Malgrado le tempeste sull’English Channel isolino impietosamente l’Europa, la politica londinese si riverbera su ogni propaggine continentale. Se è vero che Sir Winston ha saputo mandare in guerra la lingua inglese, è altrettanto vero che ha fatto in modo sia di estrinsecare un carattere nazionale intriso di blood, toil, tears and sweat, sia di plasmare una volontà condensata in un we shall never surrender. Altri tempi, altre persone, un altro Regno; basti pensare alla distratta Liz Truss, messa alla porta dopo appena 45 giorni, il mandato più breve nella storia di un Paese in preda ad una squassante instabilità economica aggravata dall’improvvido mini budget1elaborato dall’allora Cancelliere allo Scacchiere Kwasi Kwarteng, dimissionato insieme al ministro degli Interni Suella Braverman. Evidentemente le finanze richiedono quale prerequisito la capacità di assumere ruoli stressanti, a giudicare dall’esplosione emotiva con lacrime incontrollabili dell’attuale ministro Rachel Reeves durante la discussione della legge sul nuovo welfare, goccioloni così pesanti da riuscire ad innescare il rialzo dello spread e da mettere in discussione la tenuta di un tesoro che invoca l’aumento delle tasse affossando la credibilità elettorale e creando un problema da almeno 5 miliardi da ridestinare senza aumentare l’indebitamento. Ammesso che conservi la poltrona, il ministro dovrà prendere scelte difficili, visto che il governo ha dovuto modificare sostanzialmente la legge pur di limitare il numero di deputati dissenzienti, dopo essersi messo da solo all’angolo, data l’estrema scarsezza di acqua su cui far galleggiare qualsiasi tipo di papera. Da che si intendeva risparmiare, ora si deve pagare di più, posto che gli analisti di Capital Economics ritengono che in autunno, con un forte rischio di stagflazione dovuta all’aumento dei contributi a carico dei datori di lavoro, ci si possa trovare con un buco compreso tra 13 e 23 miliardi di sterline.
L’epico tracollo elettorale Tory, mai così male dal 1832, ha consentito l’ascesa del governo Labour; la domanda ora è: Sir Keir Starmer, capace di dilapidare il consenso del 2024 con una politica tentennante e senza valide narrative, ha ancora le capacità per conservare il potere, visto il tracollo del gradimento2?
Nel 2024 il partito laburista si è presentato quale alternativa stabile, unito ed orientato verso il centro, lontano dalle derive radicali di Jeremy Corbyn, un partito apparentemente attento ai problemi quotidiani. L’impegno sociale è tuttavia andato in collisione con impopolarità e spaccature interne dovute a inevitabili decisioni di compromesso che necessiterebbero della forza d’animo di soggetti carismatici, ora del tutto assenti. Manca un altro Sir Winston con il suo we shall never surrender, capace di contrastare l’insidia populista, protesa alla conquista dei voti della classe operaia secondo un refrain già visto con l’elegia americana di J.D. Vance.
Dopo appena un anno, il potere ha logorato chi lo ha maldestramente esercitato perseguendo obiettivi modesti a fronte di promesse elettorali importanti, non riuscendo a velocizzare i progressi ottenuti in ambiti privi di una risonanza condivisa con l’elettorato. Non è un’eresia affermare che the common people è più in ansia per la propria busta paga che per il PIL, o per l’importo delle bollette piuttosto che per l’energia pulita, o per un mercato immobiliare ora drammaticamente asfittico, o per un servizio sanitario appena più efficiente o, infine, per il contenimento della criminalità. Ricorrendo ad un efficace falso storico, in questo momento più che di croissant the ordinary folk avrebbe bisogno di pane.
Ecco che la tendenza laburista al calo di gradimento nei sondaggi trova diversi perché, collegati sia ad una difficile eredità economica, sia alla delusione sulle aspettative, specie quando le politiche adottate non rispecchiano le speranze pre-elettorali, senza contare una marcata percezione di incompetenza. Beninteso, l’usura politica Tory non è stata da meno, accompagnata da un’inflazione biblica di primi ministri, dalle conseguenze della Brexit e dalla crescita di Reform UK di Nigel Farage, collettore dei voti dell’ala più a destra del Partito Conservatore. I conservatori, insomma, hanno pagato mancanza di idee, di programma, di leadership. Se a destra si piange, a sinistra tuttavia si lacrima, date le protratte difficoltà della socialdemocrazia occidentale.
Non si può dire che esista una causa univoca quanto piuttosto una combinazione di elementi che hanno intaccato la base del consenso, con i lavoratori in cerca di nuove risposte in un mondo fatto di diseguaglianze e privo di progetti chiari e vicini alla quotidianità.
Di fatto il populismo, definito come sinonimo di nazionalismo opportunista, è riuscito ad intercettare il malcontento popolare, eludendo i media tradizionali ed arrivando facilmente al rapporto diretto con la base elettorale, mentre a sinistra si è offerta sia l’idea di una difficile innovazione sia nel non riuscire a trovare leader carismatici.
Data la crisi fiscale, le vie d’uscita potrebbero volgere in effetti verso due populismi: di destra alla Farage o di sinistra alla Zohran Mamdani da New York3.
In UK il governo labour ha dilapidato un capitale politico inseguendo obiettivi impopolari e soprattutto troppo superficiali per produrre risultati nel breve periodo, mettendosi in una condizione tale da non riuscire a discernere più la differenza tra destra e sinistra. Inevitabile l’ascesa di Reform, malgrado i pessimi risultati prodotti dalla Brexit, secondo una crisi sistemica che mette in discussione gli esiti del recente voto ed indica l’ascesa del populismo di Nigel Farage, snobbato, imprudentemente, come un qualunque qualunquista; di fatto, nel punto di faglia creatosi tra partiti tradizionali ed elettorato esasperato, Reform ha mostrato un’incredibile abilità di inserimento rifiutando, alle ultime amministrative, qualsiasi apparentamento con i conservatori.
Attenzione, perché secondo un sondaggio commissionato dal Sun, Reform UK è in grado di spazzare via, dopo i Tory, anche il muro Labour tra Nord ovest, Nord est, Yorkshire e Midlands4. Insomma, il potere si allontana sempre di più dall’elettorato, mentre il governo di sinistra vira verso il centro inducendo le classi lavoratrici a spostarsi verso entità anti sistema. Ecco che gli esiti delle elezioni locali non devono stupire, con il successo riportato da Farage, con un’affluenza del 30% che indica un significativo aumento dell’astensionismo, e dove il First Past the Post, l’uninominale secco, continua a privare di rappresentanza significative percentuali di elettori5.
I laburisti sono quindi i grandi sconfitti, pur essendo al governo dopo 14 anni di opposizione; rimane ora da comprendere se Reform sarà in grado di fronteggiare le asperità del confronto con l’esercizio del potere, quello, per intenderci, con cui Starmer e Reeves hanno dovuto confrontarsi per le politiche fiscali e di spesa pregresse, o per le crisi migratorie capaci di variare la demografia e foriere di vulnerabilità collegate alla percezione di un esecutivo o in ritardo o impreparato come accaduto per l’affaire child grooming6.
La retorica è un conto, la realtà un altro, la pressione fiscale in aumento un altro ancora; la speranza per Starmer consiste nel recuperare il gap, come accaduto a Thatcher e Blair. Altri tempi, altre persone.
Dato il quadro, una collaborazione normalizzatrice con l’UE diventa necessaria, viste le stime di Cambridge Econometrics che indicano una perdita di non meno di 1,8 milioni di posti di lavoro dalla Brexit. Insomma, un reset dei rapporti anglo europei non è agevole, ma va comunque valutato anche in previsione di una cooperazione difensiva7 quanto mai attuale e da considerare in un ambito più generale che non tralasci gli aspetti commerciali e non disgiunga il preminente interesse nazionale. Il problema risiede però nel primato politico conquistato da Farage8, capace di riciclarsi malgrado fallimenti ed incoerenze, forte di una capacità innata di giungere rapidamente al core delle questioni ma non di risolverle, e motivatamente convinto di poter conquistare Downing Street senza aiuti esterni. Dopo Brexit, impresa ricca di scuri e povera di chiari, il cavallo di battaglia è diventato l’immigrazione, un tema che ha costretto alla rincorsa gli indeboliti partiti concorrenti e capace di esaltare la verve di Farage, esperto nell’uso dei social e volto al sostegno a Trump.
Ad oggi, le proiezioni di YouGov per le consultazioni 2029, da prendere ovviamente con tutte le possibili precauzioni, pronosticano il primato di Reform con 271 seggi alla Camera dei Comuni(5 attuali), contro i 178 laburisti (oltre 400 attuali), e contro i 46 conservatori (120 attuali), numeri che consiglierebbero comunque un’alleanza. L’ipotesi di quanto potrebbe accadere dovrebbe far riflettere sul sentiment dell’elettorato, poiché costituirebbe un punto di faglia rispetto a decenni di politica consolidata, con un’attenzione particolare per l’anti-immigrazione, la sovranità nazionale e con un approccio più pragmatico alle relazioni internazionali. La reazione interna porterebbe ad una polarizzazione più spinta di posizioni volte ad agevolare un rinnovato nazionalismo indipendentista, con la Corona vincolata alla più rigorosa neutralità istituzionale.
La situazione complessiva non parte dunque da buoni fondamentali, con una produttività lenta ed una crescita simile a quella italiana, e con regole di bilancio riscritte per raggiungere il pareggio entro l’ultimo anno di legislatura, rimodellando nello stesso esercizio il rapporto debito-Pil, tutte contingenze utili alla politica di Reform, mentre Starmer, convinto di aver stipulato un trattato commerciale con gli USA e di aver resettato con la UE, è sempre più spesso costretto a ripensamenti precipitosi; più di una voce di corridoio vuole che Angela Rayner, icona dell’ala sinistra labour, abbia suggerito al ministro Reeves di aumentare le tasse per 4 miliardi sui contribuenti più agiati, cosa che fa intendere come e quanto il ministro delle finanze sia politicamente assediato, malgrado il costante ridimensionamento dei Brexiter.
Farage, sempre meno affine alla Thatcher, non si accontenta dei cannoni, ma pretende anche il burro da un Paese che non riesce più a crescere e che deve confrontarsi con i rendimenti dei Gilt a lunga scadenza. I laburisti possono anche perdere per loro esclusive responsabilità, ma l’alternativa politica lascia più di una perplessità.
1 Ingenti tagli fiscali senza chiare coperture finanziarie (45 miliardi di sterline); la strategia si è basata sulla teoria della trickle-down economics, ovvero sul principio che la ricchezza creata dai tagli fiscali ai più ricchi si sarebbe poi riversata sull’economia generale, non supportato dalla valutazione dell’Office for Budget Responsibility (OBR), l’organismo indipendente di previsione fiscale. Politica monetaria contraddittoria: mentre la Banca d’Inghilterra stava aumentando i tassi di interesse per combattere l’inflazione, il mini-budget di Kwarteng proponeva un’espansione fiscale che avrebbe alimentato l’inflazione. Conseguenze: crollo della sterlina; aumento dei rendimenti dei titoli di stato (Gilt) che ha creato una crisi di liquidità per diversi fondi pensione; iniezione di fondi da parte della banca nazionale.
2 Anthony Seldon, storico dei governi britannici, sostiene che quello di Starmer è il peggior inizio di governo per un primo ministro Laburista dal 1945.
3 Richiede: trasporti pubblici gratuiti, blocco degli affitti, asili nido pubblici, supermercati comunali e nuove case popolari.
4 Nelle elezioni generali 2024, i laburisti hanno riconquistato molti seggi persi nel 2019. Dopo neanche un anno, il governo ha mantenuto meno di tre elettori su quattro
5 Il sistema elettorale, in base al quale chi prende più voti in un collegio guadagna quel seggio, avvantaggia i grandi partiti sfavorendo i piccoli. Il primo posto nei sondaggi può dunque non essere indicativo di una maggioranza parlamentare.
6 Diverse indagini hanno evidenziato uno scandalo che ha colpito migliaia di minori tra gli anni ’80 e il 2014, e che ha evidenziato una mancanza di reazione da parte delle autorità. I dati sull’etnia di vittime ed autori condannati nel 2023 sono stati pubblicati a novembre e mostrano che l’83% dei condannati era occidentale ed il 7% asiatico centrale e meridionale. È stata tuttavia evidenziata l’esistenza di organizzazioni pakistane.
7 Vd. accordo bilaterale Trinity House con la Germania per una difesa comune; il Regno Unito parteciperà all’European Long Strike Approach (Elsa), un accordo con Francia, Germania, Polonia, Italia e Svezia per lo sviluppo di missili a lungo raggio.
8 Reform al 25%, Labour al 24%, Tory al 21%; Find Out Now, ha posto Reform al 29%, Labour al 25%, Tory al 18%.
Source: difesaonline.it