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Cyber spazio e multidimensionalità

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di Cristiana Era
Grazie ai media internazionali si comincia a parlare più spesso di cyber spazio, di cyber-attacchi e, più impropriamente, di cyber war (o guerra cibernetica). Siamo nell’era digitale, ma al di là delle conoscenze ristrette all’ambito di interesse personale, sono ancora pochi coloro che hanno una chiara percezione di tutte le implicazioni che questo comporta. E in effetti non è facile per i non “addetti ai lavori” – e spesso pure per loro – orientarsi in un panorama indefinito che si contrappone e si sovrappone, si interseca e si interfaccia con il mondo geografico.
Non vi sono confini, ma spazio pressoché infinito, il tempo è infinitesimale e si “naviga” stando fermi in poltrona. Benvenuti nella quinta dimensione, lo spazio cibernetico, tornato alla ribalta recentemente grazie alle incursioni dei pirati informatici, presumibilmente cinesi, sui siti dei media internazionali quali il New York Times, Bloomberg, Washington Post, Reuters, solo per citarne alcuni. Alla notizia della violazione dei siti e delle email personali di decine di giornalisti, è seguita la pubblicazione di un rapporto della Mandiant, società che si occupa di cyber security a livello governativo e che avrebbe individuato il centro degli attacchi in un palazzo di Shangai, una sede delle forze armate cinesi.
Nel caso dei media internazionali, si dovrebbe in realtà parlare di spionaggio cibernetico, più che di attacchi poiché gli “hongke”, gli hacker rossi, non hanno arrecato danno ai sistemi ma si sono intrufolati nei siti, probabilmente per cercare informazioni su giornalisti che trattano di questioni cinesi o per individuare eventuali fonti dissidenti che collaborano con i media. Comunque sia, al di là del risalto mediatico della vicenda, non si tratta di notizia nuova. Da anni ormai si sa (ma non si scrive sui quotidiani) che in Cina ci sono gruppi di hacker “istituzionali” al servizio di Beijing e altri hacker che, privatamente e di propria iniziativa, si divertono a compiere scorribande nei siti di Paesi stranieri in nome di un patriottismo ideologico ancora ben sostenuto dal sistema comunista. Lo sanno i servizi americani, quelli israeliani, quelli francesi, e lo sanno anche quelli italiani.
In realtà, le incursioni nel cyber spazio sono molto più frequenti di quanto si creda. Il fatto che le notizie non appaiano sui media tiene lontana l’opinione pubblica dalla questione, se non in sporadici casi di azioni che hanno un certo rilievo. La notizia della violazione del sito del New York Times è rimbalzata su tutte le principali testate italiane e straniere. Ma pochissimi hanno parlato dell’attacco che ha paralizzato i principali siti di informazione online della Repubblica Ceca lo scorso 4 marzo, oppure dello scambio di attacchi fra hacker malesi e hacker filippini nel primo weekend di marzo, in concomitanza agli scontri di Lahad Datu, nello stato di Sabah (Borneo nordorientale). Quest’ultimo, in particolare, è il primo esempio (conosciuto) di guerriglia contemporaneamente condotta nella prima e nella quinta dimensione (la seconda dimensione è quella navale, la terza è quella aerea e la quarta quella spaziale).
Alcuni osservatori internazionali, così come molti analisti, si sono chiesti se il cyberspazio, annullando il concetto stesso di spazio fisico e limitando al massimo quello di tempo (tempo di attacco, tempo di reazione, ecc.) abbia in qualche modo cancellato o perlomeno fortemente ridotto il concetto tradizionale di geopolitica, ossia, in termini semplici, la posizione geografica come fattore di influenza nella politica internazionale. Arrivare ad immobilizzare il nemico neutralizzandone l’intero sistema o parte di esso, ovunque sia fisicamente localizzato e senza mobilitare le proprie forze armate è un po’ come realizzare la massima più conosciuta dell’Arte della Guerra di Sun Tzu: “ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo”. Anche nel mondo virtuale, tuttavia, l’avversario rimane una entità fisicamente localizzata. L’attacco cibernetico, infatti, colpisce le strutture fisiche e in uno scenario immaginario di cyber war (a cui ancora non siamo arrivati, nonostante venga da più parti impropriamente conclamato) il conflitto in rete può modificare gli equilibri geopolitici e viceversa. Il territorio e lo spazio fisico non spariscono nel complesso sistema di interscambio e di relazioni umane, semmai si modificano in parte per la presenza di una nuova dimensione dei rapporti, che quindi si aggiunge, ma non si sostituisce, a quelle esistenti.
I Paesi in gradi di sferrare attacchi e quelli più vulnerabili sono gli stessi: un sistema è tanto più vulnerabile quanto più tecnicamente avanzato ed informatizzato (che sarà anche in grado a sua volta di colpire gli avversari). L’Italia non ha ancora un sistema difensivo efficace, e la questione della cyber security, pur dibattuta nei ristretti circoli istituzionali, è rimasta un argomento di dibattito a cui però non ha fatto seguito una concreta ed incisiva azione pianificazione strategica nazionale, magari di concerto con il settore privato e gli organismi internazionali. Allo stesso tempo, come rilevato dallo stesso premier uscente Monti, l’Italia è a rischio di attacchi cibernetici che possono paralizzare l’intero Paese. Segue l’annuncio dell’istituzione di unità specializzate, tavoli di coordinamento, decreti ad hoc. Ma i tempi nel cyber spazio sono infinitesimali e gli hacker non aspettano la burocrazia.

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