Europa - News and Society

European News Portal

  • Full Screen
  • Wide Screen
  • Narrow Screen
  • incrementa grandezza carattere
  • Default font size
  • Riduci grandezza carattere

Un pianeta in fibrillazione

E-mail Stampa PDF

di Gino Falleri
La domanda è semplice e per niente peregrina. I motivi, le ragioni, per formularla non mancano. Il pianeta Terra nel secondo decennio del Terzo millennio sta diventando un vulcano pronto ad esplodere? La domanda la suggerisce quanto sta accadendo ed è accaduto in tre continenti: Africa, Asia ed America Latina. Senza contare le fibrillazioni nell’euro zona.
La gente non è più soddisfatta del proprio stato, non condivide le politiche governative di austerità, o di compressione delle libertà fondamentali, e pertanto manifesta, scende in piazza per esprimere il proprio dissenso, facendolo nei modi che ritiene più appropriati per acquisire un risultato. In sintesi contesta l’autorità. Non la ritiene adeguata a far fronte alle esigenze e alle difficoltà del momento.
Finora sono state le politiche di rigore imposte da Bruxelles, per portare i bilanci dei paesi dell’Unione europea entro i parametri di Maastricht, a spingere greci, spagnoli e portoghesi a scendere per le strade per gridare il proprio dissenso e in minor misura noi italiani. Noi abbiamo protestato contro l’Agenzia delle entrate ed Equitalia, ritenuta troppo esosa e qualcosa con il tempo è cambiato. Poco, comunque. Non siamo andati oltre: contestazioni nella norma. Ma di problemi da risolvere ne abbiamo più di uno e stanno tutti venendo al pettine. Nulla si crea e nulla si distrugge per via dei veti incrociati.
Non si pensava, o non è stato dato il giusto peso a qualche segnale di insofferenza, che vi fossero dei problemi in Turchia, Egitto e Brasile, quest’ultimo stimato come un colosso industriale con una economia in costante crescita. Un paese, assieme all’India, Cina, Russia e Sudafrica fa parte del “Bric”, da tenere nella dovuta considerazione per le sue ricchezze, petrolio incluso. Con il quale l’Unione europea e gli Stati Uniti avrebbero dovuto confrontarsi e competere per conquistare i mercati.
Le cose sono andate in maniera diversa. A fine maggio ad Istanbul un pacifico sit-in  contro il taglio degli alberi del Parco Gezi per far posto ad un centro commerciale si è trasformato in una massiccia protesta contro il governo per il brutale intervento della polizia. E’ stata la molla che ha spinto centinaia e centinaia di persone a manifestare. La protesta aveva pure altre motivazioni. Non si scendeva per le strade solo per il taglio degli alberi, ma contro il governo di Recep Tayyip Erdogan, capo del partito della giustizia e dello sviluppo, accusato di essere troppo autoritario, di voler islamizzare la Turchia e di non tenere nella dovuta considerazione chi non lo aveva votato. Non ultimo il nome da dare al terzo ponte sul Bosforo. Erdogan lo vuole intitolare  a Yavuz Sultan Selim, il sultano ottomano soprannominato “il crudele” per via dei massacri contro la minoranza alevita. 
 Lo stesso copione si è materializzato a San Paolo del Brasile i primi di giugno con un’altra motivazione. Lì la gente ha contestato l’aumento del prezzo del biglietto dei trasporti pubblici e qualche giorno più tardi a Brasilia, la capitale, ha protestato per la lievitazione dei costi per i Mondiali di calcio del 2014 e per le Olimpiadi del 2016, che sottraggono risorse per l’istruzione e la sanità. La protesta ha riguardato anche la dilagante corruzione e il non attivismo dell’attuale presidente, Dilma Rousseff. Tutto questo in concomitanza della Confederation Cup, il torneo di calcio che ha visto impegnati gli Azzurri collocatisi al terzo posto.
Dall’America Latina all’Africa, ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, che sono stati i protagonisti della cosiddetta Primavera araba, che a detta degli esperti doveva schiudere nuovi scenari democratici. L’Egitto è in subbuglio e si contano pure decine di morti non solo per gli scontri tra le opposte fazioni, ma per l’intervento dell’esercito che ha sparato sui dimostranti. Motivo della protesta il disagio in cui versano strati della popolazione, La sua economia è peggiorata rispetto ai tempi del deposto Mubarak e a Il Cairo gli egiziani sono scesi in piazza  per chiedere le dimissioni del presidente Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, perché avrebbe disatteso la Costituzione. E’ stato sollevato. La preoccupazione è che le manifestazioni degenerino e i militari prendano il potere. 
Le vicende internazionali, compreso il disinvolto uso delle intercettazioni telefoniche da parte degli Stati Uniti, che per la loro sicurezza non guardano in faccia a nessuno compresi i governi amici, hanno in parte distolto l’attenzione su quanto sta accadendo nell’Unione europea, ora a 28 stati con l’ingresso della Croazia. Il Portogallo è in fibrillazione, il governo di centrodestra perde dei pezzi mentre il deficit del primo trimestre di quest’anno è stato pari al 10,6% del Pil. A sua volta Grecia è costretta a ridurre ancora il numero dei dipendenti pubblici per onorare il prestito concesso e ha dovuto chiudere la radiotelevisione pubblica, mandando a casa 2800 persone, per dare un seguito al piano di privatizzazioni concordato con la Bce. La chiusura un attentato alla libertà di stampa.
Da noi con il governo delle larghe intese siamo ancora in alto mare, nonostante la disoccupazione sia giunta al 12,2% come nel 1977. Per ora sta sfogliando la margherita: Imu si, Imu no. L’imposta più odiata dagli italiani, introdotta dal governo Monti sulla casa per fare cassa e sembra che la cassa, pur con la grandinata di tasse ed addizionali caduta sui contribuenti, sia sempre vuota ed il deficit pubblico aumenta. Poi sull’Imu è intervenuto pure il Fondo monetario per sottolineare la necessità di mantenerla. Sarebbe a suo parere una imposta equa, tanto che i proprietari della prima casa lo ringraziano. Domanda: chi ha sollecitato il Fmi ad ingerirsi nelle cose di casa nostra? Non è di sua competenza. Comunque nel Pd non sono pochi coloro che la vorrebbero mantenere (Colaninno, Fassina e Pistelli, tanto per citare qualche nome) mentre il Pdl è per la sua abolizione. Si sfoglia pure una seconda margherita: Iva al 22 per cento si, Iva  al 22 per cento no. Un tentennamento quotidiano, che non prelude a niente di concreto. 
Finora il ministro Saccomanni competente sull’argomento non ha proposto alcunché di definitivo, ha solo detto che si stanno studiando delle soluzioni. Il non decidere in tempi rapidi costituisce materia prima per il dibattito politico e le fibrillazioni tra le due componenti governative sono all’ordine del giorno. Ad alimentarle ancora di più non sono mancate espressioni e considerazioni non super partes dei presidenti di Camera e Senato. 
Le vicende di casa nostra, nonché quanto è accaduto e sta accadendo in Brasile, Turchia ed Egitto, ora sull’orlo della guerra civile, hanno fatto passare in seconda linea i risultati dell’ultimo G8, tenutosi nell’Irlanda del Nord. Un incontro incentrato sulla lotta all’evasione fiscale, niente paradisi fiscali nell’Unione come sostiene da anni Gianni Pittella, sulla crescita e sull’occupazione, e quest’ultima costituisce un problema incandescente. L’evasione fiscale da noi, come ha posto in risalto una inchiesta pubblicata da l’Espresso, è drammatica. Nel 2011 sono stati evasi oltre 180 miliardi e 11 milioni di contribuenti non corrisponde un euro all’erario.
Il G8 ha inoltre registrato un successo italiano, che deve essere attribuito al presidente Letta. Sviluppo e lavoro sono due temi su cui il governo è impegnato e costituisce la cartina di tornasole della sua credibilità. Durante l’incontro ha trovato una sponda di grande spessore, quella di Obama. Il presidente degli Stati Uniti, oltre a concordare, ha invitato il nostro presidente del Consiglio ad andare ad ottobre negli Stati Uniti. E non è poco. Quello che realmente conta e potrà dare una spinta all’economia è che non siamo più sotto tutela delle autorità di Bruxelles e qualche miliardo di euro potrà incominciare a circolare. Per questo gli economisti qualche lumicino lo stanno intravedendo. A settembre, dopo le elezioni tedesche.
You are here