6 maggio 1952: muore Maria Montessori

Nel 1906, per riqualificare il quartiere San Lorenzo di Roma, in una delle case popolari già esistenti, venne fondata una scuola per bambini dai tre ai sei anni: la prima Casa dei Bambini diretta dalla neuropsichiatra infantile e pedagogista Maria Montessori (1870-1952), ideatrice del metodo educativo che porta il suo nome, oggi adottato in molte scuole di tutto il mondo.
Abbiamo provato a immaginare come si svolgeva una giornata da alunno Montessori. Questo racconto di fantasia è ambientato nel gennaio del 1907, quando due fratellini di tre e sei anni, ammessi nella scuola della pioniera dell’educazione italiana, provavano a frequentare per la prima volta questi ambienti pieni di luce, giochi e maestre fuori dall’ordinario.. Per i più umili. “Mari’! Se nun ve alzate subito, te e tu’ fratello, ve faccio scende io dal letto a suon de botte!”. Tiro via il lenzuolo e trascino giù dal materasso anche Luigi. Lui, che è ancora piccolino, attacca subito a frignare. “Lavateve bene, sennò ve cacciano subito da ‘sta scola nova”. Gli pulisco il moccio con la manica della camicia da notte, lo porto con me al catino e ci laviamo la faccia, strofinando bene dietro le orecchie. Mamma ci ha preparato i vestiti e il grembiule, sulla sedia. “Ah ma’, ma perché dobbiamo andare? Nun possiamo rimane’ qui a casa?”. “Io devo lavora’ e voi qui da soli nun ce potete sta’. E poi ce troverete tutti li amichetti vostri der quartiere: magari imparate a parla’ pure l’italiano e non fate la fine mia”. Intanto mi fa la treccia, mentre pettino mio fratello. “Ma ho già sei anni…”, dico a voce bassa. Mi tira un’occhiataccia e ammutolisco.
Papà dorme ancora: era operaio, ma da quando ha perso il lavoro passa poco tempo con noi. Ieri ho sentito mamma che parlava con la vecchia che sta di fronte: le diceva che lui sta sempre all’osteria, a buttar via le poche lire che guadagna lei pulendo le scale nei palazzi. No, non quelli come il nostro: quelli belli, che profumano e che stanno lontano dalle case popolari. Mio fratello e io beviamo il latte, facendo a gara a chi fa più rumore, poi scoppiamo a ridere. “Forza voi due!” Mamma ci fa infilare i cappotti e usciamo. Luigi saltella: ha solo 3 anni e quasi non parla. Spesso però piange, perché papà gli urla sempre. . Quanti colori! La scuola è vicina a casa: sta in un palazzone come quello dove abitiamo noi. “Ecco: via dei Marsi 53. Entrate, su”. Una signora sorridente ci viene incontro: prendo mio fratello e lo stringo a me, cercando di appiattirmi addosso a mia madre. Ma lei mi allontana: “Ve verrà a prende la vicina, fate li bravi” e se ne va alla fermata del bus. Dentro, mi guardo intorno: siamo tanti! Quanti? E che ne so, non so mica contare. Ci dicono di metterci in fila, ma sembriamo proprio un gruppo di pecore come quelle che ho visto sul prato la domenica che siamo andati a Frascati. I più piccoli piangono, anche quando le maestre ci offrono dei dolci: sono vestite bene e sorridono sempre… Non mi fido. Mi chiedono come mi chiamo: le fisso e nun glielo dico. Questo posto è strano: è la prima volta che vedo tanti bei colori.. A misura di bambino. E i mobili sono piccoli. Cioè no, non piccoli: sono giusti, giusti per noi bambini. Una donna dalla faccia gentile ci osserva. “Shhh”, fanno le maestre. E lei comincia a parlare: “Buongiorno bambini, mi chiamo Maria Montessori e dirigo questa scuola”. Oh, si chiama come me! La ascolto meglio. “Questo posto è vostro, per questo si chiama Casa dei Bambini”, dice. “Esploratela, scegliete un gioco e usatelo come vi viene meglio: abbiamo fiducia in voi, siate indipendenti e responsabili”. Non ho idea di cosa significhino di preciso queste parole, ma ‘sta scuola non sembra tanto male. Mi giro e vedo mio fratello che ha afferrato un oggetto colorato: corro da lui, prima che qualcuno lo sgridi. “Non fermarlo, va bene così”. È Maria, la donna gentile.. Diventare grandi. “Attraverso il gioco, il bambino si relaziona con il mondo: giocare è un duro lavoro, ma serve a diventare grandi”. Annuisco. “Se vuoi aiutare tuo fratello, aiutalo a far da sé: chi è servito, è leso nella sua indipendenza. E non si può essere liberi, senza indipendenza. Piuttosto: scegli anche tu qualcosa che ti piace”.
Intorno c’è chi gioca con le campanelle e chi passa le dita su tavolette ruvide come la grattugia di mamma. Vedo delle tessere colorate, con dei segni sopra: ci passo un dito, mi fanno il solletico. Le prendo e mi siedo comoda, a un tavolo. Maria viene accanto a me. “Sono certa che amerai scrivere, mia cara”. Non so se imparerò davvero qualcosa qui, ma non mi sono mai sentita più grande e libera di così..
Source: Focus