L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia riguardava il settore della commercializzazione delle carni nel quale, secondo gli inquirenti, i fratelli Remo avrebbero goduto della vicinanza della cosca Labate. Condannati in primo grado a 15 anni, inizialmente i due imprenditori erano stati accusati anche di concorrenza sleale e di estorsione ai danni dello zio Umberto Remo. Accuse per le quali Gianni e Pasquale Remo erano stati assolti in secondo grado dove però aveva retto l’accusa di concorso esterno costata una condanna a 7 anni di carcere. Il ricorso di Michele Labate, formulato dagli avvocati Francesco Calabrese e Giovanna Araniti, è stato rigettato dalla Suprema Corte. Per lui, quindi, va definitiva la condanna a un anno di carcere, in continuazione con altre sentenze in cui è stato giudicato colpevole. La Cassazione, invece, ha dato ragione ai difensori di Gianni e Pasquale Remo. Le motivazioni della sentenza saranno depositate nelle prossime settimane. Quello che è certo che che per i due imprenditori ci sarà un nuovo processo davanti un’altra sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria.
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