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L’Unione dai mille problemi

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di Gino Falleri (Presidente Nazionale GUS-Giornalisti Uffici Stampa-Gruppo FNSI)
Al termine dei recentissimi colloqui italo-francesi tenuti a Villa Madama, tra Sarkozy e Berlusconi, non sono squillate le trombe dell’Aida. I risultati, a parte un impegno francese a sostenere la candidatura di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea e ad apportare condivise aggiunte e correttivi al Trattato di Schengen sulla libera circolazione, sono stati pochini. Al risultato, oltremodo esiguo poiché c’erano alcune questioni economiche da risolvere, si è aggiunta l’affermazione del Capo del Governo sul nucleare, che ha suscitato non poche reazioni negative. In certe situazioni o su certi temi la cautela è sinonimo di saggezza.
Le fonti energetiche costituiscono il propellente per la crescita e per costituire condizioni di benessere. Per dare stabilità ed evitare così le crisi sociali. La principale, il petrolio, non è eterna. Quindi occorre pure pensare al futuro, a come, quello che è anche chiamato l’oro nero, possa essere sostituito e a quali costi. Poiché siamo parte dell’Unione europea dovrà essere quest’istituzione ad indicare quale può essere la soluzione migliore. E’ vero inoltre che siamo circondati da centrali nucleari di senescente costruzione e di conseguenza i timori della gente sono più che giustificati. Ma occorre pure domandarsi, per avere un quadro preciso, se le energie alternative abbiano o no un loro impatto negativo sull’ambiente. La correttezza delle informazioni, innanzitutto. Soprattutto dai politici.
L’Unione non ha sul tavolo solo il problema energetico. Ce ne sono degli altri e non di minore importanza, compreso quello dei flussi immigratori e dei rapporti con i paesi rivieraschi del Mediterraneo. Allo stato attuale è in atto un conflitto contro Gheddafi, cui siamo stati tirati dentro, e nello stesso tempo si sussurra che i francesi abbiano già stipulato accordi con i capi dei rivoltosi per il petrolio. A nostro danno.
Uno che tiene banco da qualche tempo, e non senza apprensione, è il sostegno alle economie in difficoltà, ad apportare modifiche alle improvvide linee economiche adottate dai governi. Dopo Grecia ed Irlanda è il Portogallo a dover essere sostenuto e domani potrebbe essere la Spagna di Zapatero, che la nostra sinistra ha più volte preso a riferimento per  talune sue iniziative.
L’Italia? Stenta a crescere e lo si vede. Dalla sponda dell’opposizione non c’è stata molta collaborazione. A causa di una pluralità di motivazioni non è finora arrivato un piano alternativo da discutere in Parlamento per far decollare la nostra economia ed incominciare a risolvere quel drammatico problema che è il precariato. Se ci sono state delle indicazione queste hanno riguardato l’introduzione di una patrimoniale, per abbassare il debito pubblico quanto mai eccessivo, e l’aumento della tassazione sui titoli pubblici. Tutto al 20 per cento. Negli ultimi giorni Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, ha esposto, in una intervista rilasciata a “Il Corriere della Sera”, l’embrione di un piano di rilancio che non dovrebbe essere sottovalutato. Contiene proposte interessanti e condivisibili.
Da noi, lo sanno tutti, non mancano le anomalie, che creano a loro volta non pochi ostacoli per chi vuole dar vita ad una iniziativa commerciale od industriale. Le imprese, quelle che producono ricchezza e posti di lavoro, non solo devono misurarsi ad armi impari con la concorrenza internazionale, ma debbono pure fare i conti con una burocrazia fiscale oltremodo puntigliosa. Per andare avanti hanno l’obbligo di rispettare un numero eccessivo di regole che comportano oneri, su cui da tempo gl’industriali hanno richiamato più volte l’attenzione del governo. Una vox clamantis in deserto.
Una situazione posta in risalto senza mezzi termini da “Il Sole-24 Ore” del 21 aprile, che ha tra l’altro riferito di un episodio accaduto a Brescia di cui sono stati protagonisti funzionari dell’Agenzia delle Entrate. Il quotidiano della Confindustria ha fatto sapere che nel corso del 2010 le aziende private sono state sottoposte ad oltre un milione e mezzo di ispezioni e ci sono ben undici controllori per ogni azienda. Una enormità rispetto a quanto accade in Francia ed in Germania.
Tutto questo dovrebbe sollecitare il legislatore, fermo quanto disposto dall’articolo 53 della Costituzione, a mettere mano a una profonda revisione del fisco a cominciare dal potere impositivo che hanno gli enti locali, che costituiscono la vera fonte incontrollata della spesa pubblica. E’ sufficiente soffermarsi sui compensi erogati ai vertici delle aziende comunali e alle indennità dei consiglieri regionali, che in cinque anni possono toccare il tetto di 800 mila euro, per avere cognizione dove si spende quanto raccoglie l’Erario attraverso tasse ed imposte. Quindi la necessità di regole chiare e precise e pochissimo spazio alle interpretazioni di chi deve applicare la legge.
E’ stato accennato alle difficoltà in cui si dibattono alcune nazioni dell’area dell’euro ed è stato posto anche un punto interrogativo sul nostro Paese. Se potrà verificarsi, di qui a qualche tempo, quanto è accaduto ed accade in Grecia, Irlanda e Portogallo. Bill Emmot, con un articolo pubblicato su “La Stampa” del 24 aprile dal titolo “Le bugie sui conti dell’Italia”, ha descritto uno scenario nettamente in controtendenza a quello che è solito raffigurare il governo, che non vede pericoli ed è ottimista. Di qui l’esigenza di chiarezza poiché la disoccupazione cresce, le aziende chiudono ed il precariato sta diventando un problema irrisolvibile. La gente, oltre a non avere molta fiducia sul miglioramento della situazione occupazionale ed economica in genere, incomincia a non averne anche per il governo. Gli ultimi sondaggi non sono incoraggianti ed il barometro politico sta lentamente cambiando direzione. Anche l’Unione deve mutare atteggiamento ed essere più cauta quando vuole fare la morale agli italiani. A Bruxelles ci sono spintarelle e note spese non rispondenti e guarda caso riguardano i nostri censori.
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