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Congiuntura: di positivo c’è solo lo spread e la fiducia delle imprese

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di Aroldo Barbieri
Il partire dai dati, per giudicare la congiuntura in cui l’Italia si trova, porta alla conclusione che non siamo ancora incamminati sulla via di una vera ripresa. Un dato reale è lo spread fra il rendimento dei nostri titoli pubblici e quelli della Germania, che si mantiene basso al di sotto dei due punti percentuali. Ma, oramai è chiaro a tutti che  la discesa dello spread non dipende da fattori interni, ovvero dalla ripresa economica, che non fa crescita, ma dall’afflusso di capitali verso i Paesi mediteranei della UE per via di rendimenti più interessanti di quelli dei Paesi del nord, cosa possibile ora che il rischio Euro si è ridimensionato, né dal miglioramento del debito, che anzi quest’anno arriverà al suo massimo (si spera). Il movimento dei capitali speculativi oggi ci favorisce, come ci sfavoriva nel momento più acuto della crisi dell’Euro. Cogliamo dunque il beneficio, che ci fa risparmiare alcuni miliardi nel collocare i titoli pubblici sul mercato interno e internazionale, per non stare a mani in mano e fare le riforme. L’altro dato positivo, ma questo decisamente più soggettivo è la crescita delle fiducia delle imprese, che peraltro non poggia né sui dati della produzione, né sulla dinamica degli ordinativi. Secondo la Confiundustria in febbraio la produzione è cresciuta dello 0,4% (dato destagionalizzato), gli ordinativi, sono scesi in volume dello 0,3%. Il centro studi di viale dell’Atronomia vede in positivo per i prossimi mesi, ma lo attribuisce soprattutto alla ricostituzione delle scorte.
Intanto cresce la disoccupazione. Secondo l’Istat siamo a gennaio al 12,9%, per i giovani al 42,4%. Nel 2013 sono stati persi 478 mila posti di lavoro. Sono dati impressionanti, ma che non fotografano la gravità delle situazione reale. Se a questi numeri si aggingono i lavoratori in cassa integrazione il numero complessivo cresce ancora. Se poi si considera che non pochi posti di lavoro nelle municipalizzate di quasi tutto il Paese sono fittizi, ovvero del tutto inutili, anzi dannosi perché assorbono risorse senza che corrisponda un servizio decente ai cittadini (la cosa è macroscopica a Roma e Napoli) si può con certezza affermare che il problema è per l’Italia ben al di là dei numeri ISTAT. Urgono provvedimenti sul lavoro, a cominciare dall’eliminare tappo all’entrata posto dalla riforma Fornero, ma non basta. Se non riparte la crescita non solo il PIL non si riprederà e con ciò continuerà a crescere il debito, ma la disoccupazione non verrà riassorbita non dico in tempi brevi, forse mai. E’ che il dato statistico era già falso prima. In Italia, non dallo scoppio della grave crisi, troppe persone non hanno un lavoro produttivo, ma solo parassitario (soprattutto nel terziario) rispetto a coloro che si danno da fare. La via per invertire la rotta: nel pubblico redistribuire i dipendenti a seconda delle esigenze e per tutti innovazione, che sola può salvare gran parte il vecchio mondo ex ricco dal declino definitivo. Solo lavorando di più e meglio si possono migliorare le ragioni di scambio con i Paesi emergenti, ora alle prese con il deflusso dei capitali speculativi. 
Quanto al problema generale, che riguarda tutto il mondo: ovvero quello di trovare un nuovo equilibrio, che solo può incrementare il commercio mondiale, non esiste una soluzione agendo solo sull’offerta o sulla domanda. Gli interventi dovranno essere molti, ma tutti nella logica di preservare i consumi, aumentare l’efficienza del sistema, incrementare la produttività, farla finita con il ricorso alle tasse per inseguire la spesa improduttiva, ma soprattutto ritrovare la strada per far affluire il denaro, oggi sovrabbondante nel mondo, alle imprese e agli strati più bassi delle popolazione. Che USA e Germania siano quasi i soli Paesi in cui la congiuntura tutto sommato tiene dipende in larga parte dalla disponibilità di risorse finanziarie. La vicenda ha dimostrato che non basta mettere la liquidità a basso tasso di interesse per riavviare il sistema. In primis bisogna evitare di cadere in deflazione. Giappone docet.
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