Pronunciandosi su un caso “rumeno” in cui si discuteva della legittimità della condanna inflitta dall’autorità giudiziarie nei confronti di una donna per alcuni gravi reati contro la P.A., condanna inflitta utilizzando come prova le dichiarazioni predibattimentali di un teste non sentito in primo ed in secondo grado perché malato, la Corte EDU, ha ritenuto, all’unanimità irricevibile il ricorso, così escludendo la violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 CEDU (diritto ad un giusto processo/diritto ad esaminare e contro esaminare i testi d’accusa). Il caso, come anticipato, riguardava una donna, che all’epoca era ministro della Gioventù e dello Sport, che era stata perseguita, tra gli altri reati, per il delitto di abuso d’ufficio, e condannata a cinque anni di reclusione. La vicenda era stata originata dalla sua denuncia secondo la quale il procedimento non era stato equo, in particolare perché la stessa non aveva avuto la possibilità di controesaminare i testimoni dell’accusa M.D. e C.C.N., i quali erano stati sentiti in fase predibattimentale. La Corte di Strasburgo ha osservato, in primo luogo, che l’Alta Corte rumena aveva reso disponibile alla ricorrente un’effettiva opportunità di interrogare il teste M.D. Diversamente, l’altro teste (C.C.N.) era stato interrogato durante le indagini preliminari, ma la ricorrente non aveva avuto la possibilità di esaminarlo in nessun momento del successivo procedimento penale, né in primo grado né in appello. Nonostante ciò, tuttavia, la Corte EDU ha ritenuto che, dato il limitato impatto che le dichiarazioni del teste C.C.N avevano avuto sulla condanna del ricorrente e in considerazione delle ulteriori prove che erano state prodotte ed acquisite davanti ai giudici rumeni, i fattori compensativi posti in essere dall’Alta Corte erano apparsi sufficienti, sicché, nel complesso, il procedimento era stato equo (Corte europea diritti dell’uomo, Sez. IV, 2 dicembre 2021, n. 41564/15).
Source: Quotidiano Giuridico