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Informare è un diritto o una concessione?

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di Gino Falleri
“Come volevasi dimostrare” era, e lo sarà ancora adesso, una affermazione didattica che i professori di matematica pronunciavano tanti anni addietro quando avevano finito di illustrare le ipotesi, le tesi e la dimostrazione di un teorema. La ripeteva più volte il professor Folliero, docente del Ginnasio-Liceo Nazareno di Roma, durante l’ora dedicata alla geometria e non è stata più cancellata dalla memoria. 
A più di un mese di distanza dalla pronuncia della Corte di Cassazione, che ha confermato una condanna senza condizionale a carico di un direttore di giornale per omesso controllo e con motivazioni non da tutti condivise, il “come volevasi dimostrare” può essere preso a prestito per ribadire che i dubbi della vigilia espressi da alcuni non erano privi di fondamento. Il Parlamento, sebbene fosse animato da buone intenzioni, non avrebbe fornito in tempi rapidi una condivisa soluzione, e non lo ha fatto, sull’annoso problema dei reati di opinione. Diffamazione innanzitutto. Tra gli schieramenti politici non c’è alcuna sintonia, ognuno va per proprio conto, e i problemi si incancreniscono in attesa di tempi migliori.       
La proposta di legge all’esame del Senato, con la quale si introducevano a carico dei direttori iperboliche sanzioni monetarie per l’omesso controllo e la reclusione per un anno per i giornalisti, violando peraltro il principio dell’uguaglianza, è stata affossata con 123 voti. Se il legislatore, inteso come Camera e Senato, vorrà apportare i dovuti correttivi alle vigenti norme se ne riparlerà alla prossima legislatura. Tra qualche mese e se sarà inoltre un tema da inserire subito in agenda. Comunque quello che è successo, ha visto tra l’altro un fronte comune tra Fnsi e Fieg, è un segnale da non sottovalutare. 
Il futuro per chi scrive come professione non sarà privo di conseguenze e queste si ripercuoteranno pure sul diritto di informare. Da noi, si può toccare con mano, non ci sono mezze misure: o una eccessiva tolleranza, si pensi all’omicidio colposo commesso lungo le strade per alcool e droga, o tolleranza zero.
Spedire in carcere un giornalista per quanto ha ritenuto di dover scrivere è un ritorno ai tempi bui del Medioevo. Niente di analogo avviene in Svezia, la libertà di stampa data 1767, Svizzera, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Croazia, Serbia e Macedonia. La bocciata proposta senatoriale, analizzata con un’ottica più smaliziata e analizzando il comportamento e le dichiarazioni rese in passato dalla classe politica nei confronti dei giornalisti, potrebbe anche essere considerata alla stregua di una ritorsione, come ritengono i dirigenti della Fnsi. Giustificata dalla volontà di tutelare la reputazione altrui, anche per via dell’inapplicabilità da parte della stampa del diritto all’oblio. Quest’ultimo riscoperto dopo più di un secolo e mezzo. L’ha abbozzato il giudice Thomas M. Cooley della Suprema Corte dello stato del Michigan e  quasi mai rispettato dal giornalismo italiano.
Per fortuna non siamo più ai tempi delle Gazzette in livrea, delle concessioni da parte dell’autorità per stampare e non viviamo nel Cinquecento come sudditi di Elisabetta I. Nel lungo regno della figlia di Enrico VIII ed Anna Bolena c’è un episodio che mostra l’assoluta intransigenza dell’autorità, in questo caso della regina, per una  larvata critica. Protagonista John Stubbs, un avvocato e gentiluomo di campagna. Per aver scritto un libello, con il quale sconsigliava ad Elisabetta di convolare a nozze con il Duca d’Angiò, è stato condannato al taglio della mano destra. Mutilazione avvenuta davanti ad una folla ammutolita e sgomenta per la gravità della pena. 
Quello di Stubbs è uno dei tanti episodi che hanno costellato la difficile e lunga strada della libertà di informare. Qualcosa di simile esiste ancora. E’ sufficiente dare una scorsa ai rapporti annuali di Freedom of House o di Report sans frontiéres per averne cognizione. I giornalisti, quasi ovunque, sono al centro del mirino. Allarmante il rapporto dell’Istituto internazionale della stampa. Nei passati mesi del 2012 sono stati uccisi cento giornalisti per non parlare di quelli che sono stati imprigionati.
Noi non brilliamo nonostante le tante eccellenze di cui disponiamo. Sentiamo comunque affermare dalla nostra classe politica, quasi ogni giorno, che la democrazia è un bene fondamentale, irrinunciabile e da proteggere, le cui fondamenta poggiano sulla Resistenza, e che la libertà di stampa è un bene altrettanto fondamentale. Affermazioni solenni che contrastano con quanto riporta “Ossigeno per l’informazione”. I giornalisti sono minacciati, osteggiati e malmenati. Bene ha fatto la Federazione nazionale della stampa, guidata da Franco Siddi, non solo a far sentire la sua voce sulla proposta di legge, ma a proclamare lo sciopero generale dell’informazione. Un segnale all’opinione pubblica. 
Le articolate motivazioni dello sciopero ribadiscono quanto la Fnsi ha più volte portato all’attenzione dell’Unione europea. Da noi sta diventando oltremodo difficile dare un concreto seguito al diritto di informare, nonché    a quello di essere informati. Ne sa qualcosa la redazione di “Report”, la trasmissione della Rai curata da Milena Gabanelli. Sull’informazione c’è sempre la spada di Damocle dei megarisarcimenti e delle querele a tempo. Al limite dei termini di prescrizione.
Non è solo il reato di diffamazione a mezzo stampa, e le sue conseguenze, a preoccupare i vertici del sindacato unitario. Preoccupano i livelli occupazionali in picchiata per la crisi in atto, la mancanza di risorse pubbliche che portano ineluttabilmente alla chiusura di testate e soprattutto la tenuta dei conti dell’Inpgi. I praticanti diminuiscono di numero e pertanto mancano coloro che contribuiscono ad alimentare il fondo pensionistico. 
Per meglio comprendere la situazione sono da tenere presenti le aperture del Consiglio nazionale dell’Ordine, alle volte unilaterali e non  collegate al dettato legislativo e giurisprudenziale. Portano ad incrementare la categoria dei free lance, che versano i contributi solo per il fondo della gestione separata. E’ anche vero che la professione si sposta dalla redazione a fuori di essa. Se è così diventa indispensabile scrivere regole diverse dalle attuali per l’accesso e rispondenti alle necessità del mercato. Nell’Unione europea sono giornalisti coloro che sono titolari di un contratto ed inoltre la professione è considerata transeunte. Preoccupa inoltre che solo il 45 per cento degli iscritti all’albo sono “ufficialmente” attivi. Gli altri hanno solo flebili interessi.
La crisi, che ha investito l’Europa, non colpisce solo l’editoria dei paesi mediterranei. Persino la stampa tedesca sta registrando un momento di difficoltà ed è stato dato per certo che tra qualche settimana chiuderà i battenti la redazione de “Il Financial Times Deutschland”, l’edizione tedesca del quotidiano finanziario britannico. L’attuale non facile momento ha ripercussioni su Mediaset, il gruppo Espresso, che ha dichiarato lo stato di crisi, nonché Rcs Mediagroup, Per quest’ultimo si parla di 100 uscite dal Corriere della Sera, di 50 dalla Gazzetta dello Sport mentre per i periodici le riduzioni di organico sarebbero più consistenti.
Questo è il quadro attuale della nostra industria dell’informazione, ma non può essere sottaciuta una notizia che non interessa soltanto chi paga le tasse, ma in particolare pure i giornalisti. Per il lavoro che svolgono debbono spostarsi in tutte le località dove è chiesta la loro presenza. Ebbene, il governo dei Professori, sempre alla ricerca di risorse per l’equilibrio dei conti, ben spalleggiato dalle Commissioni Finanze della Camera e del Senato, ha dato via libera al redditometro.
E’ l’ultima trovata per combattere l’evasione. Il fisco è  stato dotato di poteri assoluti. Può persino controllare le telefonate con i cellulari. Una situazione oltremodo preoccupante sul piano della libertà individuale, che finora le forze politiche si sono ben guardate di sottolineare. Anzi, l’hanno avallata. Si potrebbe affermare che quanto aveva a suo tempo anticipato George Orwell si stia verificando nella democratica Italia. Il legislatore ha pure ritenuto di dover invertire l’onere della prova in materia fiscale. Chi ha protestato? Forse Grillo, in uno dei suoi tanti comizi.
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