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Società pubbliche e obblighi di trasparenza dopo la legge anticorruzione

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del Cons. Paolo Luigi Rebecchi
La legge 6 novembre 2012 n. 190-“Disposizioni per la prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione", costituisce un primo risultato normativo del processo di adattamento del diritto nazionale all’esigenza, sempre più avvertita, anche a livello internazionale ed europeo di una effettiva e costante azione di contrasto alla corruzione (1) anche sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa e dell’adozione di misure a carattere organizzativo e preventivo, essendo emersa l’insufficienza della sola, pur necessaria, risposta penale (2)(3). Le misure legislative dirette alla prevenzione e contrasto sono state inserite in un più vasto processo di riforma della pubblica amministrazione sulla base dei principi di “fedeltà” e “buona amministrazione”, indicati negli articoli 54 e 97 della costituzione italiana in base ai quali una amministrazione pubblica più efficiente , trasparente  e meno costosa risulterà anche più impermeabile e reattiva di fronte alle condotte di corruzione.
Precedentemente alla legge 190/2012, un disegno di contrasto alla corruzione attraverso misure amministrative era stato impostato dalla legge n. 15/2009 e dal d.lsg. 150/2009 (c.d. “leggi Brunetta”) con i quali erano state introdotte modifiche nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, con particolare riguardo ai compiti e alla valutazione dei risultati dei dirigenti pubblici, alla introduzione di un articolato sistema di premi ed incentivi, e una riforma dei sistemi di controlli interno.
Il decreto 150 conteneva una apposita sezione dedicata alla “Trasparenza” che riassumeva varie finalità comprendenti anche il contrasto alla corruzione. L’art.  11 (4) (ora abrogato dall’art. 52, comma 5 del D.Lgs. 14 marzo 2013 n. 33)  definiva la “Trasparenza” come un complesso di misure preventive dirette, tra l'altro a favorire legalità e integrità di comportamenti, con misure fondate sulla pubblicazione sui siti internet delle amministrazioni dei dati relativi ai dirigenti, ai loro curricula, alle loro retribuzioni nonché alle analoghe notizie relative ai consulenti delle p.a. (queste comunque previste da disposizioni già vigenti)(5)(6). 
Sull'impianto generale del decreto 150,  si era osservato (7) che lo specifico richiamo al contrasto alla  corruzione contenuto nel medesimo rispondeva non solo alla necessità di assicurare comportamenti in linea con i principi di legalità, imparzialità, efficienza, economicità sussidiarietà e trasparenza, indicati nella Costituzione, nei Trattati europei (8) e nella legge sul procedimento (9) ma si collegava a vincoli internazionali di carattere giuridico ed economico. Il tema, come evidenziato anche nelle relazioni del Procuratore generale e dei procuratori regionali della Corte dei conti in sede di inaugurazione dell' anno giudiziario ha costituito da tempo un argomento di costante attenzione da parte della Corte dei conti italiana sia con riguardo alle sue funzioni di controllo esterno sullo Stato e sulle pubbliche amministrazioni, sia nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali in relazione ai procedimenti attivati nei confronti di pubblici amministratori, di dirigenti e funzionari pubblici  che determino danni per l’erario pubblico nello svolgimento del loro servizio (funzioni rispettivamente previste dagli artt. 100 e 103 della Costituzione e disciplinate da numerose leggi fra le quali le più importanti sono le leggi 14 gennaio 1994 n. 19 e n. 20).
Questa particolare attenzione era stata anche ricordata nel Rapporto 2009 redatto dal Gruppo europeo contro la corruzione del Consiglio di Europa (GRECO)(10).
Il quadro complessivo degli strumenti di prevenzione e contrasto in Italia, nel 2009, era fornito dal Servizio nazionale di prevenzione e contrasto alla corruzione (“Servizio Anticorruzione e Trasparenza –SAeT al quale , con il decreto 2 ottobre 2008 del Presidente del Consiglio dei Ministri , sono state attribuite le funzioni dell’ex Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella Pubblica amministrazione, soppresso dal decreto legge nr. 112/2008)
Nella sua relazione al Parlamento per il periodo Ottobre 2008/Ottobre 2009, il Servizio aveva riferito che  nello stesso arco temporale  l’ “Indice di percezione della corruzione”, (C.P.I., Corruption Perception Index) attribuito all’Italia da Transparency International a conclusione della sua ricerca annuale del 2008 su 180 Paesi aveva attribuito all’Italia un punteggio di 4,8 rispetto al 5,2 dell’anno precedente, segnando un peggioramento della situazione rilevata e una retrocessione dell’Italia dalla 41esima alla 55esima posizione (11).
Il decreto 150 introduceva elementi innovativi nel contesto dell'azione di  contrasto alla corruzione che negli anni scorsi, soprattutto in adempimento di impegni presi in sede internazionale e comunitaria , era stata realizzata con l'adeguamento degli strumenti di repressione penale, con la previsione di nuove fattispecie di reato, con l’estensione dell’area della punibilità alle persone giuridiche e con l’ampliamento delle ipotesi di confisca dei proventi dei reati di corruzione  (strumenti attuati in particolare con la legge 29 settembre 2000, n. 300 di ratifica della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee del 1995 e di due protocolli aggiuntivi, della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea, del 1997 e della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, del 1997) e più recentemente con la legge n. 296/2006- legge finanziaria per l’anno 2007 che ha esteso la disciplina prevista per le confische relative ai reati di criminalità organizzata anche ai reati di corruzione e concussione, e  con un rafforzamento dei poteri e competenze delle procure della Corte dei conti (in particolare con la legge 14 gennaio 1994, n. 19 e con vari provvedimenti normativi inseriti in leggi finanziarie annuali che prevedono esplicitamente la responsabilità erariale per comportamenti che violano regole di bilancio o di gestione   specificamente individuati).
Nel corso del 2009 l’Italia aveva ratificato la Convenzione ONU sulla corruzione (aperta alla firma a Merida nel 2003), con la legge nr. 116 del 3 agosto 2009 che aveva  individuato nel Dipartimento della Funzione Pubblica , l’Autorità Nazionale Anticorruzione oggi competente in materia di: -politiche di prevenzione della corruzione efficaci e coordinate che favoriscano la partecipazione della società e rispecchino i principi di stato di diritto, di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, d’integrità, di trasparenza e di responsabilità; -attuazione e la promozione di pratiche efficaci volte a prevenire la corruzione; -valutazione periodica degli strumenti giuridici e delle misure amministrative pertinenti al fine di determinare se tali strumenti e misure sono adeguati a prevenire e combattere la corruzione; - collaborazione con gli altri Stati parte e con le organizzazioni regionali ed internazionali competenti nella promozione e nella messa a punto delle politiche di prevenzione della corruzione, di pratiche efficaci volte a prevenire la corruzione, di valutazione periodica degli strumenti giuridici e delle misure amministrative pertinenti, anche attraverso la gestione della partecipazione dell’Italia a programmi e progetti internazionali volti a prevenire la corruzione
Le innovazioni contenute nel decreto costituivano strumenti attuativi degli obblighi anzidetti sotto il profilo delle misure di carattere preventivo, dirette al miglioramento dell’efficienza e della trasparenza della pubblica amministrazione (12)(13). 
Era stato osservato (14) come la riforma richiamasse sotto tale aspetto, il modello proposto dal d.lsg. 231/2001 (15). Il principio di  “integrità (16) era evidenziato come concetto “...maturato essenzialmente in ambito penalistico-aziendale alla luce del decreto legislativo n. 231 del 2001, che ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ed ha modificato la previgente regola penalistica  in base alla quale “societas delinquere non potest”. L’innovazione del 2001 si è mossa nel senso di prevedere una responsabilità collaterale per gli Enti che non adottino e facciano effettivamente funzionare al loro interno “modelli” predefiniti  (cd. compliance programs), sia organizzativi sia di controllo, capaci di disincentivare ed ostacolare le illegalità e la commissione di reati particolarmente gravi da parte di propri amministratori e dipendenti.  In somma sintesi,  il principio di integrità e la cultura della integrità puntano a favorire il formarsi di un costume “etico” (donde il vocabolo integrità), sia organizzativo sia comportamentale, che aiuti a contrastare fenomeni di illegalità e di corruzione....”(17). Nel sistema delineato dal d.lgs. 231/01 “...l’attivazione e il regolare funzionamento di modelli di organizzazione (compliance programs) serve al giudice penale, nel giudicare sulla responsabilità amministrativa da reato, per ascrivere od escludere una responsabilità risalente a carico dell’ente collettivo...”.(18)(19).
Veniva ulteriormente considerato  che l'introduzione del modello 231 in ambito pubblico,  rispondeva a logiche non completamente omogenee in quanto mentre nel caso dell'impresa, l'adozione dei modelli è finalizzata ad esonerarla dalla responsabilità (amministrativa) per i reati commessi dagli amministratori e dirigenti nel suo stesso interesse, nel caso delle disposizioni del decreto 150 si tratta di misure volte ad impedire che i funzionari pubblici commettano reati nel loro interesse ed in danno della pubblica amministrazione.
Altro profilo preso in considerazione era quello secondo cui dalla giurisprudenza penale (20) e civile sul 231 potevano trarsi alcune indicazioni idonee a modificare anche gli assetti giurisprudenziali contabili in tema di effetti scusanti o “riduttivi” dei difetti organizzativi. Infatti, trib. Milano,sent. n. 1774/2008 (21) aveva affermato che “Per quanto attiene all'omessa adozione di un adeguato modello organizzativo, da un lato, il danno appare incontestabile in ragione dell'esborso per la concordata sanzione e, dall'altro, risulta altrettanto incontestabile il concorso di responsabilità di parte convenuta che, quale Amministratore Delegato e Presidente del C.d.A aveva il dovere di attivare tale organo, rimasto inerte al riguardo”. Si tratta di una ipotesi che si poteva definire, in termini amministrativo contabili, di “danno indiretto” subito dalla società per il pagamento della sanzione amministrativa da reato, e per il quale è stato chiamato a rispondere, in sede civile, il Dirigente che doveva assicurare la idoneità del modello organizzativo. Ne derivava che l'introduzione del “modello 231” in ambito pubblico già trovava un precedente giurisprudenziale “civile” che poteva essere richiamato in sede di configurazione del danno erariale connesso alla inadeguata predisposizione o inattuazione (22) della pianificazione anticorruzione (23).
Nel corso del 2012 la politica di contrasto alla corruzione ha registrato l’approvazione della già richiamata legge n. 190.
Anche quest’ultima non contiene una definizione di “corruzione” che viene data per presupposta. 
La Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento  della Funzione Pubblica n. 1 del 25 gennaio 2013 ha chiarito che nel contesto della legge 190 “il concetto di corruzione deve essere inteso in senso lato, come comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. Le situazioni rilevanti sono quindi evidentemente più ampie della fattispecie penalistica disciplinata negli articoli 318, 319 e 319 ter del c.p. e sono tali da comprendere non solo l’intera gamma dei delitti contro la Pubblica Amministrazione disciplinati nel Titolo II Capo I del codice penale ma anche le situazioni in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite”. Nel corso del 2012 erano state inoltre ratificate le  Convenzioni penale e civile sulla corruzione stipulate a Strasburgo nel 1999 (con la Legge n.110 del 28.6.2012). 
Le prime sperimentazioni realizzate nel corso del 2013 sono state recentemente illustrate dell’A.N.AC. (“Autorità Nazionale Anticorruzione”, succeduta alla CIVIT) nel rapporto  pubblicato il 30 dicembre 2013.
L’Autorità evidenzia i primi risultati e le rilevanti criticità manifestatisi nel primo anno, emerse attraverso le attività svolte dall’Autorità e dagli altri soggetti istituzionali per dare attuazione alle indicazioni della legge 190 (24).
Sotto il profilo normativo sono state poi emanate norme delegate dalla legge in materia di incandidabilità (d.lgs. 31 dicembre 2012 n. 235- “Testo unico delle limitazioni in materia di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, comma 63 della legge 6 novembre 2013 n. 190), trasparenza (d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33-“Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”),di conferimento di incarichi (d.lgs. 8 aprile 2013 n. 39-“Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50 della legge 6 novembre 2012 n. 190), di comportamento dei dipendenti pubblici (D.P.R. 16 aprile 2013 n. 62- “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici”), DPCM del 18 aprile 2013 sulla “White list”.
Vanno inoltre richiamati i provvedimenti governativi costituiti dal DPCM 16 gennaio 2013 di “Istituzione del Comitato interministeriale per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, dalle “Linee di indirizzo” del citato  Comitato interministeriale per la predisposizione, da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica del Piano Nazionale Anticorruzione previsto dalla legge 190, e dallo stesso Piano Nazionale Anticorruzione adottato dalla Funzione pubblica.Si richiamano inoltre il decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, art. 29- Disposizioni transitorie in materia di incompatibilita’ di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39” (25) e il Decreto Legge 31/8/2013 n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013 n. 125, art.5 –“Disposizioni in materia di trasparenza, anticorruzione e valutazione della performance” (26).
L’ambito di applicazione delle “leggi Brunetta” era definito nell’art. 1 del decreto 150/2009, con riguardo alle amministrazioni pubbliche “…di cui all’art. 2 comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165” ed aveva ad oggetto, in particolare una riforma organica del lavoro pubblico. L’obiettivo di una sua migliore organizzazione  (art. 1 comma 2 del d.lgs. 150/2009) era perseguito attraverso vari strumenti tra i quali il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’efficienza, il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo e “…la trasparenza nell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità”.
Si trattava pertanto di una serie di misure diretta alle diverse pubbliche amministrazioni (ministeri, enti pubblici, università, regioni ed enti locali, università e scuole) ma non comprendeva le società pubbliche per le quali era prevista esclusivamente l’applicazione degli strumenti di cui al d.lgs 8 giugno 2001, n. 231(Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). L’art. 1 del d.lgs. 231, comma 2° prevede in particolare che le sue disposizioni non si applichino “allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”. In tal modo è stata affermata la sua obbligatoria applicabilità agli enti pubblici economici ed alle società pubbliche in genere (Cass. Pen., sez. II, 9 luglio 2010, n. 28699; Trib. Salerno, 28 marzo 2003, in Cass. Pen. 2004, n. 114)(27).
Si era osservato in precedenza che il d.lgs. 150/2009 sembrava prospettare un’estensione del cd. “mod. 231” alle amministrazioni pubbliche.
Con la legge 190, con la quale questo “modello” è stato interpretato, ampliato e ed adattato alle amministrazioni pubbliche si è anche proceduto all’estensione dei nuovi principi anticorruzione anche alle società pubbliche, che già dispongono del “sistema 231”, con conseguente necessità di coordinamento fra i due. 
Le società pubbliche o meglio “partecipate” dallo Stato e da enti pubblici, rispondono all’esigenza di intervento pubblico nell’economia realizzato utilizzando la capacità giuridica di diritto privato riconosciuta agli enti pubblici (art. 2093 cc.,  2201 c.c.)(28)(29).
Tale fenomeno si è sviluppato in Italia a partire dall’inizio del ‘900, con la costituzione delle prime società anonime con partecipazione degli enti locali, divenute poi società per azioni. Le prime società con partecipazione pubblica locale sono individuate (30) nella Autoservizi Perugia spa (provincia di Perugia), costituita il 23 maggio 1907; la Rete Automobilistica Maremmana Amiatina, Rama spa (provincia di Grosseto e 16 comuni), costituita il 13 novembre 1913; la Società Trasporti Elettrici Ligure spa (comune di Sanremo), costituita il 16 luglio 1920. Il fenomeno si sviluppa nello stesso periodo anche a livello nazionale, in molteplici forme, che, a partire dall’azienda autonoma (31), sfociano prima nell’ente pubblico economico (INA-1912, Banca nazionale del Lavoro-1915, Crediop -1919), nella grande holding (IRI-ENI) e quindi nella trasformazione degli enti pubblici economici in società pubbliche per azioni sulla base del d.l. n. 386/1991 (art.1), convertito nella legge 29 gennaio 1992 n. 35 (32).
Sulla base anche della legislazione relativa agli enti locali il fenomeno della “privatizzazione” delle imprese pubbliche ha assunto dimensioni sempre più rilevanti tanto da divenire oggetto di interventi del legislatore diretti a limitarne l’aumento e a sottoporle a maggiori controlli(33), anche in relazione all’esigenza di contenimento della spesa pubblica.
Un particolare profilo che evidenzia tali esigenze di controllo pubblicistico sulle società partecipate attiene all’ambito di giurisdizione della Corte dei conti sulla loro gestione.
Al riguardo, attesa la natura privatistica dell’attività di gestione e dei rapporti di lavoro presso tali soggetti, la giurisprudenza della Corte di cassazione non riconosceva la giurisdizione di responsabilità amministrativa nei confronti di amministratori e dirigenti degli enti pubblici economici (e delle società partecipate).
L’assetto stabilizzato che escludeva la configurabilità della responsabilità amministrativa e della conseguente giurisdizione contabile nei confronti di amministratori e dirigenti di enti pubblici economici (e successivamente delle società a partecipazione pubblica) è stato modificato dalla ordinanza Cass. sez. un civ., ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003), la quale  nell’affermare l’estensione della giurisdizione contabile anche ad amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, ha individuato nella “natura pubblica delle risorse utilizzate” il criterio fondamentale per il riparto della giurisdizione, in considerazione della oggettivizzazione dell’attività amministrativa , ormai generalmente  svolta con forme anche privatistiche. Tale decisione ha ribaltato un quarantennale  orientamento negativo  (fra le ultime cass, sez. un. 21 novembre 2000, n. 1193 relativa alla S.A.C.E. e cass. sez. un. civ. ord. 11 febbraio 2002, n. 1945 relativa ad un’azienda municipalizzata ), pur non potendosi dimenticare che la stessa corte di cassazione, non aveva già  mancato di evidenziare un certo “disagio” per tale assetto del riparto che di fatto sottraeva un ampio e forse il più rilevante, in termini economici, settore della finanza pubblica all’accertamento delle responsabilità gestionali, anche quando siano conseguenza di dolose appropriazioni delle risorse collettive (cfr. cass. sez. un. 2 ottobre 1998, n. 9780, secondo cui “…il discorso -sulla carenza di giurisdizione del giudice contabile nella fattispecie di danni subiti da enti pubblici economici in relazione ad esercizio di attività imprenditoriali- …non sarebbe completo se questa corte non si facesse carico delle gravi preoccupazioni, di ordine pratico ed istituzionale, all’origine delle argomentazioni con le quali il procuratore regionale - il quale partecipa ai giudizi di responsabilità civile ed amministrativa dei pubblici amministratori e dipendenti in quanto portatore non dell’interesse particolare dell’amministrazione, ma di quello generale dell’ordinamento giuridico…- ha difeso la sua pretesa di assicurare alla Corte dei conti la competenza giurisdizionale nella presente vicenda processuale; il timore cioè tale limitazione temporale e la finora timida attività giudiziaria dell’ente danneggiato nei confronti dei pretesi responsabili possano risolversi in un sostanziale esonero di responsabilità…Trattasi di timore serio e reale di cui è arduo nascondersi la portata…”- fattispecie relativa alle tangenti ENIMONT”). Tale pronuncia appare costituire un significativo antecedente dell’ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003, riguardante il presidente e i componenti consiglio amministrazione consorzio comprensoriale del Chietino per la gestione di opere acquedottistiche, con la quale è stata affermata la giurisdizione contabile in ordine al danno  derivante dall’affidamento di un’ ingente somma a società finanziaria con investimento all’estero e conseguente perdita per l’ente (fattispecie collegata a vicenda penale).Tra il 1998 (ENIMONT) e l’ordinanza del dicembre 2003 comunque la Corte aveva continuato ad esprimere un avviso sfavorevole all’estensione della giurisdizione contabile, confermando gli orientamenti più risalenti (Cass. sez. un. civ. 2 ottobre 1993, n. 10381;  22 maggio 1991 , n. 5792; 2 marzo 1983, n. 1282; 21 ottobre 1983, n. 6179). Può in particolare menzionarsi l’ordinanza n. 1243 del 1° dicembre 2000 relativa alla posizione del direttore tecnico di un consorzio intercomunale gas acque e depurazione (Marche). La fattispecie riguardava danni connessi ad attività contrattuale con erogazione di tangenti e collegate vicende penali. In tal caso si affermava la giurisdizione ordinaria in quanto i fatti erano comunque pertinenti all’attività imprenditoriale dell’ente. La giurisdizione contabile era anche esclusa nella decisione  n. 12708 del 20 gennaio 1999 (Amministratori e funzionari dell’azienda municipalizzata trasporti autofilotranviari di Bari – Danni connessi ad attività contrattuali - affidamento a società esterna del servizio di manutenzione complesso impiantistico, lavori di  manutenzione straordinaria, lavori di spurgo di cisterne ed acque sporche, interventi di controllo di verifica impianti, acquisti di materiali) in quanto veniva ritenuto che i comportamenti censurati erano contrari non a norme di contabilità pubblica ma semplicemente agli “…obblighi generici del buon andamento e dell’efficienza dell’azione amministrativa…”. La Corte di cassazione, durante il periodo 1988-2003 affermava invece la giurisdizione contabile in fattispecie analoghe nelle quali la controversia veniva risolta  escludendo il carattere “economico” dell’ente o la natura imprenditoriale dell’attività ( n. 829 del 29 novembre 1999 -componenti commissione amministratrice dell’azienda municipalizzata trasporti di Palermo –Danno connesso all’affidamento di consulenze esterne- Giurisdizione della Corte dei conti in quanto si trattava di attività incidenti “sostanzialmente” sul profilo organizzativo e funzionale dell’azienda  e non in un’attività “propriamente imprenditoriale”; -n. 085 del 3 aprile 2000- Componenti consiglio di amministrazione dell’ente acquedotto pugliese- Danni per eccessivi compensi a componenti commissioni di valutazione di progetti finanziati dalla Agenzia per il Mezzogiorno- giurisdizione Corte dei conti perché l’ente non è “ente pubblico economico”; - n. 11 del 19 gennaio 2001 Presidente ASI- Danni per attività extraistituzionali- Giurisdizione corte dei conti perché l’ASI non è “ente pubblico economico”). La prima espressa pronuncia riguardante una società in mano pubblica , dopo l’ordinanza 19667/2003 è contenuta nella sentenza n. 3899 del  26 febbraio 2004 (Amministratori SOGEMI- società per l’impianto e l’esercizio dei mercati annonari all’ingrosso di Milano- al 99,97% di proprietà del comune di Milano- danni da attività contrattuale collegata a tangenti), motivata tuttavia in relazione alla  gestione di servizio pubblico, “non rilevando la natura privatistica dell’ente affidatario” delle funzioni pubbliche. Ulteriore pronuncia favorevole è la n. 3351 del 19 febbraio 2004- (Componenti commissione amministratrice azienda municipalizzata pubblici servizi di Parma- danni da erogazioni di somme per pura liberalità -sponsorizzazioni, acquisti di materiale privo di utilità - a favore di partiti politici ed associazioni varie) ove la giurisdizione della Corte dei conti è stata affermata sulla base del mero richiamo alla disciplina vigente per gli enti locali. Con la decisione n.10979 del  9 giugno 2004 (Presidente consiglio di amministrazione delle ferrovie dello Stato e ministro dei trasporti  - Danno da indebito svincolo di anticipazioni a favore di imprese affidatarie di opere per l’alta velocità) la Corte di cassazione ha invece affermato la giurisdizione ordinaria perché si trattava di attività imprenditoriale “anteriore al  1994” e pertanto confermando l’impianto dell’ordinanza 19667/2003. Per la conferma del principio con riguardo agli enti pubblici economici cfr. Cass. civ. sez. un. n. 10973 del 25 maggio 2005 (34). Nel corso del 2009 , in esito a ricorsi preventivi di giurisdizione, intervenivano le decisioni delle Sezioni Unite che riconsideravano compiutamente il quadro di riferimento della giurisdizione affermando (sent. n. 26806/09) , che sussiste giurisdizione contabile anche nei confronti di amministratori di società in mano pubblica quando si tratti di danno cagionato direttamente nei confronti del socio pubblico , Stato o altro ente pubblico, ma non nel caso di danno cagionato al patrimonio della società per il quale valgono le generali previsioni della responsabilità civile, salvo casi di particolare configurazione dei rapporti fra ente pubblico e società (cfr  sent. n. 27092/09 del 27 ottobre 2009, relativa alla giurisdizione sugli amministratori e dipendenti della R.A.I. Radiotelevisione Italiana  spa). A tali decisioni si aggiungevano l’ord. n. 5019 del 3 marzo 2010 (concernente la responsabilità di amministratori e soci di s.r.l.,  nella quale si sottolineava la diversità rispetto ad un indice di collegamento che si basi solo sulla  “partecipazione azionaria”, finendo con il confondere tra costituzione della società o acquisto delle quote azionarie e l’azione lesiva successiva compiuta dagli amministratori)  e l’ord. n. 5032 del  3 marzo 2010 (concernente  dipendenti di ENAV S.p.A., nella quale si precisava che a fondare la giurisdizione contabile vale l’esistenza di un capitale sociale interamente pubblico, nonché il servizio pubblico svolto dalla SpA). La Corte di cassazione precisava che la giurisdizione contabile si esercita unicamente sul danno inferto direttamente al patrimonio del soggetto pubblico partecipante (ad esempio: danno all’immagine), ma non per i danni che si assumono causati al patrimonio della società privata. Per questi ultimi è il socio pubblico, nella sussistenza dei presupposti di legge, facultato ad esercitare l’azione sociale civile (35).  
Più recentemente tuttavia, sono intervenute numerose disposizioni normative relative alle società partecipate, dirette al contenimento dell’uso di detto strumento organizzativo in relazione ad esigenze di contenimento della spesa e di rafforzamento dei controlli sulla loro gestione (36).
Si richiamano in particolare l’art. 13, commi 1 e 2 del decreto legge n. 223/2006 convertito nella legge n. 248/2006 (come modificato dal comma 4-septies dell’art. 18, decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione, poi dal comma 1 dell’art. 48, legge 23 luglio 2009, n. 99) in materia di limiti alla operatività nei settori economici e commerciali delle società ad oggetto sociale esclusivo; l’art. 3, comma 27, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008, come modificato dal comma 4 –octies dell’art. 18, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione, e poi dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 71 della legge 18 giugno 2009, n. 69) che pone il divieto, per tutte le amministrazioni, di “costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”; l’art. 19 comma 5 del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, sulle società in house delle amministrazioni statali per la gestione di fondi o interventi pubblici; l’art. 23-bis del decreto legge 25 giugno 2008 n. 133, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133 e successive modificazioni, pur se abrogato dal relativo referendum, dall’art. 1 del dpr 18 luglio 2011 n. 113, sostituito dall’art. 4 del decreto legge n. 138/2011, che distingue nettamente l’attività economica sul mercato dall’attribuzione di diritti di esclusiva per lo svolgimento di attività amministrative (anche in forma di impresa) o di attività economiche per le quali un’analisi di mercato dimostri l’impossibilità del ricorso alla libera iniziativa economica privata. In tale contesto può anche essere verosimilmente riconsiderato l’art. 16 bis della legge 28 febbraio 2008 n. 31, che risulta fissare un limite, anche se solo quantitativo e dunque inidoneo a risolvere tutte le aporie sistematiche, al di sopra del quale (ragionando a contrario) vi sarebbe un interesse pubblico alla incardinazione del giudizio contabile e legittimazione processuale attiva obbligatoria.
Il Legislatore è ulteriormente intervenuto nella materia con il d.l. n. 95/2012, convertito  nella legge 135/2012, il quale all’art. 4 comma 12 ha previsto una diretta responsabilità per danno erariale degli amministratori e dirigenti di società controllate da amministrazioni pubbliche che erogano prestazioni a favore di amministrazioni pubbliche superiori al 90 per cento del fatturato, in caso di erogazione ai dipendenti di compensi in violazione dei limiti stabiliti dalla norma. In tali casi risulta essere stata posta in essere, sia pure per specifiche tipologie di spesa, una espressa interpositio legislatoris a favore della giurisdizione contabile. Analoga interpositio legislatoris a favore del giudice contabile appare  disposta dai commi 7 e d 8 dell’art. 1 del medesimo d.l. , nei confronti di amministratori delle società a totale partecipazione pubblica, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione , in caso di violazione dell’obbligo, valevole per tali società, di rispettare, in determinati ambiti, le convenzioni CONSIP. Allo stesso modo, anche per le società controllate dalle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione valgono i limiti di spesa per l’utilizzo delle auto di servizio ed i dirigenti delle stesse sono suscettibili di responsabilità amministrativa, in caso di superamento dei suddetti limiti (v. art. 5 commi 2 e 3 del d.l.  n. 95/2012).
Inoltre il d.l. n. 174 del 2012, convertito nella legge n. 213/2012 ha introdotto l’art. 147 quater al testo unico degli enti locali che prevede, oltre alla necessità di un bilancio consolidato, un penetrante e sistematico sistema di controllo sulle società non quotate partecipate dagli enti locali i quali devono definire, preventivamente, gli stessi obiettivi gestionali cui devono tendere tali società. L’autonomia decisoria gestionale delle stesse viene , perciò, ulteriormente ridotta.
Un ulteriore profilo che ha determinato un limitato mutamento di orientamenti giurisprudenziali è l’enucleazione, tra le società partecipate, di quelle c.d.”in house” (così denominate sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia di contratti pubblici)(37), per le quali le ragioni di autonomia gestionale civilistica risultano particolarmente limitate.
Le società di tal genere sono caratterizzate dal peculiare rapporto organizzativo che lega l’ente pubblico alle società controllate (si è parlato nella giurisprudenza amministrativa di rapporto di delegazione interorganico: Consiglio di Stato, V sez. n. 8970/2009). La La Corte di cassazione ha sottolineato  (Sez. un. ord. n. 10063 del 2011) come “il problema va risolto esaminando caso per caso se la società per azioni sia un soggetto non solo formalmente ma anche “”sostanzialmente”” privato ovvero essa sia un mero modello organizzatorio del quale si avvalga la P.a. al fine di perseguire le proprie finalità”. Proprio la particolare natura, regolamentazione e finalità della società presa in considerazione sono stati motivi che hanno portato la Corte di cassazione a riconoscere la giurisdizione contabile nel caso di danni causati da amministratori alla RAI spa (Sez. Un. civ. ord. n. 27092 del 2009). 
Si tratta pertanto di società di diritto privato sui generis,  che non risultano sovrapponibili al modello disegnato dal legislatore civile e risultano soggette alla disciplina non solo civilistica ( ma ciò avviene anche per i soggetti pubblici in senso stretto),  ma a tutta una serie di regole e normative che incidono fortemente sulla loro governance e che limitano fortemente la stessa vita societaria. Il modello delle società in house si è diffuso soprattutto a livello di enti locali al fine di consentire loro, in vista del migliore perseguimento dell’interesse pubblico, l’affidamento diretto di servizi pubblici in deroga alle procedure ad evidenza pubblica. Siffatta modalità di affidamento (che si affianca ad altre tipologie quali il ricorso: a) all’imprenditoria privata secondo il principio della libera concorrenza; b) ad ente strumentale  sfornito di personalità giuridica, senza necessità di gare; c) a società esterna, fornita di personalità giuridica, mediante un atto di concessione di contemporanea esecuzione e gestione del servizio) si concretizza nell’assegnazione diretta ad una società esterna – anch’essa fornita di personalità giuridica autonoma e quindi soggettivamene separata dall’ente – che però ha  le caratteristiche appunto di una società in house e cioè di una società che opera come una sorta di derivazione (longa manus) dell’Amministrazione. L’affidamento in questione ha però fatto emergere  il problema se e in quale misura l’intento di assicurare il menzionato interesse pubblico possa giustificare deroghe alla disciplina societaria di diritto comune. In altri termini, se la particolare configurazione della società, i suoi rapporti con l’ente pubblico ed il suo concreto operare la possano qualificare o meno come società in house providing. Il problema va risolto applicando un criterio variabile, che tenga conto delle sequenziali sfumature di volta in volta ricorrenti, posto che le dette deroghe possono in modo vario attestarsi nell’ambito intercorrente tra un livello minimo (in cui la società è interamente disciplinata dal diritto comune, mentre l’ente pubblico ha solo la titolarità delle azioni) ed uno massimo (in cui è assolutamente e sicuramente configurabile il preminente aspetto pubblicistico), fermo restando che tra tali due livelli sono rilevabili varie graduazioni, in cui la suddetta preminenza può desumersi attraverso appositi indici. Con la conseguenza che ove tale preminenza sussista,  la società in house, al di là della forma giuridica rivestita, assume la configurazione di struttura assimilabile  a ufficio interno dell’ente di riferimento. Affinché una società abbia le caratteristiche proprie di una società in house providing è necessario che ricorrano le seguenti circostanze: un capitale interamente pubblico, l’impossibilità di cedere una parte del pacchetto azionario a soggetti terzi, il requisito del controllo analogo e, infine, il vincolo della territorialità.  La società in house providing, infatti, assume in tal modo la veste di braccio operativo,  di articolazione  ovvero di specifico ufficio dell’Amministrazione locale, scevra da un qualunque interesse di tipo privatistico,  restando soggetta ad un  controllo analogo a quello che l’ente locale esercita sui propri servizi. 
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 46/2013, ha precisato, in tema di “società in house”  (richiamando quanto già affermato nella sentenza n. 325/2010) che “…Secondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti la gestione in house, alle quali è subordinata la possibilità del suo affidamento diretto (capitale interamente pubblico, controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario di “”contenuto analogo”” a quello esercitato dall’aggiudicante stessi sui propri uffici; svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante) debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l’ “”in house providing”” un’ eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza della suddette condizioni esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo. Quindi una diversa disciplina che favorisca le società in house rispetto all’aggiudicante amministrazione pubblica si potrebbe porre in contrasto con la stessa disciplina comunitaria, in quanto verrebbe a scindere le due entità e a determinare un ingiustificato favor nei confronti di questo tipo di gestione dei servizi pubblici, dato che il bilancio delle società in house non sarebbe soggetto alle regole del patto di stabilità interno. Le suddette regole , invece, debbono intendersi estese a tutto l’insieme di spese ed entrate dell’ente locale sia perché non sarebbe funzionale alle finalità di controllo della finanza pubblica e di contenimento delle spese permettere possibili forme di elusione dei criteri su cui il “Patto” si fonda, sia perché   la maggiore ampiezza degli strumenti a disposizione dell’ente locale per svolgere le sue funzioni gli consente di espletarle nel modo migliore, assicurando, nell’ambito complessivo delle proprie spese, il rispetto dei vincoli fissati dallo stesso Patto di stabilità (38)…”.
In applicazione di detto orientamento la Corte di cassazione, con la sentenza Sez. Unite del 25 novembre 2013  n. 26283, ha espressamente affermato la giurisdizione contabile nei confronti di amministratori di una spa “in house”(39).
In questo contesto di estensione di principi pubblicistici alle società partecipate rientrano anche le disposizioni contenute nella legge 190/2012, con le quali alcune previsioni riguardanti le amministrazioni pubbliche sono estese alle società partecipate.
In particolare, in base al comma 34 della legge , le disposizioni della stessa legge previste dai commi da 15 a 33 si applicano, oltre che alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 del d.lgs. 165/2001, anche agli enti pubblici nazionali, nonché alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate ai sensi dell’art. 2359 del c.c., limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea.
Le previsioni contenute negli anzidetti commi riguardano la trasparenza amministrativa (40)(41) (commi 15-16-17-26-27-28-29-30-31-32) e l’arbitrato (42) (commi 18-19-20-21-22-23).
Il comma 15 fornisce la nuova definizione di trasparenza amministrativa (“15. Ai fini della presente legge, la trasparenza dell' attivita' amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, e' assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilita', completezza e semplicita' di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche sono pubblicati anche i relativi bilanci e conti consuntivi, nonche' i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini. Le informazioni sui costi sono pubblicate sulla base di uno schema tipo redatto dall'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che ne cura altresi' la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito web istituzionale al fine di consentirne una agevole comparazione”). 
Il comma 16, mantenendo fermi gli obblighi di pubblicità e comunicazione già previsti (art. 53 d.lgs. 165/2001; art. 54 del codice dell’amministrazione digitale di cui al d.lgs. n. 82/2005; art. 21 della legge n. 69/2009; art. 11 del d.lgs. 150/2009) prevede che le pubbliche amministrazioni assicurino i livelli essenziali di prestazione, concernenti i diritti sociali e civili di cui all’art. 117, secondo comma lettera m) della Costituzione con particolare riferimento ai procedimenti di: “…a)autorizzazione o concessione;b)scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalita' di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163;c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonche' attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati;d)concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all'articolo 2 4 del citato decreto legislativo n.150 del 2009….”
E’ stato osservato (43) che sino all’emanazione della legge 15/2009 e del successivo  d.lgs. 150/2009 la trasparenza era considerata “…un mero principio comportamentale degli organi pubblici e la sua effettiva garanzia si esauriva nel diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241- oltre che dagli artt. 10 e 43 , comma 2 del d.lgs.  18 agosto 2000 n. 267-TUEL- ex art. 7 della legge 8 giugno 1990 n. 142- e nelle forme di pubblicità previste dal Codice dell’amministrazione digitale…”, mentre l’unico esempio di accesso parzialmente “incondizionato” alle informazioni era rappresentato dall’accesso alle informazioni ambientali (art. 4 della legge 8 luglio 1986 n. 349-d.lgs. 19 agosto 2005 n. 195; art. 3 del. D.lgs.  3 aprile  2006 n. 152 (codice dell’ambiente)(44).
In attuazione della delega contenuta nella legge 190 il Governo ha adottato il d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33 recante il “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”.
Secondo il cit. Rapporto ANAC (pag. 45), “ …tale provvedimento ha complessivamente operato una sistematizzazione dei principali obblighi di pubblicazione vigenti, non limitandosi alla sola ricognizione e al coordinamento delle disposizioni già adottate, ma introducendo nuovi obblighi ed ulteriori adempimenti, oltre a quelli già numerosi esistenti. Si è anche esteso l’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in materia di trasparenza e disegnato un sistema di controlli e sanzioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicazione”.  Nell’esercizio delle proprie funzioni di indirizzo in materia di trasparenza (già previste dal d.lgs. 150/2009)  l’ANAC ha adottato la delibera n. 50/2013 “Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016”, in cui sono stati sottolineati gli stretti collegamenti del programma triennale anzidetto con i Piani triennali della prevenzione della corruzione e con i Piani della performance. E’ stata inoltre “…messa in risalto l’opportunità di identificare in un unico soggetto le funzioni di Responsabile della prevenzione della corruzione e di Responsabile della trasparenza…”. Tra le questioni interpretative sottoposte all’Autorità (v.Rapporto, pag. 47) alcune hanno riguardato l’”…estensione degli obblighi di pubblicazione a nuovi soggetti, quali le società partecipate…”. Le richieste maggiormente ricorrenti riguardano “…la pubblicazione dei dati relativi agli organi di indirizzo politico-art.14; la pubblicazione dei dati su concessioni di sovvenzioni, contributi sussidi, vantaggi economici –artt. 26 e 27; l’applicazione delle norme agli enti pubblici vigilati, enti privati in controllo pubblico, società partecipate (art. 22) e le sanzioni per casi specifici ex art. 47…”.
Con la delibera n. 65/2013 l’Autorità ha chiarito che quanto agli obblighi di pubblicazione relativi agli organi di indirizzo politico (art. 14 del d.lgs. 33/2013) , vi sono tenuti oltre alle amministrazioni pubbliche, anche “gli enti pubblici vigilati, gli enti di diritto privati e le società partecipate; gli obblighi di pubblicazione sono da intendersi riferiti ai componenti degli organi di indirizzo politico in carica alla data di entrata in vigore del decreto (20 aprile 2013); le amministrazioni, gli enti e le società individuano i componenti degli organi di indirizzo politico, anche con riferimento alle norme statutarie e regolamentari che ne regolano l’organizzazione e l’attività; non sono soggetti agli obblighi di pubblicazione dell’art. 14, c.1 lett. f) i comuni con popolazione inferiore ai 15 mila abitanti.
Circa i quesiti concernenti gli artt. 26 e 27 del d.lgs. 33/2013 recanti la di nuova disciplina relativa alla pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati, l’Autorità ha adottato la delibera n. 59/2013 nella quale è stato precisato che “…oltre alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, c. 2 del d.lgs. 165/2001, sono tenuti alla pubblicazione anche gli enti nazionali, ivi comprese le aziende speciali assimilate dalla giurisprudenza agli enti pubblici economici, nonché le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni e le società da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 del c.c.. E’ stato specificato inoltre che vanno pubblicate solo le informazioni relative a provvedimenti volti a sostenere un soggetto, sia pubblico che privato e non i compensi dovuti dagli enti a imprese e privati come corrispettivo (i quali devono comunque essere pubblicati in virtu’ di altre disposizioni). E’ stato anche chiarito infine che, posto che la pubblicazione è obbligatoria e condizione di efficacia solo per importi superiori a mille euro, questi sono da intendersi sia se erogati in unico atto, sia con atti diversi ma che nel corso dell’anno solare superino il tetto di mille euro nei confronti dell’unico beneficiario…”.
Quanto alle sanzioni per la violazione degli obblighi di comunicazione e pubblicazione di cui agli artt. 14 e 22 del d.lgs. 33/2013, con la delibera n. 66/2013, l’Autorità ha dato risposta a quesiti relativi all’individuazione del soggetto titolato ad irrogare le sanzioni pecuniarie previste dall’art. 47 del d.lgs. 33/2013 , e riguardanti “…i dati sugli enti pubblici vigilati, gli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché le partecipazioni in società di diritto privato-art.22…”. La norma fa un rinvio generico all’Autorità individuata dalla legge 689/1981 (45). Con la cit. delibera l’Autorità ha chiarito che “…ciascuna amministrazione provvede a disciplinare con proprio regolamento il procedimento sanzionatorio, ripartendo tra i propri uffici le competenze, in conformità ai principi dettati dalla legge 689/1981, quali contraddittorio, separazione tra ufficio che istruisce e quello che decide, criteri per l’applicazione delle sanzioni. …nelle more dell’adozione del regolamento, le amministrazioni, nella loro autonomia, sono tenute a indicare un soggetto cui compete l’istruttoria ed uno a cui compete l’irrogazione delle sanzioni e che, qualora gli enti non provvedano, tali funzioni sono demandate, rispettivamente, al RPC e al responsabile dell’ufficio disciplina…”.
Nell’ambito del Rapporto, per quanto qui rileva, risulta di interesse l’ “Appendice 2”-“Una prima ricognizione dei sistemi di analisi del rischio e della problematiche della trasparenza nelle società in controllo pubblico”.  L’analisi offre una visione complessiva delle attività poste in essere da tali società, sia con riferimento all’adozione del mod. 231 sia con riguardo all’attuazione della legge 190/2013 e del Piano nazionale anticorruzione. 
Per quanto in particolare riguarda gli obblighi di pubblicazione concernenti i “contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”(46), il d.lgs . 33/2013, all’art. 37, richiama gli obblighi stabiliti nell’art. 1 comma 32 della legge 190/2012, nonché le previsioni contenute nel codice degli appalti (artt. 63-65-66-122-124-206-223 del d.lgs. 163/2006) nonché l’obbligo di pubblicare, nell’ipotesi di cui all’art. 57, comma 6 (procedura negoziata senza pubblicazione del bando (47) del d.lgs. 163/2006, la delibera a contrarre.
Tale settore di attività delle pubbliche amministrazioni studi è caratterizzato da una particolare esposizione al “rischio corruzione” 
Il “Libro bianco” del Governo su “Corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione”, presentato dal Presidente del Consiglio il 22 ottobre 2012 (48), dedicava le pagine da 107 a 135 proprio a tale materia, scelta tra quelle di maggior rilievo, assieme ai settori “Sanità”, “Governo del territorio” e “Controlli”.
La caratteristica del contratto amministrativo è quella per cui una delle parti è una pubblica amministrazione  e la specificità della disciplina che, pur complessivamente regolata dal diritto comune, ha delle particolarità riguardanti in particolare le modalità di formazione della volontà del contraente amministrazione pubblica (49). 
Viene osservato che “…il diritto dei contratti pubblici è prima di tutto un diritto che va più in là del diritto comune dei contratti, occupando settori di materia che quest’ultimo tendenzialmente non disciplina. L’assenza di “”un vero padrone”” dal quale si attende fisiologicamente la tutela dell’interesse della propria organizzazione impone, in via surrogatoria, la prescrizione di regole tendenzialmente oggettive che da un lato delimitino la discrezionalità amministrativa e dunque ne prevengano le patologie, e dall’altro garantiscano la bontà delle scelte contrattuali. Così se un privato, normalmente è libero di stabilire se e a quali fini intende stipulare un contratto, l’Amministrazione dovrà invece preventivamente esplicitare le ragioni di interesse pubblico (deliberazione a contrarre) ; se un privato è normalmente libero di scegliere a propria controparte contrattuale, l’amministrazione dovrà seguire appositi percorsi procedimentali – i cd. metodi di scelta del contraente, di regola caratterizzati dall’adozione del metodo concorsuale; se un privato, ancora, è normalmente libero di scegliere l’offerta che reputa più conveniente, l’amministrazione è soggetta a determinati criteri di aggiudicazione . I profili pubblicistici della materia sono molteplici e molto rilevanti. Non si può dare il caso di un contratto che veda come parte una pubblica amministrazione il quale sia integralmente regolato dal diritto privato. Questa attività della pubblica amministrazione…è vincolata dall’interesse collettivo e deve rispettare principi quali quelli di buon andamento e imparzialità (art. 97 cost.)…”(50).
In generale va osservato che il settore dei contratti pubblici si riferisce ad una categoria più ampia di quella degli appalti di lavori, servizi e forniture, comprendendo anche i contratti attivi, dai quali derivi un’entrata per la pubblica amministrazione.
Ancora oggi la disposizione generale in materia di contratti pubblici, non abrogata dall’art. 256 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 – Codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE , è costituita dall’art. 3 del r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 (legge generale di contabilità di Stato) il comma 1 dispone che  “ I contratti dai quali derivi un’entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, delle quali dovrà farsi menzione nel decreto di approvazione del contratto, e limitatamente ai casi da determinare con regolamento, l’amministrazione non intenda far ricorso alla licitazione ovvero nei casi di necessità alla trattativa privata”. Il comma 2 dispone che “I contratti dai quali derivi una spesa per lo Stato debbono essere preceduti da gare mediante pubblico incanto o licitazione privata a giudizio discrezionale dell’amministrazione”.
Nel settore dei contratti attivi si ritiene che il ricorso alla trattativa privata abbia un carattere eccezionale e necessiti di specifica motivazione (Cons di Stato, sez. IV, 1 febbraio 2001, n. 399 in Foro amm. 2001, p.280 e in Foro it., 2001, III, 263).
In base all’art. 16 della direttiva n. 2004/18/CE del 31 marzo 2004, sono inoltre  esclusi dalla disciplina comunitaria  , gli appalti aventi per oggetto” l’acquisto o la locazione di beni immobili o diritti su tali beni”. Tuttavia i contratti di servizi finanziari  conclusi anteriormente, contestualmente o successivamente al contratto di acquisto o di locazione rientrano, a prescindere dalla loro forma , nel campo di applicazione della direttiva .  
Il codice degli appalti pubblici  (d.lgs. n. 163/2006)  , riprende la direttiva precisando che (art. 19) – Contratti di servizi esclusi .“Il presente codice non si applica ai contratti pubblici: a) aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità di finanziamento, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili, o riguardanti diritti su tali beni; tuttavia i contratti di servizi finanziari conclusi anteriormente, contestualmente o successivamente al contratto di acquisto o di locazione, rientrano, a prescindere dalla loro forma, nel campo di applicazione del presente codice…” 
L’art. 2 del Codice indica i principi cui devono attenersi i procedimenti regolati dal codice stesso e consistono in quelli di “qualità delle prestazioni”, economicità, efficacia, tempestività , correttezza, affidamento secondo libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità. Per quanto non previsto dal codice vanno applicate le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 241/1990 e di quelle previste dal codice civile.
Il settore è presidiato da un articolato complesso di norme (cfr. anche il DPR n. 207/2010- Regolamento del codice dei contratti pubblici) , ispirate e rispettose dei modelli imposti dal diritto comunitario e oggetto di costanti interventi integrativi e sottoposto a specifica attività di indirizzo da parte dell’apposita Autorità di vigilanza.
Ciononostante il settore dei contratti pubblici, risulta sicuramente interessato dai fenomeni di corruzione, come evidenziato dalla pratica giudiziaria, dalle analisi e studi sull’argomento e non ultima dalla sempre più ampia pubblicistica sul settore (51).
Il fenomeno non è nuovo tanto che, a titolo di curiosità si può ricordare che uno dei capitoli del saggio di L. PERELLI, “La corruzione politica nell’antica Roma” (Milano-Bur- 2004) si intitoli “Politica e affari: bustarelle, appalti e tangenti” (pagg. 195 e ss.) e riferisca, tra l’altro (pag. 221)  che “…come accade anche oggi e in tutti i tempi, le maggiori tangenti toccavano il campo degli appalti pubblici dove erano frequenti accordi fra magistrati e appaltatori per truccare le gare ed elevare il prezzo dell’asta…”. Si richiamano esempi con riguardo a lavori per la manutenzione dei templi, per la costruzione di acquedotti , per la realizzazione di strade. Prosegue osservando che “…il sistema degli appalti gonfiati o truccati continuò in età imperiale, anche se forse in misura inferiore grazie ai controlli disposti dagli imperatori. Frequente era il costume, comune ai nostri  tempi, di richiedere un supplemento di spesa col pretesto che la somma concordata nel contratto di appalti era insufficiente al completamento dell’opera pubblica appaltata…”. A chiusura di questo breve richiamo si segnala che gli altri capitoli del saggio riguardano “Associazioni paramafiose: clientela ed amicizia. I potentati elettorali”, “Corruzione elettorale e brogli”, “Corruzione della giustizia”, “Raccomandazioni”(52).
Quanto all’ incidenza finanziaria complessiva, secondo la  relazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ( Camera dei Deputati 4 luglio 2012), nel 2011 risultavano perfezionati 1.236.000 appalti fino a 40.000 euro per un importo di circa 5,3 miliardi, 128.000 tra 40.000 e 150.000 euro per un importo pari a circa 8,3 miliardi di euro, 60.000 di importo maggiore a 150.000 euro per 92 miliardi di euro. L’importo complessivo di tutti gli appalti ammontava a 106 miliardi di euro (iva esclusa), pari a circal’8,1% del Pil.
I rischi di cattiva amministrazione nel settore sono stati segnalati anche Banca d’Italia (53) che ha ricordato come l’azione della  PA , nella scelta delle procedure di aggiudicazione deve tener conto oltre alle  valutazioni discrezionali nell’ambito delle possibilità offerte dalla disciplina normativa, di “…numerose variabili aggiuntive...”, costituite dal rischio di: 1) mancato completamento dell’opera; 2) collusione tra le imprese; 3) corruzione; 4) carenze nella progettazione dei lavori; 5) molteplicità di obiettivi perseguiti con concrete manifestazioni del “rischio corruzione”. Nello studio si è osservato che “…In Italia, il settore degli appalti per opere pubbliche è probabilmente quello maggiormente soggetto a fenomeni di corruzione e, più in generale, di illegalità in tutte le aree del nostro Paese…”.
Si  può anche richiamare un intervento del presidente della Corte dei conti (54), che con specifico riferimento al settore dei contratti pubblici aveva dapprima richiamato il primo intervento organico in materia costituito dalla legge “Merloni” , n. 109/1994 che , in relazione alle vicende emerse nel 1992 (c.d. “Tangentopoli”)(55)  aveva affrontato la questione non dal punto di vista penale, ma da quello della organizzazione amministrativa. Si volle “…realizzare una riabilitazione della struttura amministrativa preposta all’esecuzione dei lavori pubblici…”, anche attraverso l’istituzione di un’ apposita Autorità (56), al fine di rafforzare la “funzione di imparzialità della pubblica amministrazione, insieme alle attività di vigilanza, ispezione, verifica”. La sempre maggiore incidenza dell’ordinamento comunitario ha determinato che accanto ai principi cardine dell’ordinamento nazionale (oculata spendita del denaro pubblico, corretto agire degli uffici, il primario interesse della pubblica amministrazione) si sono imposti quelli di derivazione appunto comunitaria (sviluppo del mercato e della concorrenza) talché “ la stessa valenza ed il relativo approccio ai fenomeni corruttivi ed alle altre devianze  del settore assunsero diversi significati e postularono diverse esigenze…Di qui il cambio di prospettiva per gli interessi da tutelare e al relativa  disciplina da porre in essere:una disciplina  non più  a tutela dominante  della pubblica amministrazione ma di tutela  dell’economia e dell’impresa e, quindi, della concorrenza…In un ambito più vasto di quello comunitario, l’OCSE individua nella trasparenza e responsabilità, unitamente alla cosiddetta “”efficienza amministrativa””, e ad un’effettiva concorrenza, gli elementi chiave  nella prevenzione dei fenomeni corruttivi…”.  
La rilevanza comunitaria della materia ha portato alla regolamentazione della stessa attraverso direttive comunitarie, prima riguardanti i diversi settori (appalti, forniture e servizi) e poi riunite nelle direttive 2004/17/CE e 204/18/CE del 31 marzo 2004 (57) riguardanti rispettivamente le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua, di energia ed i servizi di trasporto e postali (2004/17/CE)) e le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori , di forniture e di servizi (2004/18/CE), alle quali è stata data attuazione con il decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 e con il relativo regolamento di attuazione approvato con d.p.r. 5 ottobre 2010 n. 207.
Secondo un recente approfondimento (58), il tema dell’incidenza della corruzione nel settore dei contratti pubblici presenta profili di “grandissima complessità”. Fra le  misure introdotte in sede comunitaria e nazionale dirette ad arginare l’accordo illecito viene ricordato l’art. 45 della direttiva 2004/18/CE  (Situazione personale del candidato e dell’offerente)  , nell’individuare le cause di esclusione dalle gare di appalto, indica la condanna definitiva per il reato di corruzione fra le circostanze in presenza delle quali gli ordinamenti nazionali non possono ammettere la partecipazione …In sede di attuazione della suddetta direttiva il legislatore nazionale delegato, nel d.lgs. 163/2006- c.c. codice degli appalti pubblici- ha incluso all’art. 38, c. 1 lett. c) , fra i reati che certamente comportano la mancanza di requisiti generali del partecipante alla gara, anche il reato di corruzione, recependo letteralmente , l’intero paragrafo 1 …” dell’art. 45 della direttiva.  Di tale previsione “…la giurisprudenza ha più volte desunto il carattere vincolante delle predette fattispecie di reato ai fini dell’esclusione dalle gare di appalto. In particolare è stato peraltro affermato che nel caso in cui il bando e il disciplinare di gara non contengano alcuna espressa prescrizione di indicare in modo specifico le eventuali sentenze di condanna per i reati di partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, con correlata comminatoria di esclusione , ma si limitino ad un generico riferimento alle condizioni di cui all’art. 38, comma 1 lett. da a) a m-quater) , del codice, è illegittima l’esclusione dell’impresa che non ha specificato l’inesistenza di sentenze di condanna per i predetti reati, in quanto anche tali tipologie di reati sono riconducibili alla previsione generale della stessa norma in tema di reati ostativi della partecipazione ai pubblici appalti, salva soltanto l’esclusione di qualunque valutazione discrezionale da parte della p.a. (TAR-Sicilia, Palermo, sez. III,15 giugno 2009, 1076)….Va (anche) precisato che il Consiglio dell’OCSE il 16 ottobre 2008 ha adottato una raccomandazione con la quale ha individuato alcuni principi per la valorizzazione dell’integrità negli appalti pubblici. La Raccomandazione invita i Paesi membri a rafforzare la lotta contro la frode e la corruzione nelle varie fasi dell’appalto, affrontando i rischi che hanno un enorme peso economico. Tra le indicazioni formulate, in particolare per contrastare la corruzione, le amministrazioni devono necessariamente migliorare la governance mediante l’effettiva trasparenza delle procedure ad evidenza pubblica e attraverso la concreta garanzia della par condicio dei concorrenti alla gara; i Governi devono garantire meglio l’informazione sui contratti e prevedere meccanismi di più rapida soluzione delle controversie relative alle gare di appalto; è fissato nel 2011 un “”follow up”” per i Paesi membri dell’OCSE per valutare e confrontare l’applicazione dei principi fissati dalla Raccomandazione. C’è da precisare che per quanto riguarda i punti due e tre della Raccomandazione OCSE , in attuazione della direttiva c.d. “Ricorsi” (2007/66/CE) il legislatore delegato italiano ha emanato il decreto legislativo 20 marzo 2010 n. 53 che prevede modifiche nel senso sopra indicato negli artt. 11 e 79 del codice appalti, inserendo anche l’art. 243 bis relativo alle informative circa l’intento di proporre ricorso giurisdizionale  …Nel 1994 l’emergenza del fenomeno c.d di “”Tangentopoli”” aveva creato la necessità di prevedere nelle gare di appalto pubbliche il meccanismo che attraverso l’””automatismo”” garantisse minore discrezionalità possibile alle diverse figure chiamate a disciplinare le singole gare (responsabile del procedimento, membri delle commissioni, ecc.) In tale ottica si pensi a quanto era previsto nella legge  n. 109/1994: come criterio di aggiudicazione il solo massimo ribasso offerto dai concorrenti sull’importo fissato a base di gara; il divieto di operare varianti in corso d’opera al progetto esecutivo oggetto del contratto di appalto, tranne che in ristretti casi previsti tassativamente dalla legge stessa; la non ammissione alla trattativa privata, se non in pochissime ipotesi stringenti e previste dall’art. 24 della legge 109/94; l’esclusione automatica delle offerte anomalmente basse. Si può dire che con la legge “”Merloni”” era stata scelta la via del c.d. “”meccanicismo””al fine di: evitare di ricadere nelle condotte delittuose commesse nell’allora recente passato e di consentire ai funzionari (obiettivamente impauriti nell’agire) di poter operare e provvedere in garanzia…”. Il settore degli appalti pubblici presenta comunque profili di elevati ambiti di discrezionalità, vincolati nei fini e nei mezzi , ma che lasciano al soggetto decidente margini di opinabilità fra soluzioni anche tecniche , che danno luogo alla c.d. “discrezionalità tecnica” . “…Ed è proprio su tale aspetto  che la materia degli appalti , caratterizzata in nuce dall’interferenza con le materie ingegneristiche e di architettura e comunque da scelte di natura economica e tecnica, si è aperta nel tempo all’attuazione di scelte discrezionali in ottemperanza a norme, soprattutto speciali di gara, che lasciano ampi margini di opinabilità alla stazione appaltante e alla commissione giudicatrice. Nello specifico, superata l’emergenza, sono stati man mano reintrodotti dal legislatore , nella stessa “”Legge Merloni”” quegli istituti che erano stati di fatto sospesi, facendosi  strada una nuova stagione, caratterizzata sempre più da scelte discrezionali dell’amministrazione appaltante. In tale direzione rilevano: la reintroduzione del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa; la previsione della valutazione dell’offerta anomala; l’introduzione generalizzata delle ordinanze di protezione civile che consentono di operare in deroga ;  il ritorno e l’ampliamento delle ipotesi di trattativa privata, la figura del contraente generale nella legge obiettivo (ora art. 161 del Codice appalti) …A ciò deve aggiungersi che la gran parte delle Amministrazioni opera in concreto ex art. 125 del codice degli appalti con contratti in economia (non di rado determinando condotte illecite mediante frazionamenti illegittimi degli importi) che per loro natura si contraddistinguono per il fatto di non prevedere una gara formale . Da ciò emerge che gran parte dei contratti stipulati nel nostro Paese sembra estranea alle regole dell’evidenza pubblica con tutte le conseguenze che se ne possono trarre in ordine alla legittimità e alla liceità dei procedimenti esperiti. Importante è precisare che la giurisprudenza amministrativa ha più volte riconosciuto che nelle procedure indette per l’aggiudicazione di appalti pubblici in capo all’amministrazione residua sempre, a prescindere da una regola esterna dettata da disposizione di legge , di regolamento o rinvenibile nella disciplina speciale di gara, un margine di discrezionalità tecnica che, ne prudente apprezzamento della stazione appaltante, può investire le componenti dell’offerta nella loro serietà e congruità, in relazione  all’oggetto della gara ed alle modalità di esecuzione del contratto e che consente di disporre l’esclusione di offerte che presentino all’evidenza aspetti di inattendibilità (Consiglio di Stato, sez. V, 18 settembre 2009, n. 5597)In tal senso, allora l’automatismo delle scelte affermato dalla legge Merloni, da un punto di vista patologico ha visto affermarsi fenomeni corruttivi con accordi illeciti che si sono basati proprio sulla matematicità dei risultati. L’evoluzione della disciplina degli appalti , determinata dalle esigenze di innalzamento dei livelli progettuali e ingegneristici, ha sempre più lasciato spazio alla discrezionalità della stazione appaltante nell’ambito della quale, dal versante negativo, il controllo e la verifica hanno assunto più indefiniti margini. Anche in questo modello il rischio risiede allora nella possibile presenza di accordi illeciti che rimangano nascosti nella valutazioni di merito; appare necessario perciò, imporre un più effettivo obbligo di motivazione di ogni provvedimento secondo i criteri dettati dalle norme di azione. Più in generale i suddetti rischi possono essere analizzati nell’ambito di due dei principali istituti che dopo l’entrata in vigore del codice sono stati interamente rivisitati e ampliati. …Nella nuova normativa del d.lgs. 163/2006 i criteri di aggiudicazione sono il prezzo più basso e l’offerta economicamente più vantaggiosa, criterio quest’ultimo, che è stato reso facoltativo dal codice degli appalti, senza più alcuna limitazione (Corte di Giustizia CE, C-247/02 e art. 25 della legge n. 62/05-ora art. 81 e 83 cod. appalti). Con riferimento alla scelta del criterio di aggiudicazione, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, nella determinazione dell’8 ottobre 2008, n. 5 ha riconosciuto che “…rientra nella discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti che devono valutare l’adeguatezza rispetto alle caratteristiche oggettive e specifiche del singolo contratto, applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza , di non discriminazione e di parità di trattamento e assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza…”. Come già rilevato, i fenomeni corruttivi fino a tali modifiche sono emersi maggiormente nella valutazione con il massimo ribasso (unitamente ad altre fattispecie penali minori, quali la turbativa d’asta e le false dichiarazioni ) In proposito , va pure precisato che, nell’ambito delle procedure per l’affidamento degli appalti pubblici, il sub procedimento inerente all’accertamento dell’anomalia dell’offerta costituisce esplicitazione paradigmatica proprio della discrezionalità tecnica, suscettibile di sindacato giurisdizionale solo sotto i profili della manifesta illogicità e /o irrazionalità ovvero del travisamento dei fatti (TAR Campania, Napoli , sez. I, 8 ottobre 2009, n. 5207; conforme TAR Campania , Napoli, sez. I , 29 gennaio 2009, n. 525). Peraltro, …fatta salva la maggiore adeguatezza che, per tanti profili, presenta il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (si pensi all’innalzamento della qualità e delle garanzie delle progettazioni) i pericoli che anche tale criterio presenta non vanno comunque sottovalutati, proprio per non rischiare di azzerarne i vantaggi (legati ad una valutazione dell’offerta che abbraccia, oltre al prezzo altri elementi, qualitativi e quantitativi)…Il pericolo di questo modello è tuttavia in ciò che il fenomeno criminale , anche della corruzione, possa inserirsi con meno evidenza, nella maggiore discrezionalità che la legge attribuisce ai componenti della Commissione (art. 84 del codice) . Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è infatti caratterizzato da una valutazione complessa e di più voci a cui viene attribuito un peso espresso in centesimi e il prezzo è uno dei diversi elementi su cui viene formulata l’offerta del concorrente. In altri termini il rischio è in questo caso che la gara bandita con il metodo dell’offerta più vantaggiosa si trasformi in una vera e propria trattativa privata in cui la stazione appaltante è in grado di scegliere, a prescindere dall’offerta, chi sarà l’aggiudicatario. …E’ noto che l’art. 24 della legge 109/94 …è stato abrogato dal d.lgs. 163/2006 il quale disciplina la procedura negoziata negli artt. 56, 57 e 122. In linea generale, nella trattativa privata, a differenza di quanto si verifica nelle altre procedure di scelta del contraente … , aperte o ristrette (già asta pubblica o licitazione privata) , il legislatore non ha tipizzato alcun procedimento amministrativo né una particolare modalità di individuazione dell’affidatario: essa avviene quindi con caratteri per molti versi analoghi a quelli delle trattative intercorrenti tra privati. A fronte dell’eccezionalità del ricorso alla trattativa negoziata (e della scarsezza degli importi entro i quali tale istituto è ammissibile, il legislatore , accorda, appunto, ampia libertà e discrezionalità di scelta dell’iter e delle regole  da seguire e, per l’effetto, del soggetto con cui contrarre. In altri termini, la procedura negoziata è un procedimento mediante il quale l’amministrazione decide di concludere il contratto e sceglie il contraente secondo la disciplina estremamente ridotta contenuta nel codice, per il resto regolandosi come farebbe qualsiasi altro operatore sul mercato. La stessa gara informale nell’art. 57, comma 6 non è connotata da una disciplina articolata e compiuta; si svolge mediante un invito che è rivolto alle imprese che sono maggiormente gradite, sotto il profilo delle capacità tecniche e operative, alla P.A. ed al responsabile del procedimento. Questo significa che normalmente l’invito si caratterizza come libera scelta esercitata dalla stazione appaltante, la quale è tenuta soltanto ad invitare imprese risultanti da informazioni desunte dal mercato. Inoltre, la negoziazione svolta mediante gara informale  è comunque permeata da una grandissima libertà di forma; nonostante la norma nulla dica di più, la giurisprudenza ha peraltro correttamente legittimo che l’amministrazione “”…con apposita previsione nella lettera di invito, si riservi di espletare la negoziazione finale non soltanto con l’impresa migliore offerente, ma, per es,. con le miglio due o tre classificate…”” sottolineando che “”…anzi, è auspicabile, perché per tale via sia attua anche nella negoziazione finale una concorrenza effettiva, mentre nel caso della negoziazione con un unico soggetto questo è scarsamente indotto a migliorare significativamente le condizioni da lui proposte nell’offerta…”” (59). In definitiva, si può quindi affermare che l’amministrazione è comunque libera di rinegoziare i termini con le migliori imprese invitate e, in definitiva, di aggiudicare discrezionalmente la gara all’impresa ritenuta, alla fine, la migliore offerente. In una procedura aperta o ristretta l’amministrazione non ha alcun margine di negoziazione con le imprese e, con il criterio  del massimo ribasso, deve aggiudicare obbligatoriamente l’appalto a chi ha presentato il ribasso più elevato; viceversa in una procedura negoziata ben può l’amministrazione, legittimamente affidare la gara all’impresa che ritiene discrezionalmente la migliore dopo la negoziazione tra le due o tre imprese rimaste in competizione. Ciò che si vuol mettere in evidenza è che la possibilità di negoziazione, tipica di ogni procedura negoziata, sempre che sussista una adeguata, logica,  motivazione che cristallizzi l’iter logico seguito dall’amministrazione, sminuisce la rilevanza dei ribassi e prima ancora, l’idea di influenzarne eventualmente la stima. Pertanto il fenomeno corruttivo può incunearsi nelle pieghe delle scelte e della negoziazione dell’amministrazione, specie per le gare informali, pur in presenza delle condizioni che ne legittimino il ricorso…Dallo scenario e dalle problematiche che qui si è tentato sinteticamente di delineare, appaiono alcune linee che, de iure condendo, potrebbero contribuire all’arginamento delle evidenti patologie , specie di corruzione, presenti nell’ambito della contrattualistica pubblica. Innanzitutto appare evidente la necessità, in assoluta controtendenza con quanto sta avvenendo, di una riappropriazione, all’interno della p.a. delle funzioni che oggi sono quasi completamente  delegate ai privati. Specularmente , v’è la necessità di garantire una effettiva formazione dei quadri della p.a.. Come recentemente auspicato dalla migliore dottrina, in forza del fatto che ogni iniziativa di rinnovamento degli apparati amministrativi presuppone che a cominciare dalla classe dirigente vi sia una chiara preparazione, sia tecnica che professionale, la figura, soprattutto del dirigente, deve essere ridefinita e costruita in modo da “”esaltare le capacità decisionali, la responsabilità e l’autonomia operativa”” e aderente come impronta teorica solida ai “”valori di imparzialità, di merito e di responsabilità propri della dirigenza pubblica””  . Nemmeno va sottovalutato l’obiettivo vantaggio che si trarrebbe dall’utilizzo effettivo delle centrali di committenza (anche se ilo modello Consip non ha completamente funzionato va pur detto che è stato avversato spesso ingiustificatamente) . Ciò in quanto trasferire su una centrale di committenza pubblica la gestione della gara potrebbe garantire alta professionalità (che oggi solo alcune stazioni appaltanti possono avere) e terzietà di giudizio (rispetto al favore che talune stazioni appaltanti tentano oggi di attribuire all’imprenditoria locale). In latri termini pochi organismi si occuperebbero delle gare ed alle stazioni appaltanti sarebbe lasciato il compito (oggi affrontato inadeguatamente) di gestire il contratto in fase esecutiva una volta individuato mediante gare l’aggiudicatario. In quest’ottica andrebbe evidenziata l’effettiva utilità di dare maggior rilievo alla fase dell’esecuzione e della gestione dei contratti pubblici, cui si dovrebbe associare una obiettiva intensificazione del controllo di gestione. Si noti a tale proposito che, fino ad ora, le direttive dell’UE e quindi l’interesse della Commissione Europea nei contratti pubblici , si sono occupate unicamente del coordinamento delle procedure di affidamento; nessuna normativa ha riguardato, invece, la fase della gestione contrattuale vera e propria, che, in buona sostanza è il vero obiettivo, sia delle stazioni appaltanti che delle imprese. A monte, come è stato sottolineato anche in diversi articoli del codice dei contratti pubblici con prescrizioni viepiù sanzionatorie, deve sussistere maggiore rigidità nel pretendere una effettiva qualificazione delle imprese e al contempo una nuova normativa , coordinata semmai fra i diversi Stati membri, anche per la fase di esecuzione del contratto, nella quale ancora sussistono regole giuridiche indubbiamente risalenti nel tempo…”(60).     
Per quanto attiene alle previsioni in tema di trasparenza negli appalti, le previsioni contenute nella legge di delega sono particolarmente puntuali, tanto che, come già evidenziato, l’art. 37 del d.lgs. 33/2013 si limita a  richiamare gli obblighi stabiliti nell’art. 1 comma 32 della legge 190 e le previsioni contenute nel codice degli appalti (artt. 63-65-66-122-124-206-223 del d.lgs. 163/2006). Prevede inoltre l’ obbligo di pubblicare, nell’ipotesi di cui all’art. 57, comma 6 (procedura negoziata senza pubblicazione del bando (61) del d.lgs. 163/2006, la delibera a contrarre.
Il cit. comma 32 prevede che “…32. Con riferimento ai procedimenti di cui al comma 16, lettera b), del presente articolo, le stazioni appaltanti sono in ogni caso tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente; l'oggetto del bando; l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate. Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all'anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Le amministrazioni trasmettono in formato digitale tali informazioni all'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione. L'Autorita' individua con propria deliberazione le informazioni rilevanti e le relative modalita' di trasmissione. Entro il 30 aprile di ciascun anno, l'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al presente comma in formato digitale standard aperto. Si applica l'articolo 6, comma 11, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.”.
Viene osservato (62) che il ricorso a forme di pubblicità sul web in questo campo non costituisce una novità assoluta: esso infatti era stato già valorizzato dal codice dei contratti pubblici…In particolare l’art. 66 commi 7 e 8 del predetto codice prevede la pubblicazione sull’apposito sito web del sito del ministero delle infrastrutture e dei trasporti (all’indirizzo internet www.serviziocontrattipubblici.it) degli avvisi e dei bandi di gara, di lavori, servizi e forniture e della programmazione triennale delle amministrazioni aggiudicatrici che devono realizzare: appalti di lavori, servizi e forniture di interesse nazionale, appalti di lavori , servizi  e forniture di interesse regionale nelle regioni che non abbiano attivato lo specifico sito internet. I bandi di gara e gli avvisi devono essere  anche pubblicati sul sito dell’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture dell’AVCP, nonché sul sito internet della stazione appaltante (c.d. “profilo del committente”).
Tali misure assolvono a funzioni eminentemente di pubblicità mentre la legge 190/2013 introduce, anche in questo settore, la trasparenza amministrativa.
Quanto alle indicazioni contenute nel comma 32 è stato osservato che la previsione, riferendosi al “bando” di gara, non ha comunque escluso le procedure negoziate (ove non è previsto un bando) dovendosi ritenere che il termine “bando” vada riferito all’atto amministrativo che costituisce “lex specialis” della procedura di gara e quindi anche alla lettera di invito di cui agli artt. 56 e 57 del d.lgs. 163/2006 (63). Ancora è stato rilevata l’improprietà del riferimento all’elenco degli operatori invitati a presentare offerte, visto che nelle “procedure aperte” l’elenco non esiste, dovendosi così ritenere che la norma vada intesa come riferita a tutti gli operatori che presentano l’offerta. Le informazioni sugli appalti pubblici pubblicate sui siti web istituzionali devono essere comunicate anche all’AVCP, secondo le modalità stabilite dalla stessa Autorità, che individua anche le informazioni rilevanti. L’AVCP a sua volta deve pubblicare i dati ricevuti sul proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, secondo criteri di catalogazione in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione. L’AVCP ha dato una prima attuazione a tale previsione con la deliberazione 22 maggio 2013 n. 26. Con tale provvedimento sono state individuate le informazioni che ciascuna amministrazione pubblica è tenuta a pubblicare sul proprio sito relativamente alle procedura di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi (art. 3). La deliberazione stabilisce anche gli obblighi di trasmissione all’AVCP dei dati indicati dall’art. 1, comma 32 della legge 190/2013, che risultano assolti: -per i contratti di importo superiore a 40 mila euro attraverso l’effettuazione di comunicazioni telematiche obbligatorie all’Osservatorio dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 7, comma 8 del d.lgs. n. 165/2001; - per i contratti di importo inferiore ai 40 mila euro, le pubbliche amministrazioni effettuano sui siti istituzionali la pubblicazione dei dati elencati nell’art. 3 della deliberazione. L’Autorità provvede alla pubblicazione dei dati ricevuti sul “portale trasparenza” del proprio sito istituzionale.
Sotto il profilo sanzionatorio, l’art. 1, comma 32 prevede che l’AVCP applichi il regime di sanzioni nei confronti delle amministrazioni inadempienti, stabilito dall’art. 6 comma 11 del codice dei contratti pubblici, ovvero:- una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 25.822 euro, nel caso di rifiuto o omissione ingiustificati di fornire i dati in questione; una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 51.545 euro nel caso di trasmissione di informazioni non veritiere. Oltre a ciò la AVCP comunica alla Corte dei conti, entro il 30 aprile di ogni anno, l’elenco delle amministrazioni che, nell’anno precedente, hanno omesso di trasmettere o pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni indicate all’art. 1, comma 32, in formato digitale aperto (64).


Note

(1) AA.VV., (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , Roma, 2013 

(2) G.BALBI, I delitti di corruzione. Un’indagine strutturale e sistematica, Napoli ,2003

(3) AA.VV. (a cura di G.COLOMBO), Il sistema degli appalti, Milano, 1995; P.C. DAVIGO, Violazione dei doveri di fedeltà ed imparzialità, quantificazione degli effetti dannosi nelle amministrazioni pubbliche, in Riv. Corte dei conti, 1999, fasc. 2, IV, pagg. 151); S.PILATO, Trasparenza amministrativa e devianza finanziaria negli enti locali, in Riv. Corte dei conti, 2005,2, pp. 303 e ss.; A.CENTONZE, Il sistema di condizionamento mafioso degli appalti pubblici-Modelli di analisi e strumenti di contrasto, Milano 2005; A.DI NICOLA, La criminalità economica organizzata, Milano, 2006; P.DAVIGO-G.MANNOZZI, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Bari, 2007, pp.32 e ss.; D.DELLA PORTA-A.VANNUCCI, Mani impunite-Vecchia e nuova corruzione in Italia, Bari 2007. F.PINOTTI-L.TESCAROLI, Colletti sporchi, Milano, 2008; A.MARRA, L’etica aziendale come motore di progresso e successo, Milano, 2012; AA.VV. (a cura di F.MERLONI e L.VANDELLI), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, ASTRID, Firenze, 2010; AA.VV. ,La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione, relazione della -Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione , Roma , 2010; L.HINNA-M.MARCANTONI, Corruzione.La tassa più iniqua, Roma 2013. Per una prospettiva storica G.GARRONE, L’Italia corrotta- 1895-1996, Roma, 1996,  L.PERELLI, La corruzione politica nell’antica Roma, Milano, 1994 ;C.A.BRIOSCHI, Breve storia della corruzione, Milano, 2004. Per le connessioni fra corruzione e tutela degli interessi finanziari comunitari v. Commissione europea-Comunicazione della commissione al consiglio, al parlamento europeo ed al comitato economico e sociale europeo –Politica globale dell’UE contro la corruzione- Bruxelles, 28 maggio 2003.

(4) La trasparenza secondo l'art. 11 del d.lgs. 150 era definita come “....accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. 2. Ogni amministrazione, sentite le associazioni rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, adotta un Programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da aggiornare annualmente, che indica le iniziative previste per garantire:    a) un adeguato livello di trasparenza, anche sulla base delle linee guida elaborate dalla Commissione di cui all'articolo 13;    b) la legalità e lo sviluppo della cultura dell'integrità.  3. Le amministrazioni pubbliche garantiscono la massima trasparenza in ogni fase del ciclo di gestione della performance. 4. Ai fini della riduzione del costo dei servizi, dell'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonche' del conseguente risparmio sul costo del lavoro, le pubbliche amministrazioni provvedono annualmente ad individuare i servizi erogati, agli utenti sia finali che intermedi, ai sensi dell'articolo 10, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279. Le amministrazioni provvedono altresì alla contabilizzazione dei costi e all'evidenziazione dei costi effettivi e di quelli imputati al personale per ogni servizio erogato, nonche' al monitoraggio del loro andamento nel tempo, pubblicando i relativi dati sui propri siti istituzionali.5. Al fine di rendere effettivi i principi di trasparenza, le pubbliche amministrazioni provvedono a dare attuazione agli adempimenti relativi alla posta elettronica certificata di cui all'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82, agli articoli 16, comma 8, e 16-bis, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e di cui all'articolo 34, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69.6. Ogni amministrazione presenta il Piano e la Relazione sulla performance di cui all'articolo 10 comma 1, lettere a) e b), alle associazioni di consumatori o utenti, ai centri di ricerca e a ogni altro osservatore qualificato, nell'ambito di apposite giornate della trasparenza senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.7. Nell'ambito del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità sono specificate le modalità, i tempi di attuazione, le risorse dedicate e gli strumenti di verifica dell'efficacia delle iniziative di cui al comma 2.8. Ogni amministrazione ha l'obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale in apposita sezione di facile accesso e consultazione, e denominata: «Trasparenza, valutazione e merito»:    a) il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità ed il relativo stato di attuazione;    b) il Piano e la Relazione di cui all'articolo 10;    c) l'ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e l'ammontare dei premi effettivamente distribuiti;    d) l'analisi dei dati relativi al grado di differenziazione nell'utilizzo della premialità sia per i dirigenti sia per i dipendenti;    e) i nominativi ed i curricula dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione e del Responsabile delle funzioni di misurazione della performance di cui all'articolo 14;    f) i curricula dei dirigenti e dei titolari di posizioni organizzative, redatti in conformità al vigente modello europeo;    g) le retribuzioni dei dirigenti, con specifica evidenza sulle componenti variabili della retribuzione e delle componenti legate alla valutazione di risultato;    h) i curricula e le retribuzioni di coloro che rivestono incarichi di indirizzo politico amministrativo;    i) gli incarichi, retribuiti e non retribuiti, conferiti ai dipendenti pubblici e a soggetti privati.9. In caso di mancata adozione e realizzazione del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità o di mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione di cui ai commi 5 e 8 e' fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti.
 
(5) A tale scopo concorreva anche il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità che doveva essere predisposto , reso pubblico e attuato dagli organi di indirizzo politico amministrativo degli enti pubblici, sulla base delle linee guida fornite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche  che tra l'altro  (art. 13  comma 5  lettera  e del decreto 150- “...adotta le linee guida per la predisposizione dei Programma triennale per la trasparenza e l'integrità di cui all'articolo 11, comma 8, lettera a);...”),  e presso la quale (art. 11 comma 8) è anche istituita la “la Sezione per l'integrità nelle amministrazioni pubbliche con la funzione di favorire, all'interno della amministrazioni pubbliche, la diffusione della legalità e della trasparenza e sviluppare interventi a favore della cultura dell'integrità. La Sezione promuove la trasparenza e l'integrità nelle amministrazioni pubbliche; a tale fine predispone le linee guida del Programma triennale per l'integrità e la trasparenza di cui articolo 11, ne verifica l'effettiva adozione e vigila sul rispetto degli obblighi in materia di trasparenza da parte di ciascuna amministrazione....”.

(6) In particolare, nel decreto il termine corruzione , compariva tre volte: all'art. 13 comma 4 “...Nei limiti delle disponibilità di bilancio la Commissione può avvalersi di non più di 10 esperti di elevata professionalità ed esperienza sui temi della misurazione e della valutazione della performance e della prevenzione e della lotta alla corruzione, con contratti di diritto privato di collaborazione autonoma....”; all'art. 13 comma 5 “..La Commissione indirizza, coordina e sovrintende all'esercizio delle funzioni di valutazione da parte degli Organismi indipendenti di cui all'articolo 14 e delle altre Agenzie di valutazione; a tale fine:.....favorisce, nella pubblica amministrazione, la cultura della trasparenza anche attraverso strumenti di prevenzione e di lotta alla corruzione; all'art.  38- che modifica l'articolo 16 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, inserendo, tra l'altro (b) “...dopo la lettera l)...la seguente: «l-bis) concorrono alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell'ufficio cui sono preposti.». Le misure delineate nel decreto saranno definite sulla base delle indicazioni che verranno fornite dalla Commissione  di cui all'art.13. Allo stato si notano sui diversi siti delle pubbliche amministrazioni alcune applicazioni riguardanti i dati relativi alle assenze del personale e alle retribuzioni dei dirigenti e dei consulenti. In tal senso , si segnala per accessibilità proprio il sito della Corte dei conti. Il sito della Commissione in www.governo.it) ,già attivo, riporta le prime delibere organizzative.

(7) Decreto legislativo n. 150/2009 e responsabilità amministrativo contabile, in www.amcorteconti.it- marzo 2010.

(8) Trattato sull'Unione europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, versioni consolidate  in vigore dal 1° dicembre 2009 a seguito delle modifiche introdotte dal trattato  firmato il 13 dicembre 2007 a Lisbona (G.U.U.E. 9 maggio 2008, n. C 115).
 
(9) S. AURIEMMA, La  “terza” riforma del pubblico impiego: riflessi sul sistema della responsabilità amministrativa,  in Seminario di formazione permanente della Corte dei conti,-Atti del Atti dell’Incontro di studio Le innovazioni recate  dalla l. 15/2009 e dal successivo decreto legislativo 150/2009: dalla valutazione della performance alle modifiche al sistema della responsabilità (disciplinare e contabile), Roma, 9-10 dicembre 2009 Un capitolo nuovo:  il principio di integrità e il contrasto alla corruzione. In particolare osserva che “l'integrità  è un principio di nuova concezione, maturato essenzialmente in ambito penalistico-aziendale alla luce del decreto legislativo n. 231 del 2001, che ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ed ha modificato la previgente regola penalistica  in base alla quale “societas delinquere non potest”. L’innovazione del 2001 si è mossa nel senso di prevedere una responsabilità collaterale per gli Enti che non adottino e facciano effettivamente funzionare al loro interno “modelli” predefiniti  (cd. compliance programs), sia organizzativi sia di controllo, capaci di disincentivare ed ostacolare le illegalità e la commissione di reati particolarmente gravi da parte di propri amministratori e dipendenti.  In somma sintesi,  il principio di integrità e la cultura della integrità puntano a favorire il formarsi di un costume “etico” (donde il vocabolo integrità), sia organizzativo sia comportamentale, che aiuti a contrastare fenomeni di illegalità e di corruzione. 

(10) Greco Eval III Rep (2008) 2E (P2), Strasbourg, 22 April 2009- “…Although the Court of Audit is not entrusted with a specific role in the fight against corruption, it contributes de facto to this objective through its auditing and judicial tasks. From 1996 to 2006, the Court of Audit issued a total of 17,576 sentences (6,620 convictions), in first instance. Generally, the judicial proceedings of the Court of Audit last around 1 year and 9 months in first instance, and 2 years and 5 months in appeal. In 2008, the Court of Audit recovered a total of 69,013,083 EUR for damages caused to the Italian State through corruption in public administration; a total of 185 judgments were issued against public officials involved in corruption offences…” 

(11) Nel rapporto era stato segnalato in particolare l'incremento dei reati riguardanti indebite percezioni di fondi e finanziamenti pubblici o truffe aggravate per la percezione di questi contributi, commessi da privati spesso attraverso la costituzione di società di capitali a responsabilità limitata che riescono a superare i sistemi di controllo a volte con la collusione di funzionari pubblici. In questo specifico settore la Corte dei conti italiana ha sviluppato negli ultimi anni una particolare attenzione sia in numerose analisi e relazioni svolte in sede di controllo, anche attraverso una apposita sezione centrale denominata Sezione affari comunitari e internazionali,  sia in sede giurisdizionale, ove sono state attivate molte azioni di responsabilità per danno all’erario nazionale e comunitario nei confronti non solo di pubblici amministratori o funzionari ma , a partire dall’anno 2006 dopo l'ordinanza 4511/2006 della Corte di cassazione-sezioni unite civili , anche dei soggetti privati (sia persone fisiche che società , che hanno indebitamente  percepito i fondi o li hanno utilizzati in modo non corretto. Queste azioni, dirette al risarcimento del danno sono promosse dai procuratori regionali della Corte dei conti e procedono indipendentemente dai processi penali o dalle azioni di recupero in via amministrativa promosse dalle amministrazioni danneggiate. Le Procure regionali della Corte dei conti  possono anche chiedere il sequestro conservativo su tutti i beni dei soggetti convenuti che, al termine dei processi, in caso di condanna, si trasforma direttamente in pignoramento ovvero nel primo atto di esecuzione della sentenza. Le sentenze di condanna della Corte dei conti possono inoltre essere fatte valere in compensazione su eventuali altri crediti vantati dai soggetti condannati verso la pubblica amministrazione, anche nel caso di fondi comunitari. In argomento è di recente intervenuta l’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 20701/13 del 10 settembre 2013, che ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti italiana anche con riguardo al settore dei fondi “diretti” dell’Unione.
 
(12) Già nel 2004 era stato istituito l’ Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e di altre forme di illecito nella pubblica amministrazione   (art. 1 della legge 16 gennaio 2003, n. 3) posto alla diretta dipendenza funzionale del Presidente del Consiglio dei Ministri”, Autorità amministrativa che poteva disporre indagini conoscitive e amministrative dirette ad accertare fenomeni di corruzione e di illecito o di pericoli di condizionamento da parte di organizzazioni criminali all’interno della pubblica amministrazioni, ad elaborare analisi e studi sulla adeguatezza e congruità del quadro normativo e delle misure poste in essere dalle amministrazioni per prevenire e per fronteggiare la corruzione , ad effettuare verifiche sulle procedure contrattuali e di spesa da cui potesse derivare danno erariale, con previsione in tali casi di obbligo di denuncia alle procure della Corte dei conti. Tale ufficio,  nel 2008  era stato sostituito dal SaeT.

(13) Ulteriori iniziative specificamente dirette alla prevenzione della corruzione,segnalate dal Rapporto SAeT riguardavano la partecipazione ad una ricerca internazionale di Transparency sul whistleblowing, i cd. “soffiatori” e la promozione con l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e con l’ Unione delle Province Italiane (UPI) dei cd. “patti di integrità” in materia di prevenzione delle illecite distorsioni in materia di appalti pubblici e di “stazione appaltante unica”.

(14) Decreto legislativo n. 150/2009 e responsabilità amministrativo contabile, in www.amcorteconti.it- marzo 2010; 

(15) D.CERQUA, La responsabilità degli enti in Italia ed in Europa. I profili sanzionatori nell’ordinamento italiano, in AA.VV., La responsabilità delle persone giuridiche per reati di frode agli interessi finanziari dell’Unione europea e per crimini informatici, Atti del convegno di studi UAE-OLAF, Milano, 2009, ed. Bruylant, pp. 34 e ss..; Nello stesso volume A.GIARDA, Disciplina e problematiche relative ai modelli organizzativi, pagg. 215 e ss.;  M.PALLADINO, La predisposizione del modello organizzativo, pp. 222 e ss.; per la prospettiva degli organi di controllo delle società cfr. N.PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penali nelle società per azioni, Milano, 2009, cap. II, sezione seconda pagg. 84 e ss.-“La violazione degli obblighi di sorveglianza nell’impresa. Il rilievo della distinzione fra obblighi di vigilanza e obblighi di impedimento nel d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231”.

(16) S.AURIEMMA, La  “terza” riforma del pubblico impiego: riflessi sul sistema della responsabilità amministrativa,cit. 

(17) S.AURIEMMA,op., cit. “..in tale prospettiva, è utile richiamare l’attenzione sulla modificazione testuale apportata all’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001, che ora fa carico ai dirigenti di concorrere “alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell'ufficio cui sono preposti….”

(18) S.AURIEMMA,  op. cit. 

(19) S.AURIEMMA, op. cit. “..., all’opposto, nel caso della responsabilità contabile e per come comunemente operano le prospettazioni attoree ed il giudizio valutativo in sede contabile,  l’assenza oppure l’errato e inadeguato funzionamento dei modelli organizzativi interni (segnatamente riferibili all’attivazione e funzionamento degli organi di controllo, nonché all’esercizio di poteri organizzativi che fungano da efficace contrasto alla commissione di fatti illeciti)  non assumono i caratteri di elementi fattuali decisivi per la puntuale imputazione soggettiva della responsabilità nei confronti dei titolari dei poteri organizzativi medesimi (semmai a titolo di concorso causale nella  produzione del danno),  ma  usualmente sono visti e vengono fatti operare come  scriminanti o attenuanti della responsabilità individuale,  o sotto il profilo soggettivo (cioè ai fini della verifica di non attingimento alla gravità di colpa), oppure sul piano della quantificazione del nocumento risarcibile addossabile all’agente responsabile (attraverso la cd. riduzione dell’addebito). Diventa quasi inevitabile trarre da tutto ciò una considerazione di massima, che non intende ovviamente generalizzare, ma si limita a registrare un accadimento tendenzialmente prevalente. Resta tuttora scarsamente spiegabile  - nonostante la cosiddetta esclusività e specialità della giurisdizione contabile -  che eclatanti inadeguatezze del modello organizzativo possano rappresentare, nella sede penale, occasione di addebito per responsabilità amministrativa da reato a carico di società private  (con conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie o interdittive) mentre, di contro e all’opposto,del danno),  ma  usualmente sono visti e vengono fatti operare come  scriminanti o attenuanti della responsabilità individuale,  o sotto il profilo soggettivo (cioè ai fini della verifica di non attingimento alla gravità di colpa), oppure sul piano della quantificazione del nocumento risarcibile addossabile all’agente responsabile (attraverso la cd. riduzione dell’addebito).... In altre parole, sembra assistere a due diverse ipotesi di “disorganizzazione”,   diversamente apprezzate in sede giudiziale: quella privatistica  (decreto n. 231/2007), rimessa alla autonormazione (cioè all’allestimento di un valido ed efficiente compliance program), ma molto più rigorosa e suscettiva di dare corso ad imputazioni di responsabilità anche nei confronti dei vertici aziendali; quella pubblicistica, affidata a normative eterodettate e presidiate persino da canoni costituzionali (art. 97 Cost.) e, ciononostante, meno cogente, perché idonea soltanto a fungere da scriminante o attenuante delle responsabilità soggettive individuali e capace di condurre a  rideterminazioni in diminuzione della colpevolezza e dell’addebito.   La differenza, a dire il vero, potrebbe spingere ad interrogarsi intorno al concreto esercizio di una giurisdizione, quella contabile, che in quanto meglio attrezzata nel valutare e misurare efficienza ed efficacia degli assetti organizzativi e procedimentali delle pubbliche amministrazioni, meglio sa giudicare sul detrimento che la disorganizzazione nelle pubbliche amministrazioni parimenti può recare agli interessi della collettività ed alle pubbliche finanze....”

(20) In argomento v. Trib. Roma, ordinanza 4 aprile 2003- est. Fini; Trib. Roma, ordinanza 22 novembre 2002, est. Finiti; Trib. Pordenone, sentenza 4 novembre 2002, est. Piccin, tutte in Foro it., 2004, II, 318 e ss; Trib. Milano, ordinanza 22 ottobre 2004, pres. ed est. Mannocci, in Foro it., 2004, II, 269 e ss.; Trib. Milano, ordinanza 27 arile 2004, est. Salvini e in particolare, per vari profili connessi anche al tema della revoca di finanziamenti pubblici, v. Trib. Milano, ord. 28 marzo 2003, est. Belmonte, entrambe in Foro it., 2004, II,  434 e ss.. v. anche L. BERTONAZZI, Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, in Dir. proc. amm., 2001, pp. 1166 e ss; S.BARTOLOMUCCI,”Corporate governance” e responsabilità delle persone giuridiche.Modelli preventivi ed efficacia esimente ex d.lgs. 231/2001, Milano, 2004; M.GALDIERI, L’assenza di un vantaggio economico non esclude l’applicazione delle sanzioni, in Guida al diritto, 15 aprile 2006, pagg. 63 e ss, nota a sent. Cass. pen. sez. II, 20 dicembre 2005-30 gennaio 2006, n. 3615, Cesqui-ric. Jolly Mediterraneo srl.; D.CORRADO,, L’organismo di vigilanza previsto dal d.lgs. 231/2001, in Diritto societario, collana “Management” – ed.  IL SOLE 24 ORE-Univ. Bocconi-La Repubblica,  2006, pagg.  278 e ss. Cass. Sez. VI penale, ord. 22 settembre 2004, Siemens AG ; Trib. Milano, ordinanza 24 ottobre 2004, ric. Siemens AG- “Non può essere considerato idoneo a prevenire i reati ed a escludere la responsabilità amministrativa dell'ente un modello aziendale di organizzazione e gestione adottato ai sensi degli artt. 6 e 7 del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 che non preveda strumenti idonei a identificare le aree di rischio nell'attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti, quali la presenza di conti correnti riservati all'estero, l'utilizzazione di intermediari esteri al fine di rendere più difficoltosa la scoperta della provenienza dei pagamenti, la periodicità dei pagamenti in relazione alle scadenze delle gare di appalto indette dalla società...”; v.anche , con riguardo a sequestri e confische disposte ai sensi del d.lgs. 231/2001 Cass. 16 aprile 2009, soc. Impregilo CED Cass. 243198; 13 gennaio 2009, Fondazione centro San Raffaele del Monte Tabor; 26 giugno 2008 , Soc. Finanziaria Tosinvest e altri , Foro it., 2009, II, 475 e ss.   

(21) Citata da M.PALLADINO, op. cit., pag.223

(22) Peraltro lo stesso decreto 150 ricollegava alla mancata predisposizione o attuazione del Piano sulla trasparenza la non erogabilità della retribuzione di risultato ai dirigenti, con conseguente ipotesi di responsabilità erariale nel caso di erogazione non dovuta.

(23) P.BRIGUORI, Riforma Brunetta. Sanzioni disciplinari più severe e numerose, in Il SOLE 24 ORE, novembre 2009.

(24) Il rapporto ha evidenziato, tra l’altro, l’importanza delle rilevazioni anche statistiche del fenomeno e dunque la necessità di trovare strumenti di misurazione che consentano una comprensione più completa della sua dinamica e della sua distribuzione sul territorio e nei diversi settori, per indirizzare efficacemente le politiche di contrasto. A livello internazionale si sono consolidate alcune metodologie di misurazione che hanno prodotto diverse tipologie di indicatori che, per loro stessa natura, danno della corruzione un quadro alquanto differenziato in termini di entità. Gli indicatori soggettivi, sia di tipo percettivo che esperienziale, privilegiando l’accezione comportamentale del fenomeno, forniscono misure allarmanti del livello di corruzione in Italia. Gli indicatori oggettivi basandosi sulla elaborazione di dati economici collegati in qualche misura alla corruzione come, ad esempio, il costo delle infrastrutture o la gestione degli appalti pubblici, rischiano di fornire una misura nella quale è difficile distinguere gli elementi di inefficienza da quelli di corruzione del Paese. L’esigenza di migliorare la conoscenza quantitativa oltre che qualitativa del fenomeno corruttivo è dunque evidente, a fronte dei limiti e dei margini di errore che caratterizzano le misure attualmente esistenti e della carenza delle fonti di informazione. L’ANAC pertanto auspica un maggiore coinvolgimento dell’ISTAT ma ha ritenuto anche utile utilizzare le statistiche giudiziarie (denunce, arresti e condanne, che fanno specifico riferimento alle fattispecie dei reati contro la Pubblica Amministrazione), anche se è stato evidenziato come esse, in disparte le carenze registrate nelle fonti di informazione all’origine delle statistiche giudiziarie che già rilevano solo una piccola parte del fenomeno, scontino il problema della scarsa visibilità del reato, della scarsa propensione alla denunce e di alcune inefficienze del sistema giudiziario, e dunque rappresentano indicatori solo parziali della dimensione del fenomeno, fornendo una misura della corruzione molto più ridotta. Sono state prese in considerazione anche le vicende sottoposte all’attenzione delle Procure contabili pur essendo sicuramente una minima parte rispetto alla diffusione del fenomeno e riguardando comportamenti dannosi per l’erario solo a volte sovrapponibili a fattispecie costituenti reato ma che si sostanziano sempre in gravi sprechi di denaro pubblico. Per i profili di misurazione v. nello specifico ANAC, Corruzione sommersa e corruzione emersa in Italia: modalità di misurazione e prime evidenze empiriche, in www.anac.it; v. anche . L.HINNA-M.MARCANTONI, op. cit.

(25) Che prevede che “In sede di prima applicazione, con riguardo ai casi previsti dalle disposizioni di cui ai capi V e VI del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, gli incarichi conferiti e i contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo in conformita’ alla normativa vigente prima della stessa data, non hanno effetto come causa di incompatibilita’ fino alla scadenza gia’ stabilita per i medesimi incarichi e contratti”

(26) Stabilisce che “Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrita’ delle amministrazioni pubbliche assume la denominazione di Autorita’ nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni(A.N.AC.). All’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, il comma 3 e’ sostituito dal seguente: “3. L’Autorita’ e’ organo collegiale composto dal presidente e da quattro componenti scelti tra esperti di elevata professionalita’, anche estranei all’amministrazione, con comprovate competenze in Italia e all’estero, sia nel settore pubblico che in quello privato, di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione, di management e misurazione della performance, nonche’ di gestione e valutazione del personale. Il presidente e i componenti sono nominati, tenuto conto del principio delle pari opportunita’ di genere, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti. Il presidente e’ nominato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell’interno; i componenti sono nominati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Il presidente e i componenti dell’Autorita’ non possono essere scelti tra persone che rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano rivestito tali incarichi e cariche nei tre anni precedenti la nomina e, in ogni caso, non devono avere interessi di qualsiasi natura in conflitto con le funzioni dell’Autorita’. I componenti sono nominati per un periodo di sei anni e non possono essere confermati-nella carica “. 
6. I commi 1 e 4 dell’articolo 34-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre-2012,n.221,sono-abrogati. 7. Il Presidente e i componenti della Commissione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 150 del 2009, gia’ insediati alla data di entrata in vigore del presente decreto, restano in carica fino alla nomina del nuovo Presidente e dei nuovi componenti. Le proposte di nomina del Presidente e dei componenti devono essere formulate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 8. Le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione del presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente, senza oneri a carico della finanza pubblica”. 

(27) A.DE VIVO, Il professionista e il d.lgs. 231/2001-Dal modello esimente all’organo di vigilanza, Milano 2010, pag. 6

(28) R.TOMMASI, Il nuovo diritto privato della pubblica amministrazione, Padova, 2004, pp. 483  e ss.

(29) A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, pag. 1147

(30) R.TOMMASI, op. cit., pag. 495

(31) A.M. SANDULLI, op. cit., pag. 1149

(32) F.CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, pp. 633 e ss ,cap. 14°Gli enti pubblici in forma societaria. Le ipotesi problematiche delle società statali e locali a partecipazione pubblica.

(33) AA.VV (a cura di G.ROSSI), Le società di proprietà pubblica. Controlli e responsabilità, in Servizi pubblici e appalti, 2006, 2
 
(34) Le prime iniziative riguardanti espressamente amministratori e dirigenti di società partecipate , senza riferimenti alla natura del servizio pubblico svolto o a rapporti di concessione, ma sulla base della “partecipazione pubblica” al capitale sociale , si rinvengono con riguardo a vicende connesse a fatti di corruzione accertati nell’ambito di aziende pubbliche del settore energia. In particolare  C. conti sez. Lombardia, ordinanza n. 32/05 del 9 febbraio 2005 -vicenda ENEL POWER, in Foro amm. TAR, 2005 con nota di L.VENTURINI, Società, gruppi societari, in “mano pubblica” e salvaguardia delle risorse e dei fini di interesse generale: titolarità, funzione e servizio collettivo della giurisdizione di responsabilità amministrativa intestata alla Corte dei conti- v anche G. D’AURIA. Amministratori e dipendenti di enti economici e società pubbliche: quale revirement della Corte di cassazione sulla giurisdizione di responsabilità amministrativa? in Foro it. 2005-I,-2674. Analogamente, per un particolare profilo di assetti proprietari,  cfr. C. conti, Sezione seconda centrale n. 182/A del 23 maggio 2005- “In quanto la giurisdizione della Corte dei conti per danni conseguenti ad illeciti contabili ascrivibili ad amministratori di enti pubblici economici e società pubbliche, tali dovendo intendersi le società di capitali costituite e possedute da enti pubblici economici, spetta alla Corte dei conti in tutti i casi in cui l’attività che si presume illecita e ingiustamente dannosa per le ragioni della pubblica finanza sia riconducibile a tali soggetti, non rileva, ai fini dell’esclusione della giurisdizione contabile, che lo svolgimento di detta attività sia caratterizzata dall’impiego di strumenti privatistici e a maggior ragione, quando sia diretta a disciplinare l’organizzazione dell’ente stesso…”. Ancora la sentenza, della Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la Lombardia n. 980 del  29 dicembre 2008.
  
(35) In argomento cfr. AA.VV., Le società pubbliche: il difficile equilibrio fra le giurisdizioni, Atti del convegno di studi tenutosi presso la Corte di cassazione in data 8 aprile 2013.

(36)  F.FUBINI, La giungla delle società in mano pubblica.Oltre 7 mila spa, perdono 2,2 miliardi, in La Repubblica, 16 gennaio 2014, pag.16
  
(37) F.CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, pp. 695 e ss ,cap. 15°La nozione comunitaria di pubblica amministrazione: la controversa categoria dell’organismo di diritto pubblico nel settore degli appalti pubblici..

(38) Cfr. Vincoli europei, patto di stabilità e nuove responsabilità per gli amministratori locali, in Argilnews-aprile-maggio2013http://www.newsandsociety.net/pdf/20134-argilnews.pdf;

(39) In “Le società”, 2014, 1, con nota di F.FIMMANO’; v.anche, ampiamente, A.VETRO, Evoluzione della problematica sulla giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di amministratori e dipendenti delle società partecipate dagli enti pubblici, con particolare riguardo a quelle c.d. “in house”, in www.contabilità-pubblica.it, 2014

(40) V.SARCONE, La trasparenza amministrativa: da principio a diritto, in AA.VV, (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , cit.

(41) F.BILARDO-M.PROSPERI, Piano nazionale e piani decentrati anticorruzione, S.Arcangelo di Romagna (ed. Maggioli), 2014, pp. 304 e ss. –Il sistema trasparenza.; S.GAMBACURTA, Le misure di trasparenza amministrativa previste dalla legge “anticorruzione”, in F.FERRARO-S.GAMBACURTA Anticorruzione. Commento alla riforma, , S.Arcangelo di Romagna (ed. Maggioli), 2013, pp. 93 e ss. 

(42) G.TERRACCIANO-L.ALBANO, Contratti  pubblici: le modifiche in tema di arbitrato e risoluzione contrattuale, in AA.VV, (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , cit.
 
(43) V.SARCONE, op. cit., pag.67

(44) F.CARINGELLA, Compendio di diritto amministrativo, Roma, 2008,pp. 257 e ss.

(45) G.SEVERINI, Codice dell’illecito amministrativo e depenalizzato, Milano, 1994

(46) S.TOSCHEI, La trasparenza negli appalti pubblici,  in AA.VV, (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , cit., pp.139 e ss.; M.A.SANDULLI- A.CANCRINI, I contratti pubblici, in AA.VV. (a cura di F.MERLONI e L.VANDELLI), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, ASTRID, Firenze, 2010,pp. 437 e ss.

(47) A.CANCRINI-P.PISELLI-V.CAPUZZA, La nuova legge degli appalti pubblici, IGOP, Roma, 2010, pp. 304 e ss.

(48) AA.VV. ,  La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione, relazione della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione , cit.

(49) R.CARANTA, I contratti pubblici , in Sistema del diritto amministrativo italiano , Torino, 2012, pag.5

(50) R.CARANTA, op. cit.

(51) N.PENELOPE, Soldi rubati, Milano 2011 (ed. Ponte delle Grazie), pp. 143 e ss.

(52) v. anche C.A.BRIOSCHI, Breve storia della corruzione, Milano, 2004 e G.GARRONE, L’Italia corrotta- 1895-1996, Roma, 1996, cit.

(53) BANCA D’ITALIA , L’Affidamento dei lavori pubblici in Italia:un'analisi dei meccanismi di selezione del contraente privato, pubblicato nel volume Questioni di economia e finanza  -n. 83- Dicembre 2010

(54) L .GIAMPAOLINO, Relazione introduttiva al Convegno “Combattere la corruzione si può e si deve”, Università degli studi di Roma - Tor Vergata, 9 luglio 2012. 

(55) Cfr. AA.VV. (a cura di G. COLOMBO), Il sistema degli appalti, Milano, 1995

(56) S.CASSESE-C.FRANCHINI,  I garanti delle regole. Le autorità indipendenti nel sistema istituzionale italiano,  Bologna, 1996

(57) F.LAURIA, I pubblici appalti. Disciplina comunitaria e giurisprudenza italiana, Milano, 1998;  R.GAROFOLI-M.A.SANDULLI, Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria n. 62/2005, Milano, 2005
  
(58) M.A. SANDULLI-A.CANCRINI, I contratti pubblici, in La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Firenze -ASTRID, 2010, pp.437 e ss. cit.

(59) Viene citato MAZZONE-LORIA, Manuale di diritto dei lavori pubblici, Roma, Jandi Sapi, 2005, pagg. 273-274 
  
(60) Nell' ottica della prevenzione dei rischi, anche di infiltrazione criminale, sono state introdotte ulteriori innovazioni normative con il nuovo Codice Antimafia (D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159) con modifiche in tema di documentazione antimafia (artt. 82  e ss.) , costituita dalla “comunicazione antimafia” e dalla “informazione antimafia” (art. 84) . In particolare, l’art. 93 del codice prevede inoltre i poteri di accesso del prefetto nei cantieri delle imprese interessate , volti a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti e specifiche disposizioni in materia di contratti pubblici (art.95)  , mentre l’art. 101 prevede la possibilità per gli enti locali sciolti ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 267/2000 di avvalersi della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di competenza dell’ente medesimo. Sempre in tema di centrali di committenza va richiamato il decreto legge 6 dicembre 2010 convertito nella legge 22 dicembre 2011 n. 214 (“C.d. “Salva Italia”)- Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita'  e il consolidamento dei conti pubblici.» che all’art. Art. 29 -Acquisizione di beni e servizi attraverso il ricorso alla centrale di  committenza nazionale e interventi per l'editoria ha previsto che “…Le  amministrazioni  pubbliche  centrali  inserite  nel  conto economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi dell'articolo 1, comma 3,  della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196 possono  avvalersi,  sulla  base  di  apposite  convenzioni  per   la disciplina  dei  relativi  rapporti,  di  Consip  S.p.A.,  nella  sua qualita' di centrale di committenza ai sensi dell'articolo  3,  comma 34,  del  decreto  legislativo  12  aprile  2006,  n.  163,  per   le acquisizioni di beni e servizi al di sopra della  soglia  di  rilievo comunitario. Allo scopo di agevolare il processo di  razionalizzazione  della spesa  e  garantire  gli  obiettivi  di  risparmio   previsti   dalla legislazione vigente, ivi compresi quelli previsti  dall'articolo  4,comma 66, della legge 12 novembre 2011, n. 183, gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale possono avvalersi  di  Consip  S.p.A. per lo svolgimento di funzioni di  centrale  di  committenza  di  cui all'articolo 3, comma 34, del decreto legislativo 12 aprile 2006,  n. 163, stipulando apposite convenzioni per la disciplina  dei  relativi rapporti. Tale processo è stato rafforzato dai recenti provvedimenti governativi, nell’ambito della  c.d “spending review” di cui al decreto legge 7 maggio 2012 n. 52 (in vigore dal 9 maggio 2012)-  “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”. Il decreto legge, convertito nella legge 6 luglio 2012  n. 94, all’art. 2, comma 2, individua anche le amministrazioni pubbliche comprese nelle disposizioni di contenimento e razionalizzazione della spesa , precisando che fra esse sono “…incluse tutte le amministrazioni, autorità, anche indipendenti, organismi, uffici agenzie o soggetti pubblici comunque denominati e gli enti locali , nonché le società a totale partecipazione pubblica diretta e indiretta …”. A rafforzare le previsioni del decreto 52 è intervenuto poi il d.l. 6 luglio 2012 n. 95 – Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, il quale, all’art, 1, commi 7 e seguenti ha reintrodotto ipotesi specifiche di responsabilità amministrativa e di nullità dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in violazione delle previsioni di stipulazione obbligatoria a mezzo di CONSIP spa, a suo tempo stabilite dalla legge finanziaria per il 2003 (art. 24, legge 2989/2002). In argomento v. S.CAROSINI, I controlli antimafia, in AA.VV., (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , Roma, 2013, pp. 371 e ss.; v. anche “Spending review” atto secondo e responsabilità erariale tipizzata, in Argilnews –novembre 2012 (http://www.newsandsociety.net/pdf/201210-argilnews.pdf);
 
(61) A.CANCRINI-P.PISELLI-V.CAPUZZA, La nuova legge degli appalti pubblici, IGOP, Roma, 2010, pp. 304 e ss.
  
(62) F.FERRARO-S.GAMBACURTA Anticorruzione. Commento alla riforma,, cit, pag. 121 

(63) A.MASSARI, La legge anticorruzione e le altre recenti novità incidenti sulle procedure di affidamento di contratti pubblici, in Appalti e contratti, 2012,2, p. 10
   
(64) F.FERRARO-S.GAMBACURTA Anticorruzione. Commento alla riforma,, cit, pag. 124 
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