Sarà il Parlamento a riformare l’Ordine dei giornalisti. I pubblicisti hanno convocato gli Stati Generali dei loro quadri

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di Gino Falleri
Non sembra proprio che a breve possa esserci una schiarita nel mondo dell’informazione, esaminato e soppesato sotto il profilo occupazionale. Allo stato attuale non c’è alcun segno di miglioramento e il quadro delineato da Sergio Menicucci, uno storico dirigente sindacale, in un recente articolo pubblicato su “l’Opinione” dal titolo “Giornalisti italiani a rischio di estinzione” non è per niente rassicurante. Preoccupa pure sotto l’aspetto previdenziale.
Le assunzioni di praticanti risultano in netto calo rispetto al passato e di conseguenza creano difficoltà di cassa all’Inpgi, che ha pure il compito di erogare le indennità di disoccupazione. Di fronte ad un quadro per niente chiaro potrebbe essere utile conoscere la sua posizione sulle cosiddette dichiarazioni d’ufficio (si iscrivono pure gli addetti ai programmi di rete) e sulle difficoltà da superare per recuperare i contributi dovuti, nonché sui free lance e sul cosiddetto ricongiungimento, un provvedimento non previsto dalla legge 69/63. 
Sia free lance che coloro che utilizzeranno il ricongiungimento sono lavoratori autonomi e pertanto soggetti all’iscrizione obbligatoria alla gestione separata. Lo stabilisce la legge e la legge gli enti pubblici la debbono far rispettare.
La Fnsi, impegnata nel non facile confronto con la Fieg per il rinnovo del contratto nazionale, non ha mancato e non si è sottratta dal richiamare l’attenzione dei partiti politici sulle difficoltà in cui si dibatte il giornalismo italiano. Difficoltà legate sia alle tecnologie che ai comportamenti delle istituzioni pubbliche della categoria. La giurisprudenza ordinistica ha finora considerato prevalente l’attività giornalistica piuttosto che le strutture dove questa è svolta con o senza il contratto giornalistico. Una linea senz’altro volta a favore di chi lavora, ma non priva di aspetti negativi.
Negli ultimi quaranta anni, da Tele Biella come punto di riferimento, si è avuta una costante crescita dei due elenchi dell’albo. E nello stesso tempo non sono mancate iniziative volte ad affermare che solo i professionisti sono i dominus dell’informazione. Si ricordi la proposta del senatore Stefano Passigli. Tuttavia una crescita non adeguatamente controllata, allargando le maglie della legge, ha purtroppo riflessi non positivi, tanto da ingigantire il precariato e dare sempre maggiore spazio al lavoro sottopagato. 
Per sottolineare la gravità del problema sono stati organizzati gli Stati Generali dell’informazione precaria del Friuli Venezia Giulia. Purtroppo tutto resta immutato. Uno dei motivi è il costo del lavoro. E’ il più alto dell’Unione europea ed è attestato al 42,3 per cento contro il 38,6 della Francia e il 37,1 della Germania.
Non è da oggi che si parla di precari e di apportare delle modifiche alle regole per accedere alla professione. Nel convegno studi promosso dal Consiglio nazionale e dalla Fondazione Giorgio Cini, siamo a novembre 1982, con dei relatori di grande caratura qualcuno si è fatto carico di richiamare l’attenzione sulla necessità di mettere un argine alle iscrizioni nel registro praticanti. “Dare lavoro a chi è già nella professione resta compito primario del sindacato. Prima ancora di portare nuovi giovani a questo lavoro non è un errore stringere le maglie dell’accesso quando il settore è congiunturalmente in crisi e i posti di lavoro tendono a contrasi e non a dilatarsi. E’ giusto fare così e sarebbe gravissimo moltiplicare le illusioni e accentuare alcuni fenomeni degenerativi”. Le parole sono di Sergio Borsi, che è stato uno dei segretari della Fnsi. 
L’informazione è senz’altro un elemento indispensabile nelle società democratiche e multietniche. Tuttavia non si può non vedere il rovescio della medaglia. C’è molta fabbrica delle illusioni. Con poche decine di euro al mese è difficile lavorare e sopravvivere ed è imprudente fare previsioni sull’equo consenso da tutti auspicato. Se si dimostrerà una misura efficace. Sul precariato, con riferimenti a quanto accade all’estero, è un circolazione un numero unico di Tabloid che fornisce un qudro quanto mai esauriente.
Non si vorrebbe che fosse come la 150/2000. Una legge fantasma  priva di quei risultati che il Gruppo Giornalisti Uffici Stampa si aspettava. E’ vero che gli editori che godranno dei contributi pubblici dovranno rispettare il tariffario, ma la fantasia per aggirare i paletti imposti dalla legge è una qualità che non manca.
Su questo quadro non di certo ricco di prospettive si innesta la proposta di riforma della legge sull’Ordinamento della professione di giornalista. Si inserisce pure una notizia che viene dalla lontana California, rilanciata dal sito di Franco Abruzzo, e potrebbe avere effetti dirompenti. La giuria della nona Corte di Appello di San Francisco ha sentenziato che anche i non giornalisti, purché trattino argomenti di pubblico interesse, hanno diritto alla protezione legale concessa ai giornalisti dal Primo Emendamento della Costituzione americana. Sull’argomento ci sono già precedenti a favore dei blogger: Nazioni Unite, Cia e Unione nazionale dei giornalisti anglosassoni.
La proposta di riforma elaborata dal gruppo di lavoro del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, presieduto da Enrico Paissan, non è stata approvata all’unanimità. I consiglieri nazionali si sono divisi. E questo costituisce un  handicap, che il Parlamento non potrà non tenerne conto. Comunque la proposta di riforma, a parte il 3 a 2 tra professionisti e pubblicisti, ha dei punti positivi da non sottovalutare. Lascia perplessi il Gran Giurì, che può sembrare un appesantimento burocratico e negativo nei confronti dei Consigli territoriali di disciplina. In linea con i tempi e la specificità della professione la richiesta della laurea. Negli Stati Uniti, le prime scuole di giornalismo sono state istituite in America, i giornalisti che vengono assunti dalle varie testate escono in prevalenza dalle facoltà di giornalismo e la prima è stata quella del Missouri.
E’ prematuro fare anticipazioni se la riforma proposta possa andare in porto poiché non bisogna dimenticare che il M5S è per l’abolizione dell’ordine. L’unica certezza è quella che si mira a svuotare l’elenco pubblicisti tramite il ricongiungimento e, forse, a spese del contribuente con le provvidenze all’editoria. Già sottoposto ad una grandinata di tasse e balzelli, soprattutto di tasse locali. Spingere ancora non costituirebbe una accorta misura. 
Da noi esiste la par condicio, ma finora si sono fatti sentire solo i professionisti. La conseguenza è che anche i vertici del pubblicismo italiano dovrebbero far conoscere il loro punto di vista. E’ il motivo dell’organizzazione degli Stati Generali dei quadri del pubblicismo, che si terranno a Roma il 26 febbraio. Di coloro che li rappresentano nelle istituzioni giornalistiche, nel sindacato e nei gruppi di specializzazione..
Stati Generali dai quali dovrebbe partire una proposta già auspicata negli anni Settanta dell’altro secolo. O un albo unico, dove convivano coloro che svolgono la professione sia a tempo pieno che parziale, oppure una associazione professionale riconosciuta. Sugli esempi dell’Unione europea. Nell’Europa non esiste l’ordine istituito per legge. E’ il sindacato a dettare le regole e non è quasi mai unico. Sei giornalista se presti la tua attività professionale in un mezzo d’informazione riconosciuto. Il “pubblico” non significa altro che burocrazia, lacci e laccioli. Lo tocchiamo con mano tutti giorni. Non si cresce. E’ un freno.