Unione Europea: le opportunità in sud Africa

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di Pier Vittorio Romano
Il continente africano, ivi compresi i paesi dell’Area SADC (South African Development Community) Angola, Botswana, Congo, Lesotho, Madagascar, Malawi, Mauritius, Mozambico, Namibia, Seychelles, Sudafrica, Swaziland, Tanzania, Zambia e Zimbabwe, sono permeati da fattori di rischio e di opportunità. Il cronico sottosviluppo, le pandemie l’emigrazione, le instabilità, le carenze strutturali di gran parte degli Stati, la corruzione e la pressione demografica sono i sintomi riconducibili alle difficoltà africane più conosciute. Le opportunità sono sicuramente riferite al potenziale sfruttamento delle abbondanti risorse energetiche e minerarie del sottosuolo, distribuite in un vastissimo territorio, e dalla giovane età degli abitanti, poiché il 65% della popolazione ha un’età media inferiore a 25 anni. Il fattore demografico, sebbene da un lato possa essere considerato un fattore di opportunità, dall’altro diventa elemento di crisi, poiché la mancanza di prospettive rende le nuove generazioni “vittime dell’instabilità”, e quindi i primi attori delle crisi, fino ad arrivare al ripudio del rispetto dei principali diritti umanitari riguardo al fenomeno presente in quest’area dei “bambini soldato”.

La sfide da affrontare sono molte. Occorre innanzitutto superare la dicotomia nazionalismo-tribalismo per giungere alla formazione di identità nazionali fondate su elementi culturali e tradizionali, senza trascurare l’elemento religioso. In tema di terrorismo occorre tenere sotto controllo le zone a rischio di collasso istituzionale e quelle dove si stanno sviluppando forme di proselitismo del radicalismo islamico.

In ambito politica interna occorre adeguare il contesto economico affinché sia  adeguato ad eliminare, o quantomeno contenere, i principali fenomeni di distorsione quali la corruzione, l’abuso delle istituzioni, dei partiti ed il conferimento di incarichi per fini personali, nonché provvedere all’impianto di un sistema di sicurezza nazionale di tipo multi-dimensionale e non confinato alla sola difesa dell’apparato governativo.

Importante è la gestione del fenomeno dell’emigrazione, che ha assunto aspetti drammatici così come il problema legato al fenomeno degli sfollati e dei rifugiati. Esiste il grave fenomeno delle epidemie di HIV-AIDS, che può compromettere i servizi essenziali soprattutto in situazioni di conflitto o post-conflitto.
 
Tra le opportunità capaci di innescare un’inversione di tendenza, può essere  considerato l’impiego efficace dei proventi petroliferi e delle materie prime dei Paesi produttori, per esempio in Angola, l’incremento della produttività agricola, lo sviluppo scientifico nella lotta alle epidemie, favoriti dalle collaborazioni e sinergie avviate in équipe con scienziati africani oltre al consolidamento della UA e delle Organizzazioni Regionali.

In tale ottica i rapporti tra Unione Europea e paesi africani sono stati definiti nel 2000 con l’accordo di Cotonou. Entrato in vigore nel 2003, l’intesa firmata nella città del Benin è stata la cornice istituzionale ed operativa della cooperazione europea con 79 Paesi tra i quali quelli del SADC. Rivisto due volte, nel 2005 e nel 2010, l’accordo di Cotonou rafforza ed innova anni di partenariato con i Paesi in via di sviluppo Africani, Caraibici, del Pacifico (ACP), prendendo il posto delle convenzioni di Yaoundé (1964) e di Lomé. L’accordo attuale stabilisce la cooperazione nei settori economico, finanziario e del dialogo politico, introducendo un  approccio partecipativo, teso ad incoraggiare l’integrazione di tutti i rami della società, dal settore privato alle organizzazioni civili.
Agli attori non statali, riconosciuti e legittimati come interlocutori essenziali dall’accordo, spetta di essere informati e consultati sulle strategie nazionali da intraprendere; di ricevere risorse finanziarie nelle circostanze necessarie; di essere coinvolti in modo attivo nell’attuazione di progetti, soprattutto in aree di maggiore competenza delle istituzioni civili; di ottenere supporto per migliorare settori fondamentali quali l’organizzazione, i meccanismi di consultazione, i canali di comunicazione e di dialogo.

La cooperazione auspicata dall’accordo di Cotonou, quindi, si prefigge un duplice obiettivo e, per questo, risulta innovativa: da una parte, l’intesa vuole stimolare lo sviluppo economico e sociale in aree del mondo, quale l’Africa sub-sahariana, carenti in strutture e conoscenze tecniche; dall’altra, l’accordo mira a creare società interne consapevoli, attive, vere portatrici di democrazia. È per questo che la partecipazione dei nuovi attori è considerata fondamentale. Se un governo nazionale esclude la società civile dalle politiche di cooperazione, l’Unione Europea ha la possibilità di sanzionare la cattiva governance decidendo di ridurre, eventualmente, le risorse future da erogare.

L’accordo di Cotonou ha sicuramente favorito la nascita di rappresentanze della società civile, dando impulso all’organizzazione di workshop e seminari, strumenti utili agli attori non statali per essere finalmente coinvolti nella definizione delle strategie politiche nazionali. L’Africa, però, dimostra anche in questo campo di essere eterogenea, presentando piccole storie di successo e situazioni di carente ed insufficiente organizzazione. Quello africano è da decenni un continente in movimento: giovane, ricco di risorse e non manca del potenziale umano necessario per costruire una società civile consapevole e pronta alle sfide democratiche.

L’intesa per la cooperazione tra UE e Paesi APC si occupa anche della negoziazione degli Economic Partnership Agreements, fondamentali per le economie dei Paesi africani, spesso fondate su piccole aziende familiari. Proprio nell’ambito degli accordi commerciali, in Zambia è nato un progetto pilota per rendere la comunità rurale locale parte attiva delle negoziazioni. Il “Villaggio di Magoye”, composto prevalentemente da produttori caseari su piccola scala, è stato protagonista d’incontri, seminari e workshop, fondamentali per far nascere la consapevolezza locale dei cambiamenti globali in atto nel settore commerciale. I singoli produttori, superato uno degli ostacoli più problematici alla partecipazione attiva della società civile africana - la corretta informazione - hanno potuto finalmente influire sulle scelte politiche del proprio Paese. Inoltre, il dialogo creatosi tra gli esponenti del governo nazionale e i singoli produttori rurali del villaggio ha segnato una svolta. Spesso, infatti, la politica africana resta troppo lontana dalle realtà provinciali che, al livello di comunità e villaggi, sono il fulcro delle economie locali.

Un’esperienza simile si è verificata anche in Malawi, dove grazie ad un network di circa 100 organizzazioni non governative, i piccoli operatori rurali hanno fatto sentire la propria voce nella definizione della politica commerciale del governo, stimolata proprio dai cambiamenti previsti con l’accordo di Cotonou.

Le piccole storie di successo, però, non possono distogliere l’attenzione dalle carenze che ancora esistono nelle relazioni tra istituzioni e società in Africa. Spesso le consultazioni con gli attori non statali non sono dettate dal bisogno di democrazia, ma unicamente dalla necessità di rispettare il mandato di Cotonou. Occorrono sicuramente strutture permanenti, dove il dialogo diventi concreto, costruttivo, attivo. Troppe sono le insufficienze di fondi, conoscenze, tecniche, affinché la società civile sia consapevole e radicata nel territorio.

Una democrazia è tale solo se formata da cittadini informati, impegnati, consapevoli. L’accordo di Cotonou è importante proprio perché tenta di dare supporto legale alla nascita di una società civile attiva in aree, come l’Africa, ancora acerbe nelle espressioni democratiche. È necessario, però, che siano soprattutto gli Africani a volere questa crescita sociale, incentivando tutte le iniziative, anche le più piccole: esperienze come quella di Magoye sono i motori preziosi dello sviluppo del continente.