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Un episodio della guerra austro-napoletana a Ceprano

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di Pier Giorgio Monti (Direttore scientifico del Museo Archeologico di Fregellae – Ceprano)
“…il luogotenente feldmaresciallo conte Nugent aveva raccolte tutte le sue truppe in Roma, ed era marciato per la strada di Valmontone alla volta di Ceprano dove una divisione di truppe nemiche si mostrava decisa a fare resistenza. Egli l’attaccò presso Ceprano, la mise in fuga e le fece parecchi prigionieri. I nemici abbruciarono il ponte, e si ritirarono a San Germano. Il famoso generale napolitano Manhes, altrevolte flagello della Calabria, ebbe il comando in questo fatto d’arme. Egli aveva commesso le più grandi crudeltà contro gli abitanti di alcuni villaggi romani che si erano dichiarati a nostro favore ch’eransi difesi contro gli eccessi delle sue truppe”. Con queste parole uno scarno Bollettino, il numero 11, del Quartiere Generale austriaco, datato 19 maggio 1815, dava notizia di un breve scontro a fuoco contro le truppe franco-napoletane che avevano occupato Ceprano. Un episodio che si inserisce nell’ambito della breve guerra combattuta tra il Regno di Napoli e l’Austria tra il 15 marzo e il 20 maggio del 1815. Era Re di Napoli Gioacchino Murat, cognato e generale di Napoleone Bonaparte, salito al trono nel 1808. Dapprima fedele alleato di Napoleone, se ne era distaccato dopo la sconfitta nella battaglia di Lipsia del 1813 per salvare il proprio Regno. Firmò, infatti, una trattato di pace con gli Austriaci nel 1814 ma dopo il Congresso di Vienna, a causa del quale il suo trono rischiava di ritornare ai Borbone, sfruttando l’entusiasmo suscitato dalla fuga di Napoleone dall’isola d’Elba, dichiarò guerra all’Austria. Durante i Cento Giorni di Napoleone l’esercito franco-napoletano invase l’Italia centro-settentrionale. Due divisioni della Guardia invasero lo Stato Pontificio e constrinsero il papa Pio VII a rifugiarsi a Genova. Con altre tre divisioni Murat si attestò in Ancona, da dove avanzò verso Bologna. Il 30 marzo arrivò a Rimini e da lì emise il famoso Proclama con il quale incitava gli Italiani a liberarsi del giogo straniero. Negli anni successivi, sia il Proclama che la stessa azione militare furono considerati i prodromi del Risorgimento italiano. Una serie di successi arrise all’inizio alle truppe napoletane ma una prima forte resistenza fu organizzata dagli Austriaci a Ferrara. Anche le due divisioni inviate nello Stato Pontificio dopo avere brillantemente conquistato Firenze furono bloccate nell’assedio di Pistoia. Il tentativo di Murat di oltrepassare il fiume Po fu vanificato ad Occhiobello, dove l’esercito napoletano fu pesantemente battuto. Da allora una serie di sconfitte costrinse Murat a ritirarsi in Ancona. Il 2 maggio fu sconfitto nella terribile battaglia di Tolentino e si diresse verso Napoli. Negli stessi giorni gli Austriaci, dopo avere liberato Firenze, erano penetrati a Roma il 30 aprile dove avevano rimesso sul trono il papa Pio VII. Avanzando verso Ceprano avevano di nuovo sconfitto le truppe napoletane e, intercettato Murat nei pressi di San Germano (odierna Cassino), lo aveva sconfitto di nuovo. Murat fu costretto alla fuga all’estero mentre il 20 maggio due generali napoletani firmarono un trattato di pace con gli Austriaci. Come abbiamo visto, Ceprano si trovò nel bel mezzo della guerra. Fu occupata dal generale francese Manhes il 2 maggio del 1815. La città fu “messa a sacco e tre più grandi e belle case bruciate”. Erano queste le residenze urbane del marchese Ferrari; i soldati si abbandonarono ad ogni sorta di ruberie in cerca di oro e di vino. Il giorno dopo l’esito negativo di un paio di scontri a fuoco con l’avanguardia delle truppe austriache, presso Ceprano, convinse il comandante francese a battere in ritirata verso San Germano. Secondo una testimonianza di un capitano italiano al seguito delle truppe franco-napoletane, “il nemico si accorse, dopo le nostre manovre puerili, che i soldati cercavano di battersi ma che i capi ignoravano l’arte della guerra…”. Gioacchino Murat fu catturato dalla gendarmeria borbonica a Pizzo, in Calabria, mentre si accingeva a tentare una disperata riconquista del suo Regno. Fu fucilato il 13 ottobre del 1815.
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