Intervista a Oscar Bartoli

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di Alessando Butticè

Anche questa é America, é il titolo di un suo libro sull’America vista da un italiano oggi americano. Ci può raccontare questa sua opera editoriale in poche battute?
Per anni ho insegnato alla Scuola di giornalismo della LUISS. Quando mi hanno chiesto una sorta di manuale per spiegare ai neolaureati come trovare lavoro in America, ho risposto che se c’è una cosa che non so fare è scrivere manuali. “Va bene: scrivi quello che vuoi” è stata la risposta. Ed è così che è nato questo libro che rappresenta, almeno per i tipi di Luiss University Press, un successo editoriale. Il libro si compone di tre parti. La prima comprende due lunghe storie (Marco e Riccardo) che raccontano le loro peripezie accademiche negli USA, la forte competizione, la voglia di vincere ed il successo professionale. La seconda parte di “Ed anche questa è America!” è una raccolta di sette lunghe interviste a americani e italiani che si sono affermati negli Stati Uniti. Uno spaccato molto reale e incisivo della società americana. La terza parte è una selezione delle corrispondenze in voce fatte sul GR2 e GR3 Radio Rai.

Che cos’è l’America oggi per Oscar Bartoli?
Un crogiolo in continua ebollizione e trasformazione. L’America di oggi non è quella di Clinton e tantomeno quella del Vietnam. Un paese che vive su due ‘fondamentali’: energia e voglia di superarsi. In poche parole l’America non è un paese seduto. E lo dimostra come sta uscendo dalla crisi epocale di due anni fa.

Quando e come cominciò la sua avventura americana?
Alla fine del 1994 quando mi hanno mandato a dirigere l’Ufficio IRI per gli Stati Uniti. Credevano di farmi un dispetto perché per anni ero stato a fianco di Romano prodi presidente IRI.

Quelle sulle video news releases furono tra le lezioni più interessanti alla scuola di giornalismo della LUISS alla fine degli anni Ottanta. Come le venne l’idea?
Semplicemente riferendomi all’esperienza americana che seguivo con grande attenzione. Ricordo che quando le proposi ai colleghi delle relazioni esterne delle grandi finanziarie e delle principali società IRI, l’accoglienza fu a livello di pernacchie, o poco ci mancava. E dire che ero il responsabile dei rapporti con i media dell’IRI. Uno di questi cosiddetti colleghi mi disse con arroganza: “Vedi questo libretto di assegni della società (per cui lavorava, ndr)? Bene è con questo che si fa notizia e si comprano le sentenze.” Qualche anno dopo non ha potuto comprarsi una sentenza a suo favore quando è stato condannato per corruzione.

Come vede il giornalismo italiano un giornalista e un comunicatore italiano ormai dall’altra parte dell’Atlantico?
Ogni giorno leggo i giornali italiani online. Sono tutti uguali. Ne leggi uno e basta per tutti. Aggiungo che è impressionante il numero di strafalcioni che si incontrano sulle web della stampa italiana. L’ultima “…gli insorti hanno fuggito..”.  Negli Stati Uniti i siti online sono fatti meglio del quotidiano a stampa. Ed infatti un po’ alla volta tutti seguono l’esperimento del Wall Street Journal che da tempo fa pagare la consultazione della sua web.

Legalità in Europa e legalità negli Stati Uniti. Si parla dello stesso concetto o pensa ci siano delle differenze?
In Europa non lo so. Per quanto riguarda gli USA non è che siano il ‘migliore dei mondi possibili’. Ma si tratta di un Paese permeato dalla cultura anglosassone per cui se si fanno le leggi bisogna rispettarle e, soprattutto, farle rispettare (Law enforcement). In Italia bastano tre pateravegloria e si ricomincia a peccare. Anche la bestemmia, secondo una famosa definizione, deve essere ‘contestualizzata’.

Lei ha partecipato in due occasioni alla rete dei comunicatori dell’OLAF, l’Ufficio Europeo per la lotta alla frode. Come giudica questa sua esperienza?
Molto utile e interessante. Un confronto di tematiche e approcci manageriali che arricchisce chi ha il privilegio di essere invitato.

Come si può fare dell’informazione uno strumento contro l'illegalità senza dovere necessariamente fare del giornalismo strillato e scandalistico?
Negli Stati Uniti da anni vengono messe in onda trasmissioni per la caccia ai pedofili, ai narcotrafficanti e via citando. Si potrà dire che si tratta della cultura del ‘bounty killer’, l’assassino di professione. Tuttavia sono modi di usare i media che influiscono sulla percezione collettiva in modo positivo.

Comunicatori in Italia e comunicatori in America. Quali le principali differenze?
In America quando ci si avvicina ad un giornalista per accreditare l’attenzione su un progetto la prima domanda che viene rivolta è: “What is your story?”. E se uno non ha una story giornalistica ma chiede solo spazio per qualche ruffianata, il risultato finale è negativo. Da noi, siccome ognuno tiene famiglia (e molti anche più di una), il potenziale di convincimento è molto più alto e articolato…anche se non si ha una story da raccontare.
 
Cosa le manca più dell’Italia quando è negli States e cosa le fa rimpiangere l’America quando si trova in Europa?
Alcuni pochi e veri amici. Negli States i rapporti sono cordiali, ma all’insegna della reciproca utilizzazione. Mi rendo conto che le generalizzazioni peccano per difetto. Quando sono in Italia mi manca l’organizzazione sociale americana, la sicurezza che se chiamo la società del telefono la linea viene riparata subito. La scorsa settimana ho ricevuto due assegni dal Tesoro americano per rimborso di tasse pagate in eccesso.

Al Capone o Petrosino? Con quale di questi due antitetici personaggi è maggiormente identificato il nostro Paese in America?
Ho imparato ad amare l’Italia da quando sono negli Stati Uniti. La simpatia e l’interesse che circondano il nostro Paese come culla di una cultura eccezionale e di un certo saper vivere sono sempre vivi negli interlocutori americani, in qualsiasi contesto geografico uno si trovi. Poi c’è l’immagine che noi offriamo al mondo intero con le miserie politiche di casa nostra. E si tratta di un peso che ogni italiano che vive all’estero si deve portare dietro e che si aggiunge agli stereotipi classici dei quali siamo da sempre gratificati: chicken (vigliacchi), un popolo che non riesce a finire una guerra dalla stessa parte in cui l’ha incominciata, Ponzi scheme (ovvero gli inventori della Catena di Sant’Antonio), mafiosi, casinari, opera lirica mal digerita e via citando.

Come pensa che Argilnews possa svilupparsi per divulgare i concetti di legalità e Europa tra i nostri connazionali?
Dipende da quello che pubblica (se è sufficientemente ‘sexy’ come si dice da queste parti, ovvero stimolante) e da come lo si fa sapere alla platea.

Da ottimo giornalista e grande comunicatore, per concludere, "si faccia una domanda e si dia una risposta".
Elimini gli aggettivi che mi fanno sorridere. La domanda può essere: “Perché mi ha chiesto questa intervista?” e la risposta può essere: “Boh!”.