Europa - News and Society

European News Portal

  • Full Screen
  • Wide Screen
  • Narrow Screen
  • incrementa grandezza carattere
  • Default font size
  • Riduci grandezza carattere

Nel nome dell’Euro. Un breve viaggio tra economia e linguistica

E-mail Stampa PDF

di Yorick  Gomez Gane (linguista e giornalista)
Euro o non euro? Questo è il problema. Un dilemma amletico-economico che attanaglia oggi più che mai alcuni stati dell’Europa (come Islanda, Grecia o Polonia); e che, complice la crisi, fa serpeggiare anche negli altri paesi l’euro-scetticismo. In effetti, il passe-partout del Vecchio Continente per il nuovo millennio (entrato in vigore virtualmente nel 1999, nelle nostre tasche nel 2002) si presenta a pochi anni di distanza come una chiave un pizzico arrugginita, incapace di aprire tutte le porte (figuriamoci i forzieri). Ma se qualche battaglia comunitaria è stata persa, la guerra nel nome dell’euro è ancora lunga, e conta ancora moltissimi convinti sostenitori. Puntate sempre nuove dell’euro-reality, con milioni di protagonisti (Molto di nuovo sul fronte occidentale...), continueranno dunque a scorrere ancora sui nostri teleschermi (in euro-visione, naturalmente). Sarà vera gloria? Ai poveri l’ardua sentenza. 
Euro-previsioni a parte, può risultare interessante fornire un breve contributo sulla storia e l’etimologia del termine, anche perché, come dicevano i latini, nomina sunt omina (“i nomi sono presagi”). E in effetti, parliamo di moneta unica, ma di interessi molteplici. Al battesimo del conio appena nato, ovvero il vertice CEE di Madrid del 1995, i genitori festeggiano al suono dei campanilismi: i tedeschi vorrebbero Euro- come prefisso per ogni vecchia moneta (Euro-mark in primis); i francesi, con spirito poco rivoluzionario, una conferma della precedente valuta ecu, da loro pronunciato come écu ‘scudo’; gli inglesi le forme derivate da corona (God save the Queen...); il Benelux il florin, vecchia moneta locale discendente da quel fiorino di Firenze caldeggiato invece dagli italiani, o meglio dal loro fiorentinissimo portavoce Lamberto Dini, al tempo Presidente del Consiglio. La presidenza spagnola propone allora un più neutro Euro, che non privilegiando nessuno in particolare e richiamando a tutti il familiare nome dell’Europa placa le scaramucce tra i moschettieri europei: tutti per euro, euro per tutti! 
Un nome che però, benché omonimo del mitico vento di scirocco (“I nembi e gli euri”, recita il Foscolo), non è caduto dal cielo, ma dalla CEE. Più precisamente, dai suoi ambienti finanziari (cfr. DE BOER e GOMEZ GANE, per vie indipendenti), in cui per i nomi delle euro-valute l’uso nomenclatorio si rivela piuttosto costante: lingua inglese e riduzione da locuzione a parola unica. Come Eurco, proposto nel 1973 per “una possibile nuova unità di conto”, è l’acronimo di European Composite Unit (cfr. SATTA) ed Ecu, dal 1978, lo è di European Currency Unit, così la valuta europea Euro è con tutta probabilità l’ellissi di Euro(-)currency ‘valuta europea’, nesso da anni in vigore nell’ufficiale European Currency Unit (come aggettivo, in inglese Euro vale European sin dal 1963). Insomma: “non c’è due senza tre” o, se preferiamo, “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. 
Euro è una delle parole più gettonate nella storia della linguistica italiana (“un blablà infinito”, titola LEONE; bibliografia in SGROI), soprattutto per la singolare questione del plurale: gli euro o gli euri? Inizialmente si usarono entrambe le forme, grammaticalmente corrette (il gazebo all’inizio fa i gazebo, ma alla fine anche i gazebi). A partire dal 1998, però, infuriò in ambito giornalistico un’enorme bufala: una sedicente “direttiva comunitaria” che imponeva all’Italia il plurale euro (era in realtà una semplice “nota” interdicasteriale che suggeriva per i documenti legislativi l’uso del medesimo plurale presente sulle monete; dati completi in GOMEZ GANE). Al massiccio bombardamento contro gli euri da parte dei mass-media (armi di istruzione di massa, che ci piaccia o no) soggiacquero, assieme a quasi tutti gli italiani di cultura medio-alta, anche l’Accademia della Crusca o l’allora Presidente della Repubblica Ciampi, immortalato dai media nel simbolico atto di convertire di proprio pugno gli euri della Gazzetta Ufficiale in euro (“L’euri-convertitore”...). 
Euri, dunque, fuori corso? Niente affatto: circolano come dialettalismi in quasi tutte le regioni d’Italia (cfr. Google ma anche scrittori come Camilleri), si smerciano come vezzo “trendy” nei vari giovanilesi regionali (che attingono ai dialetti, come nel titolo bucatini-western di un album dei Flaminio Maphia del 2005, Per un pugno di euri), si svalutano per l’autocompiacimento connotativo di romanzieri falsari (cfr. Google Libri), si collezionano per gusto alessandrino e per principio (uso spontaneo dei parlanti vs ingerenze linguistiche dall’alto: penso al giornalista Luigi Pintor o all’italianista Enrico Malato). Ma non solo. A proscrizione mediatica conclusa, la soglia di attenzione dei parlanti sta tornando bassa come ai primi tempi. Confortati negli eventuali dubbi da una dizionaristica in linea generale non ostile (basti citare lo Zingarelli o il Devoto-Oli), gli italiani possono tornare a esprimersi in modo spontaneo: “Se invece conosci i tuoi limiti e non hai abbastanza manualità... be’, allora procurati un colino a maglie larghe, o meglio un separatore di tuorli, costa pochi euri, e rompici le uova sopra” (Settantasette ricette perfette, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 188). Non è ancora tempo per nuovi bilanci linguistici, ma bisogna tenersi pronti: come lo Spirito di nota memoria, gli euri soffiano dove e quando vogliono. 
You are here