Diritto di informare e codice penale

Stampa

di Gino Falleri
Non si può dire che il mondo dell’informazione non sia ricco di eventi. Per un verso o l’altro suscita sempre attenzione e riflessione. Di motivi ce ne sono una pluralità. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Si potrebbe iniziare con la riforma delle professioni, da considerare come il classico topolino partorito dalla montagna, ma il primo, in senso assoluto, è offerto dai rischi che i giornalisti corrono, quasi quotidianamente, per dare consistenza al diritto di informare. Uno dei tanti esempi è stato offerto, negli ultimi giorni, dalla vicenda di Alessandro Sallusti, oggi direttore de “Il Giornale”, che si è visto confermare dalla Corte di cassazione una condanna a 14 mesi di reclusione senza la condizionale per un articolo non da lui redatto e pubblicato su “Libero” quando ne era il responsabile. Per culpa in vigilando o omesso controllo per essere più chiari. 
Per rendersi conto a quale stadio siano arrivate le difficoltà e la non considerazione, o l’uggia, che si ha per il loro lavoro è sufficiente dare una scorsa alle notizie riportate da “Ossigeno per l’informazione” di Alberto Spampinato, dal sito dell’Associazione della Stampa della Calabria curato da Carlo Parisi o infine da quello di Franco Abruzzo. Costituiscono il termometro della situazione. In qualsiasi latitudine del pianeta sono visti come il fumo agli occhi e più di un giornalista cade sul fronte della notizia. L’ultimo è stato Maya Naser, corrispondente della Tv iraniana Press TV, ucciso da un cecchino a Damasco.
Se questo è il quadro della situazione qualcosa non quadra. E’ vero che mettere il bavaglio all’informazione ha antiche radici. E’ sufficiente pensare alle Gazzette in livrea o ricordare gli illiberali provvedimenti adottati negli Stati Uniti dall’amministrazione John Adams, nonostante la vigenza del primo emendamento della Costituzione. Quello che obbliga il Congresso a non approvare leggi che violino la libertà di stampa. Pur con questa solenne affermazione, i giornalisti non in linea con l’inquilino del tempo della Casa Bianca andavano in galera. Poi ci sono gli esempi del Ventesimo secolo. 
Oggi le cose vanno in maniera diversa. Si usano altri sistemi, più sofisticati ed anche sbrigativi. Vanno dai condizionamenti alle minacce, dalle querele milionarie all’emarginazione, dalla sottrazione di risorse all’eliminazione. Il Messico docet. Interessarsi dei traffici illeciti, e quello della droga è il più redditizio, è come entrare nel mirino. Anche da noi esistono rischi, puntualmente messi in risalto e documentati, ma allo stato attuale quelli maggiori sono altri e legati ad annosi problemi, che debbono essere risolti. Su di essi sta spendendo non poche energie la Federazione nazionale della stampa ed il suo segretario generale, Franco Siddi. Problemi che interessano un numero sempre crescente di iscritti all’albo, coloro che sono definiti free lance o precari. Possono anche guadagnare mezzo euro a “pezzo”, che nel linguaggio giornalistico significa un articolo.
A parte la drammatica situazione occupazionale puntualmente segnalata da “Prima Comunicazione” che ha i suoi risvolti negativi sia sulla Casagit che sull’Inpgi, nell’ordine i problemi su cui è puntata l’attenzione riguardano soprattutto l’equo compenso, le risorse per l’editoria, la riforma della professione e la cancellazione dal codice penale delle norme considerate illiberali, che contrastano con la Costituzione e con la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. E qui ritorna il caso Sallusti, che ci ha fatto ancora scalare nella considerazione internazionale. Purtroppo è il risultato di una politica trentennale di non alto quoziente. La cartina di tornasole è costituita dai due marò ancora imprigionati in India.
Andiamo per ordine. L’equo compenso, una battaglia di civiltà, è di la da venire. Il Senato per risolverlo ha costituito una commissione e si sa bene cosa voglia significare in Italia. Tutto va alle calende greche. Qualcuno è dell’idea che si possa decidere da soli, in via unilaterale, con le immaginabili conseguenze. Un vortice di contenziosi con il giudice chiamato a stabilire cosa debba intendersi in moneta corrente per equo compenso e se le regole del mercato possano essere modificate da uno dei soggetti del sinallagma. 
Di qui la proposta formulata dalla Fnsi di un tavolo di confronto con il Governo, la Fieg e le altre controparti sociali per individuare proposte strumentali di sostegno all’editoria, con l’obiettivo di contrarre la disoccupazione e di fissare compensi dignitosi per le collaborazioni. Ma per fare tutto questo ci vogliono risorse e in tempi come i nostri a forte tassazione e con la previsione di ulteriori aggravi, dove tutto aumenta e meno disponibilità ci sono, non è molto facile reperirle. E’ stato ipotizzato  un prelievo sulle dotazioni delle fondazioni bancarie per attività culturali, una tassa di scopo sulla pubblicità televisiva e un ulteriore prelievo sui canoni di concessione per le trasmissioni televisive. Proposte che devono trovare il consenso degli interessati, se non altro perché non può essere usata in continuazione la leva fiscale.
Se il lavoro ed i compensi sono quanto mai importanti non meno attenzione deve essere data al  reato di diffamazione, che costituisce un problema di non poco conto. Si potrebbe affermare che ci sia una corsa alla querela con cui si chiede la rifusione del danno. E’ una specie di spada di Damocle sulla testa dei giornalisti, pone dei limiti a quel diritto sancito dalla legge sull’Ordinamento della professione di giornalista, e su cui c’è stata qualche pronuncia da parte della Corte di Strasburgo. Il nostro Paese, che ha una ricca tradizione giuridica, non ne esce bene, anche per le lungaggini nel recepire direttive, risoluzioni e raccomandazioni. Tutto questo costa in euro poiché non poche volte siamo sanzionati da Bruxelles.
Charles Prestwich Scott, è stato per anni il direttore del Manchester Guardian, sosteneva che le opinioni erano libere mentre le notizie erano sacre. Una massima ripresa da Lamberto Sechi durante il periodo che è stato il responsabile di “Panorama”.  A sua volta Oreste Flamminii Minuto avvocato ed editorialista di Prima Comunicazione, da poco scomparso, ha fatto della cancellazione dei reati di opinione, anacronistici nella società democratica,  una sua battaglia ed il suo pensiero lo ha ben delineato nel libro “Troppi farabutti. Il conflitto tra stampa e potere in Italia”. 
Resta la riforma della professione. Quanto è stato legiferato risulta ben sotto le aspettative e non impone gl’insostituibili controlli, la cui mancanza hanno portato il Paese nella situazione in cui è. Gli enti pubblici applicano le norme dettate dal legislatore, non le interpretano poiché questa funzione è esclusiva del giudice. Ci deve essere la certezza del diritto. Il legislatore, per l’accesso, ha stabilito che il praticantato deve essere “effettivo” per non creare sacche di privilegiati. Resta il controllo della deontologia. La giustizia intra moenia non è scevra di ombre. Per fugarle, come è stato proposto nella riunione di settembre della Consulta dei presidenti e vice  dell’ordine dei giornalisti, si dovrebbero introdurre elementi esterni. Quando si amministra giustizia è la terzietà quella che conta.