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Pakistan - Stati Uniti: un’alleanza difficile

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di Cristiana Era
Lo scorso settembre gli Stati Uniti hanno ufficializzato l’inserimento della rete Haqqani nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Con il suo “safe haven” nel nord Waziristan, al confine con l’Afghanistan, il gruppo talebano è stato al centro di numerosi scontri tra Washington e Islamabad. Da parte americana, infatti, si è più volte puntato l’indice contro il governo pakistano - che non farebbe abbastanza nella lotta al terrorismo - e contro l’ISI (Inter Services Intelligence), i servizi segreti pachistani, accusati addirittura di collusione e protezione degli Haqqani e di altri gruppi estremisti.
Ma questo è solo l’ultimo elemento di attrito in un rapporto che non è mai sfociato in vera alleanza e che ha raggiunto il minimo storico nell’ultimo anno e mezzo. Le relazioni tra i due paesi si fecero più strette negli anni ’80, quando il Pakistan diventò un’area strategica per la salvaguardia degli interessi americani in un Afghanistan sotto il dominio sovietico. Un massiccio programma di aiuti, non solo al governo ma anche ai mujaheddin (amici di ieri poi diventati i nemici di oggi), e la compiacenza verso lo sviluppo di un programma nucleare furono il prezzo dell’alleanza. Ma con la fine della guerra fredda e il ritiro dei sovietici, il ruolo del Pakistan diminuì e la questione nucleare diventò un elemento di frizione. Washington, ignorando le preoccupazioni di Islamabad per lo sviluppo atomico della vicina India, cercò di bloccare il programma pakistano senza riuscirci. Gli Stati Uniti interruppero gli aiuti militari e minacciarono un intervento preventivo, tuttavia il governo forte dell’appoggio della popolazione e dei partiti ignorò gli avvertimenti. Le sanzioni internazionali che seguirono colpirono duramente il Pakistan ma servirono solamente ad accrescere il sentimento di isolamento e le paure nei confronti dell’India, e a diffondere l’antiamericanismo nel paese.
Più recentemente, l’uccisione di Osama bin Laden ad Abbottabad il 2 maggio 2011 con un’azione delle forze speciali americane di cui il governo era all’oscuro, ha messo in forte imbarazzo le autorità pakistane sia sul piano interno che su quello internazionale.  E naturalmente ha scatenato la reazione dei talebani che 11 giorni dopo hanno colpito un’accademia militare presso Peshawar facendo 87 morti e oltre 100 feriti.
I continui raid aerei dei droni americani nelle aree tribali del Pakistan per colpire i terroristi continuano a causare vittime anche fra i civili, con conseguente accentuazione del malcontento popolare locale che costringe Islamabad a chiedere la cessazione degli attacchi sul proprio territorio. L’attacco aereo del 26 novembre 2011 ha causato la morte di 24 militari pakistani, portando alle stelle la tensione tra i due paesi. Il Pakistan ha reagito immediatamente chiudendo i corridoi di accesso all’Afghanistan alla missione ISAF e costringendo le forze della coalizione ad utilizzare percorsi più lunghi – e più costosi - per garantire i rifornimenti via terra alle truppe NATO. La questione dei droni è un elemento di forte tensione fra i due alleati. Per gli Stati Uniti rappresentano la via d’uscita alla necessità di stanare le cellule terroristiche senza ingaggiare truppe sul terreno e rischiare altri morti, oltre a quelli in Afghanistan. L’uccisione del numero due di al-Qaida, Abu Yahia al-Libi, lo scorso giugno rafforza le pretese di Washington di proseguire con gli attacchi mirati. Ma le azioni dei droni non sono così precise e il numero delle vittime civili continua a salire, alimentando un diffuso malcontento in una zona critica come il Pashtunistan, dove l’Islam e l’antiamericanismo sono fortemente radicati e dove il governo fatica a implementare una integrazione politica con il resto del Paese. Il malcontento della popolazione nelle aree tribali rischia perciò di provocare l’effetto boomerang, ossia quello di accrescere il sentimento di ostilità nei confronti degli Stati Uniti e di avvicinare la popolazione stessa ai gruppi terroristici come la rete Haqqani. Gli Stati Uniti sembrano ignorare che, al di là del legame esistente con certi ambienti militari e politici, le autorità pakistane non possono intervenire con azioni più incisive, come invece Washington chiede ripetutamente: il rischio è quello di alimentare la percezione di essere al servizio degli americani delegittimando il governo in aree già pericolosamente instabili. E d’altra parte gli Stati Uniti sottovalutano il fatto che gli interessi regionali per il Pakistan sono più importanti della lotta al terrorismo. Il controllo sui gruppi radicali che si nascondono all’interno del territorio significano una maggiore capacità di influenza sull’Afghanistan del dopo-NATO. Fare pressioni e minacciare il taglio dei finanziamenti non può essere una via praticabile. All’inserimento della rete Haqqani nella FTO da parte americana Islamabad ha reagito prudentemente con un profilo basso che ha, per il momento, evitato di riaccendere le polemiche dei mesi precedenti. Non significa, tuttavia, che questo non possa in futuro essere nuovo argomento di contenzioso, soprattutto se l’area dominata dai Pashtun si radicalizza ulteriormente e vede nella rete terroristica stessa un emblema della resistenza all’invasione americana.
In conclusione, il complicato rapporto tra i due Paesi probabilmente continuerà ad essere caratterizzato da fasi altalenanti di crisi e riavvicinamenti. E non potrebbe essere diversamente: sul piano culturale e politico USA e Pakistan non potrebbero essere più distanti, ma gli interessi di entrambi nell’area, le paure reciproche (dell’espansionismo indiano da una parte, dell’arsenale atomico dall’altra), il supporto logistico e i finanziamenti saranno elementi sufficienti per mettere da parte le reciproche diffidenze. Il 2014 rappresenterà una svolta per l’Afghanistan, ma anche un riassestamento degli equilibri di tutta la regione.

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