Il lago d’Aral e la sua valle

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di Lorenzo Pisoni
E' uno dei laghi più grandi del pianeta: il lago d’Aral. Situato in Asia centrale, al confine tra l’Uzbekistan del nord ed il Kazakistan sud-occidentale, vantava fino agli anni ‘60 il primato di quarto lago del mondo per estensione, dopo il mar Caspio, il lago Superiore ed il lago Vittoria. Viene  talvolta chiamato erroneamente mare d'Aral. Il nome deriva dal chirghiso "Aral Denghiz", che significa "mare delle isole", a causa delle numerose isole che erano presenti nei pressi della costa orientale. Possiede due immissari (Amu Darya e Syr Darya), ma non ha emissari che lo colleghino all'oceano risultando dunque un bacino endoreico.
Oggi la sua estensione è ridotta del  75% circa, a causa della diminuzione della portata d’acqua dei suoi due immissari, l'Amu Darya e il Syr Darya, dovuta al progetto del regime Sovietico che a partire dagli anni '70 iniziò a prelevare dai due fiumi quantitativi enormi di acqua per irrigare le piantagioni di cotone create forzatamente nelle zone circostanti. La quantità di acqua rimanente nel corso dei due fiumi non è pertanto stata più sufficiente a controbilanciare l’evaporazione naturale del lago. 
Così il bacino continua a ridursi ed oggi si distinguono, ormai completamente separati, un Piccolo Aral a nord ed un Grande Aral a sud. Sforzi internazionali sono rivolti a cercare di salvare ciò che resta del bacino lacustre, in particolar modo la parte del Piccolo Aral. Dopo alcuni lavori di bonifica il Piccolo Aral nel 2005 è stato infatti completamente isolato dalla parte sud con la costruzione della diga Kokaral e nuovamente ricongiunto all'antico affluente Syr Darya. Nonostante un ridotto flusso d'acqua, in alcuni villaggi è ripresa l'attività di pesca e la salinità è tornata a livelli simili a quelli degli anni '60. 
Al giorno d'oggi la regione è fortemente inquinata, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica. Il ritiro del lago ha causato anche il cambiamento del clima locale (microclima), con estati diventate più calde e secche mentre gli inverni sono diventati più freddi e più lunghi. 
La situazione del Grande Aral è invece drammatica: nonostante gli sforzi di Uzbekistan (sul cui territorio giace ormai per intero il lago) e di molte altre nazioni, alcune fonti sostengono che scomparirà definitivamente entro il 2020. 
A causa del prosciugamento del lago l'isola di Vozroždenie è destinata a ricongiungersi alla terraferma.
La zona una volta occupata dal bacino lacustre è oggi, a tutti gli effetti, una nuova zona desertica del pianeta chiamata deserto di Aralkum. La città uzbeka di Muynak, un tempo attivo centro costiero per la lavorazione del pesce, attualmente si trova a circa 50 km dalle rive del lago. Il clima della zona si è modificato a causa della sparizione delle acque che mitigavano l’aria torrida e si è innescato un processo irreversibile ed autoconsistente per cui l’evaporazione aumenta il prosciugamento del bacino ed il prosciugamento del bacino favorisce l’aumento dell’escursione termica e dell’evaporazione. 
Gli ecosistemi del lago d'Aral e dei suoi immissari sono stati pressoché distrutti, soprattutto a causa dell'elevata salinità. Il lago, ritirandosi, ha lasciato scoperta una vasta pianura ricoperta da depositi di sale e prodotti chimici tossici, ciò che resta della sperimentazione di armi, dei progetti industriali, del dilavamento di fitofarmaci e fertilizzanti. Per far posto alle piantagioni, infatti, i consorzi agricoli non hanno lesinato l'uso di diserbanti che hanno inquinato il terreno circostante. Nel corso di quattro decenni la linea della costa è arretrata in alcuni punti anche di 150 km lasciando al posto del lago un deserto di sabbia salata invece del previsto acquitrino.
L'impatto ambientale sulla fauna lacustre è stato devastante. Il vento che spira costantemente verso est/sud-est trasportando la sabbia, salata e tossica per gli agenti inquinanti, ha reso inabitabile gran parte dell'area e le malattie respiratorie e renali hanno un'incidenza altissima sulla popolazione locale. Le polveri sono arrivate fino su alcuni ghiacciai dell'Himalaya. I campi della regione sono danneggiati dal sale trasportato dalle tempeste di sabbia. Anche il clima locale è cambiato: gli inverni si sono fatti più freddi e lunghi, le estati più calde e secche.
I numerosi insediamenti di pescatori che vivevano del pesce del lago sono stati abbandonati fino al 1982, anno della definitiva cessazione di ogni attività direttamente correlata alla pesca nel lago. Gli stabilimenti di lavorazione del pesce hanno continuato comunque a funzionare per molti anni grazie allo sforzo del governo di Mosca che aveva ordinato che parte del pesce pescato sul Mar Baltico fosse trasportato e lavorato presso gli impianti di inscatolamento di Moynaq in Uzbekistan.
A lungo andare, tuttavia, gli irragionevoli costi di questa pratica ne imposero il fermo. Ogni attività produttiva legata al pesce ha quindi avuto termine. Nel corso degli anni sia la città di Moynaq (situata a sud del lago, in Uzbekistan, nel territorio della repubblica del Karakalpakstan) che la città di Aralsk (situata a nord-est del lago, in Kazakistan) sono diventate meta di un lugubre turismo che cerca le carcasse delle navi arrugginite abbandonate in quello che ora è un deserto di sale ed una volta era un florido lago.
Nel 2011 l'archivio storico, curato dal Kazakistan, che documenta tutto il disastro del lago D’Aral dal 1965 al 1990 è stato dichiarato Memoria del mondo dall'UNESCO.