gli esiti di detta procedura che (ove la Corte di giustizia accolga il ricorso della Commissione) si conclude con una sentenza della Corte che accerta l'inadempimento ed obbliga lo Stato a porre termine alla violazione, possono tradursi in effetti finanziari diretti ed indiretti a carico del bilancio dello Stato. L'obbligo di conformarsi alla sentenza può infatti implicare l'adozione di una serie di misure (legislative, amministrative....) che comportano una dislocazione di risorse pubbliche destinate ad incidere come partite attive (si pensi al recupero di aiuti di Stato illegittimamente erogati presso i beneficiari) o negative (minori entrate/spese amministrative e giudiziarie...) sul bilancio nazionale. Tra gli “effetti indiretti”, vengono ricomprese  le maggiori entrate erariali, le minori entrate erariali, le minori spese, le spese per misure ambientali, i versamenti risorse proprie UE,  le spese impianti telecomunicazione, le spese di natura amministrativa, le spese di recepimento di direttive, le spese previdenziali. “Effetti diretti” sono invece quelli “…connessi all'eventuale sanzione pecuniaria commisurata alla gravità e durata dell'infrazione - irrogata dalla Corte di giustizia a seguito di sentenza (ex art. 228 ) che interviene dopo che è già stato dichiarato l'inadempimento dello Stato…”. Alla data del 14 aprile 2012 erano  132 “…le procedure di infrazione ancora pendenti nei confronti dell'Italia per violazione del diritto europeo di cui sette in materia di affari economici e finanziari, tre in materia di affari esteri, sei in materia di affari interni, tre di agricoltura, trentacinque di ambiente, quattro di appalti, tre di comunicazioni, due di concorrenza e aiuti di Stato, cinque di energia, tredici di fiscalità e dogane, una in materia di giustizia, dodici di lavoro e affari sociali, nove di libera circolazione delle merci, una di libera circolazione delle persone, cinque di libera prestazione dei servizi e stabilimento, due di pesca, dieci di salute, dieci di trasporti, una di tutela dei consumatori. ..”. Si è constatato un primato italiano in materia di ambiente, con 35 casi. Tale situazione è ancora più significativa e “preoccupante”  per “…la circostanza che solo quattro delle procedure avviate riguardano l'omessa trasposizione di direttive, mentre le restanti procedure sono frutto delle violazioni del diritto dell'Unione in materie assai rilevanti ai fini della tutela dell'ambiente , quali il trattamento dei rifiuti, la valutazione e gestione dei rischi da alluvioni, l'uso dei pesticidi, la qualità delle acque balneabili, la conservazione degli uccelli selvatici, e alcune opere specifiche già attuate come la discarica di Malagrotta (di cui si dubita della conformità con la direttiva discariche), e la variante SS Aurelia bis, (con riguardo alla valutazione di impatto ambientale) nonché l'emergenza rifiuti in Campania. Anche le casistiche delle altre procedure pendenti, al di là della dimensione quantitativa per singola materia, denotano nel complesso un ancor non sufficiente grado di consapevolezza della portata applicativa delle regole europee e della loro possibile ampia incidenza sui principi nazionali che portano la Commissione ad attivare nei confronti dello Stato italiano la procedura per inadempimento ai sensi dell'art. 258 TFUE. In ambito comparativo, anche in relazione alla situazione degli altri Stati membri della UE in base alle statistiche della Corte di giustizia risulta che nel 2011 nei confronti dell'Italia sono stati attivati 7 ricorsi per inadempimento , dato che colloca l'Italia in prima posizione insieme alla Grecia, Spagna,e Polonia (sempre con 7 ricorsi promossi) seguita dalla Repubblica ceca (5), Estonia, Irlanda, Paesi Bassi (4), ecc. …”. Per quanto attiene ai “ricorsi per inadempimento nel periodo 1952- 2011” l'Italia ha “…un primato assoluto di 628 ricorsi promossi, seguita dalla Francia con 405…”. Nell'anno 2011 fra le sentenze di condanna pronunciate nei confronti dell'Italia è segnalata  la sentenza di condanna intervenuta in data 24 novembre 2011 Causa C-379/2010, che ha sancito che la Repubblica italiana "escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati  ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell'Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, elimitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado". Va comunque precisato che la sentenza , richiamata anche nel dibattito nazionale sulla riforma della responsabilità civile dei magistrati, fa riferimento alla necessità che non vi siano ostacoli al risarcimento da parte “dello Stato”, non implicando forme di diretta responsabilità del giudice, la cui regolazione rimane nell’ambito delle scelte discrezionali degli Stati membri. Altre sentenze di condanna intervenute nell'arco temporale di riferimento (2011- sino al giugno 2012 ) sono quelle relative al mancato recupero di aiuti di Stato illegittimamente concessi a favore dell'industria alberghiera in Sardegna , che ha dato luogo alla recente sentenza del 29 marzo 2012 Causa C-242/2010, con la quale la Corte ha stabilito che "la Repubblica italiana, non avendo adottato, entro i termini prescritti, tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegittimo ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione 2008/854/CE della Commissione, del 2 luglio 2008, relativa al regime d'aiuto «Legge regionale n. 9 del 1998 – applicazione abusiva dell'aiuto n. 272/98 è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 2 e 3 della predetta decisione". Un’ altra sentenza di condanna in tema di omesso recupero di aiuti di Stato è “…quella del 13 ottobre 2011, Causa C-454/09, con la quale l'Italia è stata condannata per l'omesso recupero di aiuti a favore di New Interline, e quella del 14 luglio 2011 Causa C- 303/09 in tema di omesso recupero a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, nonché quella del 6 ottobre 2011, Causa C-302/09, concernente l'omesso recupero degli aiuti sotto forma di sgravi fiscali, disposti a favore delle imprese nei territori di Venezia e Chioggia…”. Ancora  in tema di omesso recupero di aiuti di Stato illegittimi, si segnala la   sentenza del 17 novembre 2011, Causa C-496/09 resa ai sensi dell'art. 260 TFUE, concernente l'omessa adozione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza 1 aprile 2004, causa C-99/02, Commissione/Italia concernente il recupero presso i beneficiari degli aiuti che, ai sensi della decisione della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, erano stati dichiarati illegali ed incompatibili con il mercato comune (aiuti a favore dell'occupazione mediante i contratti di formazione e lavoro previsti dalle leggi 863/84, 407/90, 169/91 e 451/94). La Corte di Giustizia infatti “…ha stabilito che l'Italia non avendo adottato, alla data in cui era scaduto il termine impartito nel parere motivato emesso il 1 febbraio 2008 dalla Commissione delle Comunità europee ai sensi dell'art. 228 CE (ora 260 TFUE) tutti i provvedimenti che comportava l'esecuzione della sentenza 1 aprile 2004, è stata condannata a versare alla Commissione europea, sul conto Risorse proprie dell'Unione europea, una penalità di importo corrispondente alla moltiplicazione dell'importo di base di euro 30 milioni per la percentuale degli aiuti illegali incompatibili il cui recupero non è ancora stato effettuato o non è stato dimostrato ed è stata condannata al versamento della somma forfettaria di euro 30 milioni sul conto risorse proprie della Comunità. Nella sentenza dunque la Corte condanna l'Italia a versare alla Commissione europea una penalità decrescente per tener contro del recupero degli aiuti presso i datori di lavoro. E il calcolo fissato corrisponde ad un importo base di 30 milioni di euro moltiplicato sulla percentuale degli aiuti che semestralmente non sono stati ancora recuperati, rispetto alla totalità di quelli che, ad oggi, avrebbero dovuto essere recuperati. Da rilevare che nella sentenza (punto 91) la Corte ricorda che l'Italia è ancora inadempiente per diverse sentenze in materia di aiuti di Stato. Si tratta di una sentenza del 2006 per esenzioni fiscali in favore di imprese pubbliche; della sentenza del 2007 sugli aiuti all'occupazione per imprese in amministrazione straordinaria con più di mille dipendenti; della sentenza del 2010 sulle società recentemente ammesse a quotazione in borsa; della sentenza del maggio 2011 per incentivi a società che partecipano ad esposizioni all'estero…”. Viene ricordato che “…la materia degli aiuti di Stato è una di quelle che incide più pesantemente sulla certezza e stabilità delle misure finanziarie a favore delle imprese, imponendo agli Stati un controllo rigoroso della sussistenza dei presupposti delle misure in base alle regole europee per evitare le conseguenze derivanti da decisioni negative su aiuti di Stato illegittimi (si pensi, per citare casi recentissimi ed attuali, alla privatizzazione della Tirrenia, alle conseguenze che su detta operazione potrebbe avere la qualificazione come aiuti di Stato delle sovracompensazioni per gli oneri di servizio pubblico)…”. Quanti ai rinvii pregiudiziali nel periodo di riferimento , su 423 ricorsi 44 provengono dall’Italia, che “…appare la più attiva nella utilizzazione del rinvio pregiudiziale, dopo la Germania che mantiene il primato assoluto con 83 ricorsi proposti nel 2011…” Circa gli organi remittenti in Italia, “…sul totale al 2011 di 1.100 ricorsi proposti dal 1952 al 2011, 110 provengono dalla Corte Suprema di Cassazione, 1 dalla Corte costituzionale, 75 dal Consiglio di Stato, 914 da altre giurisdizioni…”. La sentenza del 21 dicembre 2011, in causa C-482/2010, è stata pronunciata su domanda  proposta dalla Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana relativamente alla interpretazione dell'art. 296 TFUE e dell'art. 41, n. 2, lett. c), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e con la compatibilità di una normativa nazionale che prevede la facoltà, per la pubblica amministrazione, di non motivare i propri atti in presenza di determinate condizioni o di colmare l'omessa motivazione di un atto amministrativo in pendenza di un procedimento giudiziario promosso avverso detto atto. La Corte “…ha statuito di non essere competente a pronunciarsi sulla domanda, e quindi non ha preso posizione sulla natura di giudice del rinvio della Corte dei conti in sede giurisdizionale (natura che, peraltro, dovrebbe essere scontata alla luce dei presupposti elaborati dalla stessa Corte per qualificare un organo nazionale "giudice del rinvio" e cioè l'origine legale dell'istituzione, il suo carattere permanente, l'obbligatorietà della sua giurisdizione, il contraddittorio nel procedimento, il fatto che l'organo applichi norme giuridiche)…”.

 

 

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