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Roma chiama Bruxelles

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di Gino Falleri
La tradizione e il suo rispetto, innanzitutto.  Fin dalla sua prima edizione la cerimonia di premiazione dei vincitori del Premio internazionale giornalistico “Argil:uomo europeo”, nato per iniziativa di un binomio del Gruppo Giornalisti Uffici Stampa, il Gus, per onorare la memoria del magistrato tedesco Franz-Herman Bruner, è stata preceduta da un discorso, in senso lato, sull’Europa ed in particolare sull’Unione europea. Sulle prospettive ed aspettative.
Un soggetto sovranazionale, che, a dare ascolto a quanto va dicendo la gente sui mezzi pubblici e nei mercati rionali, non sembra che allo stato attuale goda di molte simpatie. La si ritiene la causa prima delle difficoltà in cui le famiglie si dibattono e del loro depauperamento. Per non accennare all’euro considerato, a torto o a ragione, un calice da allontanare. Nel nostro Paese tutto è raddoppiato dalla sua introduzione, meno le retribuzioni.
A parte le opinioni che circolano, per Charles Prestwich Scott il direttore del Manchester Guardian solo le notizie sono sacre, l’Unione europea ha un suo valore, che non può essere disconosciuto. E’ stata ed è un propellente per la crescita, ma può avere come tutte le cose costruite a tavolino dall’uomo le sue ombre.
E’ impensabile che in una comunità di culture, tradizioni, storia e di aspettative diverse non ci siano dei problemi, grandi o piccoli che questi possano essere, ma non bisogna dimenticare che, grazie alle intuizioni di Robert Schuman, vincitori e vinti del secondo conflitto mondiale si sono seduti intorno ad un tavolo ed hanno gettato le fondamenta di quella che ora viene chiamata Unione europea. 
Nello stesso tempo le loro realizzazioni, e all’inizio con l’aiuto della “Locomotiva dell’Europa” di Konrad Adenauer e di Ludwing Erhard, che aveva coniato l’espressione “l’economia sociale di mercato”, hanno fatto sì che il mondo occidentale non fosse più fonte di scontri armati con le conseguenze che tutti possono immaginare. Senza dover evocare l’immagine sconvolgente dei quattro cavalieri dell’Apocalisse.
Dal maggio 1945 l’Europa vive in pace.
Al presidente nazionale del Gruppo Giornalisti Uffici Stampa per meglio approfondire il tema conduttore di questa tavola rotonda è stato suggerito di sviluppare quello di “Roma chiama Bruxelles: c’è sempre più bisogno di Europa, ma spiegamola meglio e di più. Anche per questo è nata l’Eapo&IC”. 
Una sigla quest’ultima tenuta a battesimo alla fine di novembre a Bruxelles, in occasione del 23mo meeting dell’Olaf. Un acronimo che potrebbe persino sembrare criptico, tanto che qualcuno per decifrarlo potrebbe invocare l’aiuto dei decrittatori di Ultra se fossero ancora in giro. Quei matematici, enigmisti e fautori dell’intelligenza artificiale che, guidati da Alan Turing, hanno sfondato nel secondo conflitto mondiale i codici di comunicazione dell’Asse criptati da Enigma.
Niente di tutto questo. A parte il logogramma, l’ampersand anglosassone, Eapo&IC non significa altro che “Associazione europea degli uffici stampa e della comunicazione istituzionale”, European association of the press office and institutional communication. E di questa associazione internazionale, ideata da due dirigenti del Gus allorché in un luglio di due anni addietro erano in giro per le strade della Capitale d’Europa, in cui possono confluire, e già ne sono confluite, le professionalità di giornalisti e comunicatori dei 27 paesi dell’Unione sarà detto più avanti.
Il primo segmento del tema “Roma chiama Bruxelles”, a chi è abituato a ricercare gl’incipit per sollecitare l’attenzione del lettore, del radioascoltatore o del telespettatore, ha richiamato alla mente in prima battuta un “Chiamate Nord 777”. Uno spunto da utilizzare. Per chi non lo ricordasse è il titolo di un film in bianco e nero diretto da Henry Hathway ed interpretato da James Stewart, Richard Conte e Lee J. Cobb, basato su una storia vera. 
Prima uscita nel 1948, l’anno dell’entrata in vigore della nostra Costituzione, dell’approvazione a New York della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del Piano Marshall, dell’Unione europea occidentale e della XIV Olimpiade di Londra.
Il riferimento a chi fa informazione, canalizza notizie ed illustra aspetti positivi e negativi di quanto accade dentro e fuori dei confini nazionali, fornisce un ulteriore spunto per accennare qualcosa sull’Unione, che da qualche tempo non manca di essere sempre in pagina soprattutto per i provvedimenti di austerità sollecitati da questo o quel personaggio, quasi fossimo sotto tutela. Tanto che il nostro presidente del Consiglio ha detto che non si può morire di austerità.
Non di certo sotto l’aspetto politico, non gli compete, ma sotto quello di fornire una buona informazione. Il legislatore del 1963 gli ha attribuito l’insopprimibile diritto della libertà d’informazione e di critica nel rispetto delle leggi vigenti.
Una informazione dettagliata, veritiera e comprensibile a tutti sui benefici che comporta stare nell’Unione europea. Sul cambio lira/euro, mai spiegato a dovere dai politici o sul dilemma tra ius sanguinis della Germania, Austria ed Olanda e lo ius soli, che infiamma il dibattito tra destra e sinistra; sulle politiche di Cameron nei confronti di bulgari e romeni; sul problema dell’immigrazione. Infine fornire, per esempio, la chiave di lettura, o di replica, su di un G20 per i contenuti di un recente libro scritto da Zapatero, l’ex premier spagnolo, e di un altro dall’emblematico titolo La fine del sogno, che porta la firma di Francois Heisbourg.
Il giornalismo non è solo andare, vedere e raccontare. E’ approfondimento, analisi, ricerca, interpretazione, ricostruzione, cultura ed assolve inoltre un ruolo sociale nella società contemporanea. E’ suo  compito  riferire cosa succede di positivo o negativo nei palazzi che contano  di Bruxelles,  senza omissioni od edulcorazioni e senza arretrare  allorché si devono esprimere valutazioni sull’influenza del nostro paese all’interno della comunità internazionale. 
E’ sempre suo compito richiamare l’attenzione su quanto sia difficile da qualche tempo a questa parte esercitare il diritto di informare. Le difficoltà non sono solo legate agli stati di crisi, al calo delle copie vendute, ma alle crescenti minacce e alle leggi illiberali che continuano ad essere mantenute, nonostante i richiami dell’Unione europea, dell’Ocse e le promesse profuse a iosa dalla classe politica. Non è da civiltà giuridica andare a soggiornare in galera per aver espresso delle opinioni. Ci sono pure le liste di proscrizione, che ricordano tempi bui per la democrazia.
E’ senz’altro vero, come recita il titolo del tema, che i giornalisti hanno il compito, non facile, di doverla “spiegare meglio questa Europa”, se non altro perché, come sostengono i più, senza di essa si potrebbero schiudere scenari oltremodo difficili da immaginare. I punti chiave su cui puntare potrebbero essere quattro: perché è indispensabile stare in Europa, fondamentale, austerità, euro e sovranità. 
Per essere convincenti, anche in considerazione che la geografia economica si sta modificando, è opportuno saperli presentare ed illustrare bene. Prossime sono le elezioni europee e prendono sempre più corpo movimenti antieuropei.
L’uomo della strada, al di là dell’Europa della finanza e dei banchieri, questa è l’immagine più gettonata, e di regole di cui non sempre conosce le motivazioni, ambirebbe ad avere un indirizzo comune sulle pensioni - sono al centro di un serrato dibattito, tanto che a Milano alcuni giornalisti hanno dato vita ad un movimento per la loro difesa; come vorrebbe, è senz’altro una utopia, una tassazione uguale per tutti i cittadini dell’Unione su retribuzioni e rendite. Poi esistono i parametri di Maastricht, il debito e l’impossibilità di stampare e svalutare, cosa che chi è fuori dalle rigide regole, di cui Berlino è il ferreo custode, possono tranquillamente fare.
Di fronte a questo sintetico quadro si potrebbe inserire la professionalità dell’Eapo&IC. I suoi compiti statutari, come è già stato accennato, sono stati illustrati a Bruxelles. Sulla carta è una associazione di professionisti che ha capacità di fornire una ottima informazione, fine a se stessa, come peraltro una eccellente comunicazione istituzionale. E potrebbe anche essere il tramite per sciogliere quell’annoso problema che investe la Pubblica amministrazione ed è ancora rimasto insoluto: quale tra informare e comunicare sia il verbo prevalente. Se il nodo fosse sciolto a favore del secondo si potrebbe affermare che le istituzioni, a qualsiasi livello e tramite le loro strutture, più che informazione si interessano di comunicazione di servizio. Comunicano al cittadino in merito all’azione normativa ed amministrativa volta a creare consenso e  trasparenza.
Con i Se e i Ma non si va lontano. L’Eapo&IC è una realtà, come il dovere di informare. Per concludere si può citare Thomas Jefferson, è stato il terzo presidente degli Stati Uniti. Al contrario di Adams era un difensore del 1° emendamento e di conseguenza si era posto un quesito, o meglio una scelta: Se toccasse a me decidere se avere un governo senza avere giornali o se avere i giornali senza un governo, non esiterei minimamente a scegliere quest’ultima soluzione.
L’Europa deve essere trasparente e questo è l’obiettivo principale dell’Eapo.
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