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Conseguenze economiche e ambientali del cibo sprecato secondo il Rapporto Fao Food Wastage Footprint

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di Giovanna Mellano
Ogni anno, il cibo prodotto, ma non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno, quasi il 30% della superficie agricola mondiale, ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra e le conseguenze economiche dirette degli sprechi, si avvicinano a 750 miliardi di dollari l'anno. Dati questi indicati dal: “Rapporto sulle conseguenze ambientali dello spreco di prodotti alimentari” (Food Wastage Footprint: impacts on natural resources), pubblicato dalla Fao nei giorni scorsi e finanziato dal governo tedesco. Questo è il primo rapporto che analizza l’impatto dei rifiuti alimentari dal punto di vista ambientale esaminando le conseguenze su clima, risorse idriche, uso del territorio e anche sulla biodiversità. 
Il 54% degli sprechi alimentari, secondo lo studio, si verificano "a monte", in fase di produzione, raccolto e immagazzinaggio. Il 46% avviene invece "a valle", nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. Inoltre, la tendenza è che le perdite di cibo nei paesi in via di sviluppo avvengono maggiormente nella fase produttiva, mentre gli sprechi alimentari a livello di dettagliante o di consumatore tendono ad essere più elevati nelle regioni a medio e alto reddito, dove sono il 31%-39% del totale rispetto alle regioni a basso reddito (4%-16%).
C’è da notare che, più avanti lungo la catena alimentare un prodotto va perduto, maggiori sono le conseguenze ambientali ed economiche dal momento che lavorazione, trasporto e stoccaggio aumentano.
Alla base delle alte perdite alimentari nelle società più ricche nel rapporto si pone l’accento sul comportamento dei consumatori insieme alla mancanza di comunicazione lungo la catena di approvvigionamento. I consumatori non riescono a pianificare i propri acquisti, comprano più cibo di quel che serve, o reagiscono in modo eccessivo all'etichetta “da consumarsi entro”, mentre eccessivi standard di qualità ed estetici portano i rivenditori a respingere grandi quantità di cibo perfettamente commestibili.
Nei paesi in via di sviluppo, le perdite avvengono principalmente nella fase post-raccolto e di magazzinaggio a causa delle limitate risorse finanziarie e strutturali nelle tecniche di raccolto, di stoccaggio e nelle infrastrutture di trasporto, insieme a condizioni climatiche favorevoli al deterioramento degli alimenti.
“Tutti – agricoltori e pescatori, lavoratori nel settore alimentare e rivenditori, governi locali e nazionali, e ogni singolo consumatore – devono apportare modifiche a ogni anello della catena alimentare per evitare che vi sia spreco di cibo e invece riutilizzare o riciclare laddove è possibile”, ha affermato José Graziano da Silva, direttore generale della Fao, alla presentazione del rapporto e del manuale Toolkit: Reducing the Food Wastage Footprint, 100 pagine su come ridurre le perdite e gli sprechi di cibo in ogni fase della catena alimentare.
Nel manuale vengono presentati un certo numero di progetti che mostrano come governi nazionali e locali, agricoltori, aziende e singoli consumatori possono adottare misure per affrontare il problema.
Per affrontare il problema, il manuale della Fao presenta i seguenti tre settori in cui è necessario intervenire. 
La riduzione degli sprechi che dovrebbe diventare una priorità: limitando le perdite produttive delle aziende agricole dovute a cattive pratiche e bilanciando meglio la produzione con la domanda, consentirebbe di non utilizzare le risorse naturali per la produzione di cibo non necessario.
In caso di eccedenze alimentari, il riutilizzo all'interno della catena alimentare umana – la ricerca di mercati secondari o la donazione del cibo eccedente ai membri più vulnerabili della società – rappresenta l'opzione migliore. Se il cibo non è idoneo al consumo umano, la seconda alternativa è quella di destinare il cibo non utilizzato all'alimentazione del bestiame, preservando risorse che sarebbero altrimenti utilizzate per produrre mangimi commerciali.
Laddove il riutilizzo non fosse possibile, si dovrebbe pensare a riciclare e recuperare l'eccedenza di cibo: riciclaggio dei sottoprodotti, decomposizione anaerobica, elaborazione dei composti e l'incenerimento, con recupero di energia rispetto all'eliminazione nelle discariche. (Il cibo non consumato che finisce per marcire nelle discariche è per altro un grande produttore di metano, gas serra particolarmente dannoso).
“Oltre all’imperativo ambientale – ha precisato Graziano da Silva – ce n’è anche uno di natura etica: non possiamo permettere che un terzo di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo vada perduto, quando vi sono 870 milioni di persone che soffrono la fame”.
Achim Steiner, sottosegretario generale dell’Onu e direttore esecutivo del Programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite (Unep), alla presentazione del rapporto ha dichiarato: “L'Unep e la Fao hanno identificato lo spreco di cibo come una grande opportunità verso un'economia verde a basse emissioni di carbonio che fa un uso efficiente delle risorse”. “Il rapporto presentato dalla Fao – ha aggiunto Steiner – sottolinea i molteplici vantaggi che possono essere realizzati – in molti casi attraverso semplici misure da parte delle famiglie, dei dettaglianti, dei ristoranti, delle scuole e delle imprese – che possono contribuire alla sostenibilità ambientale, a migliorare l'economia e la sicurezza alimentare, e alla realizzazione della sfida ‘Fame Zero’ lanciata dal Segretario generale delle Nazioni Unite”.
L'Unep e la Fao sono i cofondatori della campagna Think Eat Save per ridurre l'impronta ambientale lanciata all'inizio del 2013, il cui scopo è dare assistenza e coordinare su scala mondiale l'impegno per ridurre gli sprechi alimentari.
Anche l’Unione europea è attenta alla riduzione dei rifiuti alimentari nelle fasi di produzione e consumo e ha fissato l’obiettivo di dimezzare lo spreco di alimenti commestibili nell’Ue entro il 2020. E per sensibilizzare sul tema i cittadini europei, probabilmente l’Ue dichiarerà il 2014 Anno europeo contro lo spreco alimentare.
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