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Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti quale giudice disciplinare

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di Paolo Luigi Rebecchi (Consigliere Corte dei Conti)
Fra le competenze del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti, stabilite dall’art. 20 della legge  n. 69 del 3 febbraio 1963 –“Ordinamento della professione di giornalista”,  vi sono anche le attribuzioni in materia di ricorsi avverso i provvedimenti disciplinari adottati dai Consigli dell’Ordine. Le sanzioni (avvertimento-censura-sospensione dall'esercizio della professione per un periodo non inferiore a due mesi e non superiore ad un anno-radiazione dall'albo) sono inflitte quando “gli iscritti nell'albo, negli elenchi o nel registro”,  si  “…rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell'ordine…”. (art. 49 della legge 69/1963) . Il procedimento di applicazione delle sanzioni , previsto negli articoli da 49 a 65 della stessa legge contiene alcune specificità (che si ritrovano anche nei modelli applicati per altri ordini professionali) che assegnano al  Consiglio nazionale  il ruolo di organo di giustizia disciplinare. Infatti, se non può parlarsi di un vero e proprio “giudice speciale”  , nel senso di una giurisdizione speciale, totalmente distinta dalle giurisdizioni ordinaria ed amministrativa,  in quanto l’ordine è stato  istituito dopo l’entrata in vigore della Costituzione del 1948 (che ha stabilito il divieto di istituzione di “giudici straordinari o speciali” (1) -art. 102, 2° comma ), il procedimento dinanzi al Consiglio nazionale si differenzia sostanzialmente dagli ordinari giudizi disciplinari previsti per le pubbliche amministrazioni e gli altri enti pubblici. Anche i Consigli degli ordini professionali sono infatti “enti pubblici” (non economici) istituiti per legge e titolari di poteri pubblici autoritativi  (organizzativi, normativi , tributari , disciplinari ) e di contro soggetti ai controlli amministrativi e alla stessa giurisdizione della Corte dei conti (2). Tuttavia le impugnazioni  avverso le decisioni del Consiglio nazionale in materia disciplinare non seguono né il procedimento stabilito per il personale delle pubbliche amministrazioni “privatizzato” (artt. 55 e seguenti del d.lgs. n. 165/2001 come modificati dal d.lgs. n. 150/2009-c.d. “decreto Brunetta”) né la disciplina generale di impugnazione dinanzi ai TAR e al Consiglio di Stato per il personale in regime  di diritto pubblico (magistrati, diplomatici, prefetti, forze armate e di polizia, ecc.) che si applica anche alle decisioni in sede disciplinare adottate dagli stessi organi di autogoverno delle magistrature amministrativa e contabile.  
Il primo aspetto di peculiarità riguarda l’inizio del procedimento che è “… iniziato d'ufficio dal Consiglio regionale o interregionale…”, anche “…su richiesta del procuratore generale competente ai sensi dell'art. 44…”, con un possibile coinvolgimento quindi della magistratura ordinaria fin dalla fase  di iniziativa.
Un ulteriore aspetto di rilievo è quello che attiene alla “prescrizione dell’azione disciplinare”. L’art.  58 prevede che “…L'azione disciplinare si prescrive entro cinque anni dal fatto. Nel caso che per il fatto sia stato promosso procedimento penale, il termine decorre dal giorno in cui è divenuta irrevocabile sentenza di condanna o di proscioglimento. La prescrizione è interrotta dalla notificazione degli addebiti all'interessato, da eseguirsi nei modi di cui all'articolo precedente, nonché dalle discolpe presentate per iscritto dall'incolpato. La prescrizione interrotta ricomincia a decorrere dal giorno dell'interruzione. Se più sono gli atti interruttivi la prescrizione decorre dall'ultimo di essi, ma in nessun caso il termine stabilito nel primo comma può essere prolungato oltre la metà. L'interruzione della prescrizione ha effetto nei confronti di tutti coloro che abbiano concorso nel fatto che ha dato luogo al procedimento disciplinare”. Per l’esercizio dell’azione disciplinare nelle pubbliche amministrazioni non vige la prescrizione ma la “decadenza” dall’azione entro termini brevi (3), sia per quanto riguarda la contestazione iniziale sia per ciò che concerne la conclusione del procedimento. Diversamente l’azione disciplinare prevista per gli iscritti all’Ordine si richiama alla nozione di “prescrizione” , che attiene all’esercizio dell’azione civile (artt. 2934 e ss. c.c.)  e nel contempo applica la disciplina penalistica secondo la quale l’esercizio dell’azione penale non interrompe definitivamente il corso della prescrizione, che può maturare anche dopo l’inizio del procedimento , con limiti massimi anche in caso di interruzione (artt. 157-161 c.p.). La Corte di cassazione, (Sez. I  civ.,n.10135 del  14 ottobre 1998) ha affermato che pur distinguendosi il procedimento in due fasi (una amministrativa davanti agli organi dell’Ordine e una giurisdizionale dinanzi all’autorità giudiziaria) lo stesso procedimento  “…è unico…” e si prescrive (complessivamente)  “… in sette anni e sei mesi…” (ovvero cinque anni aumentati non oltre la metà).
Elemento ulteriormente significativo è costituito, oltre che dalla possibilità di impulso iniziale ,  dalla  partecipazione del pubblico ministero al procedimento.  Il ricorso al Consiglio nazionale (art. 60), contro le deliberazioni del Consiglio dell' Ordine può essere promosso “…dall'interessato e dal pubblico ministero competente…” nel termine di trenta giorni (art. 60). Prima  della deliberazione sui ricorsi in materia disciplinare, “…il Consiglio nazionale deve in ogni caso sentire il pubblico ministero. Questi presenta per iscritto le sue conclusioni, che vengono comunicate all'incolpato …” (art. 61) . Le  deliberazioni del Consiglio nazionale dell'Ordine…devono essere motivate e sono notificate, a mezzo di ufficiale giudiziario, entro trenta giorni, agli interessati, al Consiglio dell'Ordine che ha emesso la deliberazione, nonché al procuratore generale presso la Corte d'appello nel cui distretto ha sede il Consiglio…” (art. 62) .
Vi è pertanto una costante presenza nel giudizio del pubblico ministero, analogamente a quanto accade in numerosi giudizi civili  (art. 70 c.p.c.- stato e capacità delle persone, cause matrimoniali, tutela degli incapaci, giudizi fallimentari)  e che deve essere necessariamente sentito, come accade nel caso delle decisioni giurisdizionali , costituendo l’omessa audizione del pubblico ministero, ove  prevista dalla legge, causa di nullità della sentenza (artt. 158 del codice di procedura civile “…La nullità derivante vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del pubblico ministero è insanabile e deve essere rilevata di ufficio, salva la disposizione dell’art. 161…” ), così come lo stesso pubblico ministero è titolare del potere di impugnazione, sia delle decisioni di primo grado adottate dai Consigli sia di quelle rese in appello dal Consiglio nazionale (art. 63 -“…Le deliberazioni indicate nell'articolo precedente possono essere impugnate, nel termine di 30 giorni dalla notifica, innanzi al tribunale del capoluogo del distretto in cui ha sede il Consiglio regionale o interregionale presso cui il giornalista è iscritto od ove la elezione contestata si è svolta. Avverso la sentenza del tribunale è dato ricorso alla Corte d'appello competente per territorio, nel termine di 30 giorni dalla notifica. ….Possono proporre il reclamo all'Autorità giudiziaria sia l'interessato sia il procuratore della Repubblica e il procuratore generale competenti per territorio”).
L’art. 64  indica  le forme dei giudizi dinanzi al tribunale e alla Corte di appello i quali “…. provvedono, in camera di consiglio, con sentenza, sentiti il pubblico ministero e gli interessati. La sentenza può annullare, revocare o modificare la deliberazione impugnata. Le sentenze sono notificate a cura della cancelleria al pubblico ministero e alle parti”. Contro le sentenze della Corte di appello è’ infine ammesso (art 65) “…ricorso alla Corte di cassazione, da parte del procuratore generale e degli interessati, nel termine di 60 giorni dalla notifica ed ai sensi dell'articolo 360 del Codice di procedura civile...”.
Il giudice ordinario di merito competente per le impugnazioni è peraltro un “giudice specializzato” (art. 102, 2° comma Cost. “…Possono …istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”) per effetto dell’integrazione dei collegi con un giornalista o un pubblicista (“…Sia presso il tribunale sia presso la Corte di appello il collegio è integrato da un giornalista e da un pubblicista nominati in numero doppio, ogni quadriennio, all'inizio dell'anno giudiziario dal presidente della Corte di appello su designazione del Consiglio nazionale dell'ordine. Il giornalista professionista ed il pubblicista, alla scadenza dell'incarico, non possono essere nuovamente nominati…”- art. 63- 3° comma).  
Lo stesso utilizzo delle forme di notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario delle decisioni assunte dai Consigli e dal Consiglio nazionale  (fatte salve le  possibilità di utilizzo della posta elettronica certificata, come peraltro previsto anche per il giudizio civile secondo quanto prevedono l’art. 137 2° comma c.p.c. e la legge n. 69/2009) , costituisce elemento di assimilazione alle notificazioni dei provvedimenti giurisdizionali ( art. 137 c.p.c. “Le notificazioni , quando non è disposto altrimenti , sono eseguite dall’ufficiale giudiziario…”) laddove per i procedimenti disciplinari svolti nelle pubbliche amministrazioni le comunicazioni vengono effettuate direttamente dai titolari delle competenze disciplinari (mediante consegna personale,  posta elettronica certificata ovvero raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Cfr. art. 55 bis comma 5 del d.lgs. 165/2001; v. anche art. 104 del t.u. n. 3/1957).
 
 

Note:
 
(1) Come invece si afferma per il Consiglio Nazionale forense, le cui decisioni sono direttamente impugnabili solo dinanzi alla Corte di cassazione. Chiarisce al riguardo Cass. Sez. Un civ. n. 26810 del 20 dicembre 2007 che “…i consigli nazionali degli ordini professionali previsti dal d.lgs.lgt. 23 novembre 1944 n. 382 costituiscono organi speciali di giurisdizione nella materia disciplinare per i rispettivi iscritti, previsti dalla sesta disposizione transitoria della costituzione; ne consegue che i ricorsi per cassazione avverso tali decisioni sono proposti ai sensi dell’art. 111 Costituzione, ammessi soltanto per violazione di legge, per cui non è consentita la deduzione di vizi di motivazione previsti dall’articolo 360 n. 5 c.p.c.;…..Mentre i Consigli dell’Ordine territoriali esercitano funzioni amministrative, anche quando operano in materia disciplinare, il Consiglio Nazionale Forense, allorché pronunzia in materia disciplinare, è un organo giurisdizionale (ex pluribus, da ultimo, SS.UU. 23 10 aprile 2004 n. 6406, 23 gennaio 2004 n. 1229, 22 luglio 2002 n. 10688, 11 febbraio 2002 n. 1904 e, nello stesso senso, Corte cost. 12 luglio 1967 n. 110, 6 luglio 1970 n. 114 in motivazione, 2 marzo 1990 n. 113). Il d.lgs.lgt. 23 novembre 1944 n. 382, che detta norme sulle funzioni dei consigli degli ordini professionali in materia disciplinare, si applica anche (artt. 18 e segg.) alle professioni di avvocato (e prima di procuratore), ed al Consiglio nazionale forense contestualmente istituito dall’art. 21 del detto provvedimento legislativo. La sesta disposizione transitoria della Costituzione prevede la revisione degli organi speciali di giurisdizione al momento esistenti. Tale norma è stata interpretata dal giudice delle leggi (Corte Cost. sent. 19 dicembre 1986 n. 284) nel senso che il termine di revisione non è perentorio; pertanto, mentre per gli ordinamenti professionali posteriori alla Costituzione (entrata in vigore il 10 gennaio 1948) vige il divieto posto dall’articolo 102, comma secondo, Cost. di istituire nuove giurisdizioni non solo straordinarie ma anche speciali, per quelli anteriori all’emanazione della carta costituzionale (tra i quali rientra il Consiglio nazionale forense, di cui al precedente d.lgs.lgt. 23 novembre 1944 n. 382) continua a trovare applicazione la sesta disposizione transitoria, secondo cui gli organi di giurisdizione speciale già esistenti nel nostro ordinamento continuano ad essere operanti. Pertanto il Consiglio nazionale forense, allorché pronuncia in materia disciplinare, è un giudice speciale istituito con d.lgs. lgt. 23 novembre 1944, n. 382, e tuttora legittimamente operante. Le norme che lo concernono, nel disciplinare rispettivamente la nomina dei componenti del Consiglio nazionale ed il procedimento che davanti al medesimo si svolge, assicurano - per il metodo elettivo della prima e per la prescrizione, quanto al secondo, dell’osservanza delle comuni regole processuali e dell’intervento del P.M. - il corretto esercizio della funzione giurisdizionale affidata al suddetto organo in tale materia, con riguardo all’indipendenza del giudice, all’imparzialità dei giudizi e alla garanzia del diritto di difesa. (Cass. Sez. un. 23 marzo 2005 n. 6213).Quello che si svolge davanti al Consiglio Nazionale Forense è un giudizio di carattere giurisdizionale e si conclude con sentenza, pronunciata in nome del Popolo Italiano (art. 64 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, come successivamente modificato), impugnabile davanti alle Sezioni Unite: art. 56, terzo comma, del citato regio decreto n. 1578 del 1933 (Sezioni Unite: sent. 10 maggio 2001, n. 187, 2 aprile 2003 n. 5072)….”

(2) C. Conti sez.  Lazio n. 699 del 3 ottobre 2002, in Riv. Corte dei conti , 2002 5, 128 

(3) cfr. art. 55 bis, comma 2 del d.lgs. 165/2001- “…Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 1, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l'addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa. Dopo l'espletamento dell'eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell'addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento è prorogato in misura corrispondente. Il differimento può essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa”.
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