Occorre consolidare la troppo debole costruzione europea

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di Giuseppe Blasi
La tempesta che sta squassando le economie mondiali mette a dura prova la capacità dell’equipaggio che ha la responsabilità di governo del bastimento europeo. Sempre che sia realistico pensare che questo abbia un equipaggio gerarchicamente strutturato con capacità di analisi e comando che sappia il da farsi in una situazione del tutto nuova per dimensione e gravità.
Tuttavia, poiché le tempeste, anche se possono evolversi in uragani distruttivi, non durano all’infinito e prima o poi sono destinate ad affievolirsi per poi scomparire del tutto, preferiamo lasciare agli strateghi del momento il compito di non far affondare la nave, mentre converrà fin da ora tentare di ragionare per prefigurare un “dopo” che certamente vedrà popoli e paesi di questo vecchio continente uscire da questa nuova esperienza riformati rispetto un recente passato contrassegnato da calma quasi piatta e da certezze che gli eventi stanno ampiamente affossando. Una trasformazione, che si è definita globalizzazione, in grado di influenzare i singoli  anche se le loro vite avvengono a enormi distanze dai baricentri dei fenomeni.
In questa interconnessione sono entrate in gioco potenze economiche, una volta definite emergenti, che hanno la dimensione di interi continenti e che, proprio per la loro dimensione antropica e territoriale danno filo da torcere alla prima potenza continentale americana.
In questo quadro possiamo dire che l’idea di una Europa unita, nata dalle ceneri della distruzione dovuta alla seconda guerra mondiale, porta in sé un che di profetico, anticipatore di ciò che sarebbe avvenuto, in grado di calibrare alle nuove necessità il vecchio continente per metterlo in grado di affrontare le sfide del presente.
Tuttavia, alla luce delle odierne difficoltà che necessitano per essere affrontate di strategie e centri di comando unitari, in questo momento non ancora perfezionati o assenti, sarà bene innanzitutto ricordare la genesi fondativa europea, considerare il suo stato attuale e soprattutto tentare di realisticamente prefigurare ciò che potrebbe riservare il futuro.
La genesi. Contrariamente agli Stati Uniti d’America, riuniti in entità statale federata facenti capo a una unica autorità, a un solo comando militare, a una sola politica estera, risultato raggiunto solo a seguito di una sanguinosissima guerra intestina che ha visto prevalere una parte sull’altra, l’unione europea, sorta su base volontaristica, ha raggiunto uno stadio, l’attuale, che mostra un’opera ancora incompiuta e disorganica.
Anche la penisola italiana, è divenuta Stato unitario solo dopo tre guerre di indipendenza nelle quali, sotto comandi diversi, hanno combattuto su fronti contrapposti soldati nati e cresciuti sotto lo stesso cielo e accomunati da un solo idioma.
A rivedere la storia dell’umanità possiamo dire che l’unità dell’Europa è l’unico caso di una unione (cosa diversa dalle alleanze strumentali) nata su un progetto e non a seguito di guerre di annessione, nata per volontà di pochi grandi statisti confortati soprattutto da una volontà di pace di coloro che avevano combattuto una devastante guerra e da un sogno dei giovani e giovanissimi di allora che intravedevano nell’Europa unita uno strumento di fratellanza, di sicurezza e di futuro benessere. 
In contrasto con quelle originarie speranze e sogni, sarà bene ammettere, con sano e costruttivo realismo, che oggi i cittadini degli stati che compongono l’Unione percepiscono maggiormente questa come una sovrastruttura, a volte ingombrante, che interferisce con le loro tradizioni, spesso con i loro interessi personali, senza ritorni apprezzabili.  
D’altra parte bisognerà pur ammettere che visioni all’origine forse anche utopistiche e complesse, sono state sostituite da traguardi ristretti, da tecnicismi economici peraltro sostenuti da programmi supponenti e velleitari che hanno voluto e consentito una velocità di ingresso nella Unione di un numero forse troppo elevato di paesi. Un allargamento che inevitabilmente registra una babele di lingue, di culture, di storie, di leggi e sistemi economici, difficilmente unificabili nell’immediato, impossibile da amalgamare in tempi brevi in un unicum statuale. Un’Europa cresciuta con un trattamento da cura ormonale che ingigantisce l’organismo ma rischia di renderlo deforme, come accade in certe palestre dove si usano anabolizzanti. Una inspiegabile fretta non giustificata per un’operazione mai prima tentata dal genere umano, per un sogno bellissimo che rischia di infrangersi sugli scogli degli eventi. Una pretesa del tutto e subito che non è della buona politica.
Allo stato, indiscutibile è lo scetticismo verso l’appartenenza europea ormai diffuso tra le popolazioni che per prime hanno aderito all’Unione laddove neanche alcuni governi sono esenti da ripensamenti.
La grave crisi economica che tocca principalmente Europa e Stati Uniti ha messo a nudo la fragilità dell’unione del vecchio continente, costruzione che ha raggiunto uno stadio che a stento si potrebbe definire intermedio, con la conseguenza che viene messo ora in discussione persino il trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone; dopo però che la Comunità non è stata in grado di formulare una politica comune in tema di immigrazione. La stessa Comunità che, sotto la bandiera della Nato, non ha avuto, mentre scriviamo, ancora ragione del libico Gheddafi, a dimostrazione della improvvisazione dell’azione portata; cosa questa che, unitamente all’inazione a favore dei rivoltosi siriani, colpevoli forse soltanto di non possedere petrolio, mette in luce interessi particolari e una debolezza non solo militare dovuta alla assenza di una comune politica estera.
Ma non è solo questo. L’Europa non possiede una politica energetica comune, elemento questo strategico nella competizione mondiale (ironia vuole che l’acronimo iniziale che ha dato origine alla Comunità fosse Ceca-Comunità Europea Carbone Acciaio!), non possiede una politica ambientale, non leggi che rendano paritetici diritti e doveri dei suoi cittadini, non costituisce in definitiva entità politica e sociale che la possa definire “Stato”, che parli in definitiva con una sola voce. E sappiamo che rimarrà afona ancora per molto tempo; a meno che non si voglia realisticamente rifare il punto e, se del caso, rivedere termini e strategie atte a portare verso una unione che non sia solo di intenti o non si basi solo sulla circolazione della moneta comune. Troppo poco.
Per fare ciò credo sia necessario abbandonare la politica del tutto e subito. Sarà forse opportuno rifare i conti, riconsiderare i confini che l’Europa si vorrà dare, e nel contempo sarà passaggio obbligato quello di preparare con fatica, ma soprattutto con pazienza, la costruzione del cittadino europeo.
Credo che una unione come quella che si vorrebbe non può prescindere dal consenso della maggioranza dei disillusi cittadini, i quali vanno preparati fin dalla giovane età, con un lungo processo all’interno della scuola, a diventare membri di una comunità a suo tempo progettata a tavolino. Solo attraverso un percorso scolastico che preveda alcune materie con contenuti identici, sebbene insegnati in lingue diverse, si potrà avere il risultato sperato. Non sarà poi fuori luogo pensare, accanto alla realizzazione di infrastrutture di livello europeo ancora deficitarie, anche a infrastrutture di tipo comunicativo attraverso ogni tipo di media che possano, sempre in lingue diverse, comunicare le medesime notizie e i medesimi commenti, le une e gli altri riguardanti l’Europa. Alcune questioni, certamente molto delicate, riguardano poi una giustizia comune europea. Sarà possibile pensare che, ferme restando alcune prerogative legate alla storia dei singoli stati, che alcuni reati possano essere sanzionati in modo univoco nell’ambito della Comunità?
In altri termini, mutuando l’esperienza degli Stati Uniti, che sembra funzionare, disciplinare i reati federali e quelli di pertinenza dei singoli stati. E’, anche questo,  un collante che ritengo obbligatorio per conformare un sentimento di appartenenza.
Altra via quella di introdurre determinazioni in ambito europeo che a prima vista possono sembrare di poco conto ma che ritengo utili per far percepire una comune appartenenza. Penso che sarebbe possibile, ad esempio, introdurre una patente di guida che abbia connotazioni valide in tutta Europa per quanto riguarda la sua durata (a vita in Francia, sottoposta a rinnovi in Italia) o per quanto concerne la dotazione di punti di partenza (20 punti in Italia, 12 punti in Francia).
E ancora, il codice fiscale che in Italia funziona bene non sarebbe forse opportuno introdurlo anche negli altri paesi, soprattutto se il tesserino di plastica riuscisse a contenere anche schede sanitarie o altre informazioni utili per l’utente europeo? 
Sono solo alcuni esempi di altro che potrebbe essere fatto per unificare il comune sentire dei cittadini europei, innovazioni a costo zero utili e uniformanti; piccoli ma importanti passi verso una unione che, prima che nei trattati, deve essere costruita nei comportamenti e nelle coscienze dei cittadini che popolano l’Europa e la vivono. E, proprio per questo devono diventarne attori protagonisti.